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PATTO DI STABILITA’: LA RIFORMA ERA NECESSARIA

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* Alfonso Tuor e’ il direttore del Corriere del Ticino, il piu’ importante quotidiano svizzero in lingua italiana.

(WSI) –

Via libera all’uso dello strumento fiscale (tagli delle tasse e aumenti
della spesa pubblica) per rilanciare la crescita europea. È in questo modo
che si deve leggere l’accordo sulla riforma del Patto di stabilità,
raggiunto domenica sera dall’Ecofin che sarà ratificato oggi dai capi di
governo dei paesi dell’Unione Europea.

Esso deve quindi essere salutato come
una svolta positiva anche per l’economia elvetica, il cui andamento
congiunturale dipende in grande misura dallo stato di salute dell’economia
europea. Ma perché interpretare in questo modo una riforma che impone ancora
ai paesi membri di non avere un disavanzo pubblico superiore al 3% del Pil e
che ribadisce il principio di un debito pubblico di dimensioni non superiori
al 60% dell’economia? Il motivo è molto semplice: le regole rigide del
Patto di Maastricht, già ripetutamente infrante da diversi paesi e
soprattutto da Francia e Germania, sono andate definitivamente in soffitta e
sono state sostituite da valutazioni politiche che consentono di eccedere
questi parametri per un periodo temporaneo di tre anni, che può però
prolungarsi in casi speciali fino a cinque anni.

Questa flessibilità, che
indubbiamente mette in forse le fondamenta dello stesso Patto di stabilità,
risponde, ed è questo il punto centrale, alle necessità economica di
Germania, Francia ed Italia di usare la leva fiscale per uscire dalle secche
della stagnazione. Il bisogno è particolarmente acuto per la Germania, che
negli ultimi anni ha varato una serie di importanti e anche dolorose riforme,
ma che non ne ha tratto alcun giovamento in termini di crescita economica e di
miglioramento della situazione del mercato del lavoro.

Infatti le riforme di
quest’ultimo, la riduzione della pressione fiscale e l’aumento
dell’orario di lavoro settimanale senza compensazione salariale hanno
provocato una significativa riduzione del costo unitario del lavoro tedesco,
riflessasi anche nei dati della bilancia commerciale, che hanno registrato un
forte boom delle esportazioni tedesche nonostante il rafforzamento
dell’euro.

Queste medesime riforme hanno però ulteriormente contratto i
consumi e non si sono tradotte in un rilancio della crescita. Non deve quindi
sorprendere che Berlino, che ha già ripetutamente infranto i parametri di
Maastricht, non ha potuto usare appieno la leva fiscale per stimolare la
domanda e ha invocato a più riprese la riforma del Patto. Francia e Italia,
che non hanno attuato riforme altrettanto incisive di quelle tedesche, si
ritrovano nella medesima situazione.

Possiamo dunque dire che con la riforma
del Patto di stabilità l’Europa abbandonerà la politica rigorista e
abbraccera’ una politica economica simile a quella seguita dagli Stati Uniti. In
pratica farà quanto è necessario in questo momento per tentare di rilanciare
l’economia e molto probabilmente i risultati si vedranno, anche se non
basteranno a risolvere il problema posto dai profondi cambiamenti strutturali
che si manifestano soprattutto attraverso la forte pressione concorrenziale
dei paesi dell’Est europeo e dell’Estremo Oriente.

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