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Pensioni: la verità nascosta, si perderanno anche soldi

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Roma – Se c’è una cosa che anche i detrattori più incalliti riconoscono al governo dei Professori è la riforma delle pensioni. Al netto (e non è poco) del pasticcio sugli esodati, ai tecnici si dà il merito di aver aver praticamente eliminato gli assegni di anzianità, introdotto il contributivo per tutti e innalzato l’età pensionabile (a regime, nel 2018 la soglia sale 66 anni sia per gli uomini che per le donne). Il che significa aver messo una toppa permanente al buco previdenziale nei conti pubblici.

Ma resta una domanda: gli italiani sono consapevoli del loro destino? Riescono a orientarsi nella miriade di rimandi alle riforme precedenti? E soprattutto hanno capito che per mantenere anche in futuro il loro reddito attuale dovranno iniziare, da subito, ad accantonare un piccolo tesoretto? Probabilmente no. A porsi la domanda, con unalettera aperta indirizzata al ministro del Lavoro Elsa Fornero, sono stati Luigi Guiso e Franco Pennacchi ieri su «Il Sole 24 Ore».

Ma prima di valutare bisogna conoscere. CosìLibero, con l’aiuto del sistema Epheso rielaborato dagli esperti di Cattolica Assicurazione, ha simulato 24 casi che riguardano tre tipologie di lavoratori ben precise: i dipendenti pubblici, quelli privati e i liberi professionisti.

Anno di nascita, età di pensionamento, importo dello stipendio e assegno di vecchiaia. Con il raffronto fra quanto avrebbe percepito il pensionato prima della riforma Fornero e dopo. Con un’attenzione particolare al cosiddetto «tasso di sostituzione», vale a dire a quanto corrisponderà in percentuale la pensione rispetto all’ultimo stipendio percepito. Fatto 100 lo stipendio, se il tasso di sostituzione è del 50% vuol dire che la pensione sarà la metà dell’ultima retribuzione.

Le tabelle pubblicate contengono anche un altro dato da verificare con la massima cura: l’indice di penalizzazione. Con la riforma Fornero, infatti, l’età pensionabile si è alzata per tutti. Lavoreremo di più e in taluni casi percepiremo pure una pensione superiore rispetto a prima (sempre che noi si riesca a non perdere il lavoro e versare regolarmente i contributi).

Ma il vantaggio c’è solo in apparenza: visto che staremo in azienda per un numero maggiore di anni, prenderemo l’assegno di vecchiaia per meno tempo. E dato che non vivremo di più, la somma degli assegni sarà inferiore al periodo ante riforma.

Tra gli esempi offerti nell’articolo, un dipendente del pubblico impiego che sia nato nel 1955 e abbia versato 33 anni e 2 mesi di contributi dovra’ fare i conti con una penalizzazione del 21,34%. Una donna della PA nata due anni dopo e con 30 anni e 9 mesi di contributi dovra’ subire un -15,80%.

Tra i liberi professionisti il calo sarebbe del 12,11%, ad esempio, per un uomo nato nel 1975 con 10 anni di contributi. Andrebbe meglio a una donna del 1980 con 1o stesso periodo di contributi e un reddito di 18 mila euro lordo annui: -7,55%.

Nel settore privato un uomo del 1970 con un reddito lordo di 18 mila euro l’anno e 15 anni di contributi dovra’ far fronte a un indice di penalizzzione del 13,59%. Per una impiegata del 1966 con 20 anni di contributi e uno stipendio analogo, il dazio da pagare sarebbe del 10,32%.

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