Società

PARMACRACK,
UN FORTE RISCHIO ITALIA SUI MERCATI

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I falsi Parmalat espongono l’Italia a un serio rischio internazionale? Girano su questo interrogativo il detto e il taciuto ai tavoli prenatalizi del Consiglio dei ministri e del Comitato interministeriale del credito e del risparmio. Ieri nuovi argomenti per chi, come il Financial Times, propende per il sì. Iniziano le azioni giudiziarie estere contro Parmalat. Sei assicurazioni americane hanno chiesto alla Gran Corte delle Cayman il sequestro di due società parmensi con sede nel paradiso fiscale.

La Sec farà esplodere a giorni il bubbone delle primarie banche statunitensi coinvolte, e non sarà tenera. Tre fondi britannici – Norwich Union, New Star and Invesco – sperano in Enrico Bondi, ma si riservano analoghe azioni. Mark Dampier, direttore della Hargreaves Lansdown che ha venduto prima del crack, accusa le banche: “Erano grandi collocatrici di bond Parmalat, dubito che chi comprava potesse sospettare”. Ammette, però, che il problema non è solo italiano. I bond della Baring’s, la banca inglese andata anni fa gambe all’aria, avevano un rating AA, ben più “sicuro” rispetto alla B doppia e tripla dei Parmalat, ma ai risparmiatori la fregatura non fu evitata.

La relazione di Giulio Tremonti al Consiglio dei ministri, dicono suoi colleghi estranei al braccio di ferro con la Banca d’Italia, comprova che anche all’Economia si pensa che il rischio sussista. Non da oggi. Già al Cicr dell’8 luglio, il ministro ha ricordato di aver svolto questo ragionamento: negli ultimi tre anni le imprese italiane hanno emesso obbligazioni per più di 80 miliardi di euro e dopo il default argentino – gli italiani hanno comprato titoli andati in fumo per un punto percentuale del nostro pil – e quello Cirio, bisognava ripararsi. Parmalat era tra i nomi esplicitamente fatti nel corso del ragionamento.

Tant’è che dal giorno successivo la Consob si attivò. Ora che il crack Parmalat è avvenuto, l’aumento dei tassi per tutte le emissioni corporate italiane potrebbe significare crisi serie per gruppi tipo Lucchini (13 mila dipendenti) e Cremonini, l’aggravamento per gruppi alle prese con impegnativi rilanci come Fiat o Impregilo, l’appesantimento del portafoglio anche per chi va bene ma ha tanti bond in circolo come Edison e Telecom. “Tutto questo avveniva in anni in cui le banche italiane miglioravano i loro attivi patrimoniali, mentre i bond venivano sottoscritti da risparmiatori italiani e fondi esteri”.

Un colossale “spostamento rischi” sulle spalle del risparmio. Di qui la domanda posta da Tremonti ad Antonio Fazio, rimasta senza risposta perché al Cicr di metà ottobre la Banca d’Italia non si presentò, e successivamente il governatore sottolineò che i bond in default erano solo lo 0,035 per cento di quelli emessi. E’ la domanda dalla quale si è ripartiti nel Cicr prenatalizio, in cui Lamberto Cardia ha informato di quanto la Consob sta appurando, e Fazio ha spiegato che il caso Parmalat esclude responsabilità della vigilanza bancaria.

Modello europeo per la nuova Authority Sostenere però, come Fazio ha ripetuto a Repubblica, che i debiti bancari erano meno del 25 per cento del patrimonio Parmalat, non ha convinto anche i colleghi di Tremonti più vicini alla Banca d’Italia. Al di là dei falsi, era un gruppo che aveva in giro bond pari al fatturato, e su cui pagava l’8 per cento, era dunque lecito l’interrogativo emerso a luglio nel Cicr. Silvio Berlusconi è il primo, dicono all’Industria e alle Politiche agricole – dove vogliono “evitare di apparire al traino delle procure” – a non sottovalutare il peso che avrebbero nuove crisi.

Perciò l’intesa è di procedere il 7 o l’8 gennaio a un nuovo Cicr. E varare subito dopo il riordino della vigilanza sul risparmio. La posizione di Bankitalia – si potenzi la Consob, non si tocchi la vigilanza bancaria – è grosso modo quella del testo predisposto in An da Mario Baldassarri, Pietro Armani e Antonio Buonfiglio. L’Economia ha un testo di cui Tremonti ha reso noti “i fondamenti, di modello europeo”.

Non è la copia della superautorità britannica. Adatta all’Italia priorità seguite dai francesi accorpando a novembre nella Autorité des marchés financiers poteri prima ascritti alla Cob, che vigilava sul risparmio, e alla Cmf, che sorvegliava sugli intermediari. Isvap e Covip, guardiani senza denti di assicurazioni e fondi pensione, sarebbero le vittime. La stabilità bancaria resterebbe alla Banca d’Italia. Con modifiche “europee” anche per il placet alle operazioni sul capitale bancario: in Europa, Francia come Germania, sottoposte all’ultima parola di chi esercita la responsabilità politica, e ne risponde agli elettori.

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