
ROMA (WSI) – È fisiologico (o addirittura tautologico) che nei periodi di crisi circolino meno soldi fra le aziende e nelle tasche dei cittadini, ma di solito le crisi durano sei mesi, o al massimo un paio d’anni, e poi si rientra nella normalità, e molti dei sospesi vengono saldati. Invece la crisi attuale va avanti dal 2008 e le sue tappe sono state una progressiva discesa agli inferi anche per quanto riguarda la regolarità dei pagamenti.
All’inizio ha cominciato a dare il cattivo esempio proprio lo Stato, che ha reagito alle prime difficoltà con un posticipo del saldo delle sue fatture alle imprese fornitrici di beni e servizi; poi le stesse imprese, con le casse semivuote, hanno cominciato a pagarsi fra loro con meno regolarità; e alla fine l’epidemia dei mancati pagamenti si è estesa ai privati, tanto che Unirec (federazione di operatori del recupero crediti) ha rilevato nel 2012 insoluti per 34 miliardi soprattutto da parte di famiglie.
Quanto alle imprese l’esposizione col sistema bancario supera i mille miliardi di euro. Questo indebitamento da record si è accompagnato a tassi sempre più alti (perché le banche temono di non riuscire poi a rientrare delle cifre prestate) e alla difficoltà per le aziende di ottenere credito persino a interessi che assomigliano all’usura.
I tempi medi di pagamento alle aziende da parte delle pubbliche amministrazioni sono sui 180 giorni, un record europeo; una legge recente ha ordinato di accelerare, recependo una direttiva di Bruxelles, ma secondo una rilevazione di Confartigianato questa legge «stenta ad essere rispettata». Dice il presidente Giorgio Merletti che «soltanto il 13,4% degli imprenditori osserva che i tempi di pagamento si sono accorciati, mentre il 68,7% li considera invariati e il 17,9% addirittura allungati». Il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, si augura che «il governo annunci quanto prima l’esatto ammontare del debito pregresso e che chiuda i pagamenti prima dell’entrata in vigore del fiscal compact», l’accordo europeo mirante a riordinare i bilanci pubblici. Secondo Tajani «questa sarebbe la più grande manovra italiana per uscire dalla crisi. Non è solo una questione morale, ma serve a dare ossigeno alle aziende».
Cribis D&B (specializzata in business information) segnala 7.365 i fallimenti nei primi sei mesi dell’anno (+60% rispetto al 2009, quando già la crisi cominciava a mordere). Per dirla in altro modo si tratta di 57 casi al giorno. Edilizia e commercio i settori più colpiti. L’epidemia dei fallimenti riguarda in particolare e Lombardia e Lazio ma ne sono funestate tutte le Regioni italiane. Questo incancrenisce la crisi perché le banche diventano ancora più diffidenti quando si tratta di concedere prestiti, così la liquidità delle aziende si contrae, i tempi medi di tutti i pagamenti si allungano e il ciclo negativo riparte.
È un fatto encomiabile che i privati cittadini nei loro rapporti reciproci e con i loro fornitori di beni e servizi siano stati finora (nella media) corretti e solleciti nei pagamenti. Ma siccome la fonte primaria dei redditi delle famiglie sono le imprese, è inevitabile che il contagio dei ritardi e dei versamenti sia ormai dilagante anche fra i privati.
Copyright © La Stampa. All rights reserved