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Oro, i prezzi potrebbero raggiungere i 2.500 dollari

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La domanda annuale di oro (esclusi i mercati non regolamentati OTC) è aumentata del 18% a 4.741 tonnellate, quasi ai livelli del 2011, un periodo di eccezionale domanda di investimenti, si legge nel report di World Gold Council. Il dato su base annuale è stato aiutato dalla domanda record del quarto trimestre di 1.337 tonnellate.

Sempre secondo lo studio, la domanda di investimenti in oro (esclusi mercati OTC) ha raggiunto 1.107 tonnellate (+10%) nel 2022. La domanda di lingotti e monete d’oro è cresciuta del 2% a 1.217 tonnellate, mentre le disponibilità di ETF sull’oro sono diminuite di un importo inferiore rispetto al 2021 (-110 t contro -189 t ), che hanno ulteriormente contribuito alla crescita totale degli investimenti.

Dal report emerge che la domanda di oro nel settore della tecnologia ha visto un forte calo nel quarto trimestre, con un – 7% per l’intero anno. Il deterioramento delle condizioni economiche globali ha ostacolato la domanda di elettronica di consumo.

La ricerca osserva inoltre che per secondo trimestre di fila l’enorme domanda delle banche centrali di 417 tonnellate ha portato gli acquisti annuali nel settore a un massimo di 55 anni di 1.136 t, la maggior parte dei quali non dichiarati. Abbiamo fatto il punto insieme a Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, per capire se questo trend di domanda elevata possa continuare nel 2023.

Dal report del World Gold Council emerge che le banche centrali sono le principali acquirenti di oro? E’ così?

Si è così, le banche centrali hanno effettuato dei grossi acquisti di oro fisico soprattutto nel 2022. A ricoprire la parte del leone sono state le banche centrali dei paesi appartenenti del gruppo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Gli acquisti che hanno avuto un’accelerazione lo scorso anno, hanno in qualche modo provocato uno scollamento del prezzo dell’oro rispetto ai suoi fondamentali tradizionali che riguardano il tasso di interesse reale negli Stati Uniti contro il quale l’oro vanta di una correlazione di carattere inverso. Il balzo a cui abbiamo assistito da inizio anno non ha ricevuto conferma dall’andamento dei tassi d’interesse reali negli States. E questa dinamica si spiega proprio negli acquisti che ci sono stati sul mercato fisico. In realtà gli acquisti fisici non riguardano solamente le banche centrali ma anche il mercato retail ovvero i piccoli investitori.

Ma perché le banche centrali dei paesi emergenti hanno effettuato questi grandi acquisti? Bisogna leggere l’accaduto in chiave geopolitica ovvero in chiave di una diversificazione delle proprie valute e un allontanamento del dollaro americano. La maggior parte di questi paesi ha la necessità di riciclare il surplus commerciale e quindi continueranno anche nei prossimi anni a comprare dollari per reinvestire il surplus di liquidità. Ma è altrettanto chiaro che in un processo progressivo di creazione di due blocchi, quello dell’Occidente e il blocco dell’Est. I paesi Brics sembra aver aderito al blocco orientale e questa probabilmente è l’unica vittoria di carattere strategico del governo di Mosca. Perché se l’Occidente ha giustamente condannato le azioni di Putin, i paesi Brics sono rimasti meno coinvolti nel conflitto in Ucraina sotto questo punto di vista. Quindi, se ce un aspetto in qui l’occidente ha fallito è di non aver impedito che questo gruppo di paesi si legasse alla Russia.

Inoltre questo gruppo ha come obiettivo arrivare ad una loro valuta che per il momento è senza dubbio “wishful thinking”, in quanto trovare un’alternativa al dollaro è un processo molto complicato.

La domanda di investimenti in oro ha raggiunto 1.107 tonnellate (+10%) nel 2022. Questo trend può continuare nel 2023?

Le attuali condizioni geopolitiche, economiche e di politica monetaria indicano una prospettiva di continuazione di questo trend per i motivi che ho precedentemente elencato. Sia per la necessità dei paesi emergenti sia per gli investitori. Nonostante gli sforzi della Fed e delle altre banche centrali, l’inflazione rimarremo un contesto di pressioni inflazionistiche anche nel 2023. I metalli preziosi in particolar modo l’oro e il rame beneficiano da questo tipo di condizioni macro. Quindi la mia risposta è assolutamente sì.

L’oro ha registrato una crescita del 6% da inizio anno a $1.926 all’oncia. Dove vede il prezzo del metallo prezioso nel 2023?

Il prezzo dell’oro può raggiungere anche i 2.500 dollari all’oncia entro 2023, ci sarà tantissima volatilità sul mercato perché la Fed probabilmente sarà costretta a tenere elevati i tassi di interesse perché le pressioni inflazionistiche in America rimangono forti e questo potrebbe generare delle fasi in cui il dollaro si apprezzi e l’oro appunto ritraccia verso il basso. Ma ogni rintracciamento è destinato di essere corto come un opportunità d’acquisto per un metallo come l’oro che è sempre più importante anche in un contesto di geopolitico complicato.

L’oro è tornato al suo ruolo principale di bene rifugio?

Io non mi ritrovo in questa definizione, l’oro non è mai stato un bene rifugio. Credo che l’oro sia un asset di rischio perché in realtà si muove in maniera inversa rispetto al dollaro. Il dollaro è il vero bene rifugio, perché tende ad apprezzarsi quando l’economia mondiale rallenta e tende invece di deprezzarsi quando il ciclo economico migliora. L’oro è un asset di rischio molto legato alle aspettative di inflazione e quindi segue una dinamica molto simile agli altri metalli, tanto è vero che la correlazione tra il rame e l’oro è molto stretta. Le prospettive di inflazione rimangono elevate perché abbiamo davanti un contesto strutturalmente inflazionistico pensate solamente al green deal, la decarbonizzazione che è chiaramente inflazionistica, la spesa militare anche essa inflazionistica. In un contesto di inflazione le materie prime e in particolar modo le materie prime rivestono un’importanza sempre maggiore. E quindi anche qui la mia risposta è sì.