di Jared Franz Economista di Capital Group

Capital Group: il calo demografico potrebbe mettere in crisi l’economia

La Cina è entrata di recente a far parte della lunga lista di Paesi che nel 2023 hanno registrato un incremento dei decessi rispetto alle nascite, mettendo in evidenza un trend di calo demografico che potrebbe avere ripercussioni negative sull’economia globale. I cambiamenti demografici hanno implicazioni importanti. Le Nazioni Unite prevedono che il mondo raggiungerà il picco demografico intorno al 2086, tuttavia riteniamo che si tratti di un dato ottimistico. Una delle ragioni è che in alcuni Paesi il fenomeno del “baby bust” dell’era pandemica potrebbe aver aggravato il declino e il problema sembra essere persistente. Anche in alcuni Stati dell’Africa e dell’America Latina, dove i tassi di natalità sono storicamente elevati, il numero di nuovi nati è sceso vicino al tasso di sostituzione di 2,1 figli per donna. Sulla base di queste tendenze, la popolazione mondiale potrebbe raggiungere il suo massimo intorno al 2050.

Superare il punto di non ritorno demografico

Ma cosa comporta per la società un pianeta con un numero inferiore di persone? È una situazione che il mondo moderno non ha mai affrontato, quindi attraverseremmo il Rubicone demografico. I dati sulla demografia influenzano gli acquisti e il potenziale di guadagno di un’azienda. Per gli economisti, contribuisce a definire la politica monetaria e, in ultima analisi, il benessere di ogni generazione successiva.

Riteniamo che i Paesi vadano analizzati singolarmente, in quanto presentano molte idiosincrasie, sia culturali che politiche. Negli Stati Uniti, le tendenze demografiche sono favorevoli alla crescita rispetto alle economie sviluppate, anche se il tasso di natalità è sceso rapidamente dagli anni Sessanta fino all’1,7% di oggi. Questa cifra può essere bassa ma è superiore a quella dell’Europa, del Giappone e di altre economie sviluppate. A nostro avviso, il declino demografico degli Stati Uniti sarà meno grave, in parte perché le politiche di immigrazione sono più liberali. I dati mostrano che gli immigrati tendono ad avere più figli.

Il Giappone è probabilmente l’esempio più studiato di società in contrazione. Il Paese ha registrato un calo della popolazione per diversi decenni e la sua esperienza dimostra quanto rapidamente questo fenomeno possa degenerare. Nel 2008 il Giappone contava 20.000 persone in meno, mentre nel 2023 il numero è cresciuto a 831.872. Il primo ministro Fumio Kishida ha definito questa tendenza “la crisi più grave che il nostro Paese si trova ad affrontare”.

Il decremento della popolazione cinese è appena iniziato, ma sospettiamo che si troverà ad affrontare sfide non dissimili da quelle del Giappone. Il modo in cui il governo cinese risponderà, in termini di stimoli economici e aspettative di produttività, sarà un fattore importante. Per certi versi, la Cina potrebbe essere più vulnerabile, poiché il suo sviluppo economico è a un livello molto inferiore rispetto a quello del Giappone quando la sua popolazione ha iniziato a diminuire. La Cina ha posto fine alla politica del figlio unico nel 2016 e da allora ha introdotto incentivi finanziari per le coppie che hanno più figli, ma finora non ha portato risultati.

A nostro avviso non è impossibile invertire le tendenze demografiche, ma molti Paesi nordici hanno provato, senza successo, ad arginare la marea demografica in discesa. Hanno messo in atto molteplici piani, da incentivi finanziari a programmi di assistenza all’infanzia, che hanno però a stento spostato l’ago della bilancia. A fronte del calo demografico della Cina, i Paesi che dipendono da essa per gli scambi commerciali, come l’Australia e i Paesi del Sud-est asiatico, potrebbero registrare una crescita economica più lenta. Tuttavia, non mancano le opportunità, poiché molti di questi mercati emergenti hanno una situazione demografica migliore e potrebbero offrire incentivi per riportare in patria le catene di approvvigionamento.

 

Il calo della popolazione è negativo per la crescita

Gli economisti sono attenti alla demografia per una ragione. In parole semplici, il tasso di crescita economica di lungo periodo di un Paese dipende in larga misura dalla crescita della popolazione, oltre che dalla produttività, che misura l’efficienza dei lavoratori. Ovvero, se la popolazione di un Paese cresce del 2% e la sua produttività dell’1% circa, il prodotto interno lordo si aggira intorno al 3%. Una crescita sostenuta si traduce in un aumento del reddito pro capite, un indicatore importante della salute complessiva di un’economia. Nelle generazioni passate, il reddito è cresciuto nella maggior parte del mondo, così come la qualità della vita. L’ovvia conseguenza del declino demografico è la diminuzione della forza lavoro a seguito del pensionamento di un maggior numero di persone. Tale situazione può causare uno squilibrio, in quanto le entrate fiscali del governo diminuiscono e le spese per i pensionati aumentano. Quando ciò accade, i giovani tendono a lasciare il Paese o la società, esacerbando ulteriormente il problema.

Le conseguenze sono ingenti anche per i settori come beni di consumo, assistenza sanitaria e edilizia abitativa. Nel caso di quest’ultimo, la scarsità dell’offerta potrebbe peggiorare, dato che la carenza di manodopera e la scelta degli anziani di invecchiare nella propria abitazione anziché venderla hanno mantenuto alti i prezzi delle case. Per le società sarà fondamentale continuare ad adattarsi.
Ad esempio, quando i tassi ipotecari sono saliti da circa il 3% all’8% in seguito all’aumento dei tassi da parte della Federal Reserve statunitense a marzo 2022, la società di costruzione edilizia Lennar ha offerto ai clienti forti sconti sui tassi, contribuendo ad aumentare l’accessibilità economica. Gli investitori si sono giustamente concentrati sull’assistenza sanitaria come ambito maturo per l’innovazione per far fronte al calo delle nascite, all’allungamento dell’aspettativa di vita e all’aumento del costo del lavoro. CVS Health ha reagito a queste tendenze demografiche con servizi come le cliniche walk-in e programmi che offrono prezzi più bassi per i farmaci. La società ha inoltre cercato di ridurre i costi integrando la propria catena di fornitura, anche attraverso l’acquisizione di compagnie assicurative e di negoziatori di prezzi dei farmaci.

 

Distorsioni dei prezzi

Potrebbe sembrare ridicolo parlare di deflazione, considerando la battaglia che le banche centrali di tutto il mondo stanno conducendo da anni contro il rapido aumento dei prezzi. Tuttavia, il Giappone presenta un caso di studio convincente sul perché la deflazione, o il calo dei prezzi, possa essere una conseguenza del cambiamento demografico. Lo scenario è semplice: ogni giorno in Giappone ci sono meno persone e la domanda di beni e servizi diminuisce, il che esercita una pressione al ribasso sui prezzi. Quando ciò accade, è più probabile che si verifichino crolli o recessioni economiche, e gli strumenti tipici delle banche centrali per combattere le flessioni, come la riduzione dei tassi, sono meno efficaci. La Bank of Japan ha attuato una politica di tassi d’interesse negativi nel 2016 per stimolare la crescita economica, che però è stata ritenuta ampiamente un fallimento, dal momento che il PIL è stato generalmente debole dall’inizio degli anni Novanta. La deflazione è un problema che nessuna banca centrale vuole affrontare.
Il calo dei prezzi è associato a una crescita stagnante, a una spesa debole e a una scarsa fiducia generale nel futuro. Il Giappone è solo un esempio. Alcuni autorevoli economisti ritengono che il calo demografico potrebbe portare a un’inflazione strutturalmente più elevata, poiché la diminuzione della forza lavoro spinge i salari e i costi di produzione al rialzo.

 

Ci metteranno in salvo i robot?

In questo momento si sta verificando una collisione involontaria di due forze: demografia e intelligenza artificiale (IA). Questi due megatrend dirompenti cambieranno il futuro del lavoro nei settori come l’assistenza sanitaria, la produzione, il commercio e altri. Alcuni potrebbero ritenere che le attuali tendenze demografiche avranno un impatto negativo sul mondo. Altri invece che un minor numero di persone potrebbe comportare un minore stress per l’ambiente. Esiste un forte legame tra crescita della popolazione ed emissioni di anidride carbonica: con l’aumentare dell’attività economica aumentano anche le emissioni di CO2. L’IA potrebbe inaugurare una nuova era di aumento della produttività, per cui forse non avremo bisogno di tante persone come in passato per crescere.

È ancora troppo presto, tuttavia speriamo che l’IA possa colmare i divari generati dalle tendenze demografiche, in modo che alcuni degli scenari peggiori previsti non si verifichino. Al contrario, la società sarà non solo resiliente, ma anche molto capace di adattarsi a potenziali shock.