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OLIVETTI: BRUTTE SORPRESE PER GLI INVESTITORI

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Il valore bruciato in borsa dopo l’annuncio dell’operazione Pirelli-Benetton è simile a un bollettino di guerra e oggi tristemente noto a tutti. La flessione che ha interessato i titoli nelle prime sedute dopo l’annuncio dell’operazione a luglio, motivate soprattutto per il disappunto dei risparmiatori che sono stai esclusi dal premio di mercato legato al passaggio del controllo, si è anche acuito di recente nel timore che venissero richiesti altri fondi al mercato, tramite un aumento di capitale volto al contenimento del debito del gruppo.

Fino al 27 il mercato era stato con il fiato sospeso nell’attesa di conoscere la reale composizione del piano finanziario e gli obiettivi strategici del piano industriale e ha poi visto confermare alcune delle peggiori paure. Cerchiamo di affrontare per punti il problema e di capirne la scomposizione alla luce di quanto emerso dalla conference.

Che la nuova gestione avesse ereditato un gruppo in difficoltà e con una massa debitoria ingente è fuori luogo e che le difficoltà nel risolvere i problemi fossero enormi lo dimostra la quantità di simulazioni fatte su tutte le possibili architetture finanziarie, con i problemi vincolanti di non diluire il controllo da una parte e la redditività delle varie realtà dall’altra. Se anche la sostanza del piano industriale sarà quella che farà la differenza nel lungo periodo, è probabile che l’interesse del mercato nelle prime fasi sarà concentrato soprattutto sulle conseguenze delle operazioni finanziarie in programma.

Le deleghe richieste dal nuovo management (€17 miliardi complessivi con i residui €1,232 miliardi per emissioni azionarie e €2,464 per emissioni obbligazionarie; a fronte di un indebitamento intorno ai €17,8 miliardi) avrebbero comportato in caso di completo utilizzo praticamente un raddoppio delle azioni in circolazione e questo avrebbe generato un brusco colpo per tutti gli indicatori sullo stato di salute; specie se si considera che realtà del gruppo come Telecom sono state in grado nel semestre di riportare risultati non deludenti solo in ragione di un accresciuto perimetro di consolidamento. Oggi questo effetto è limitato (€4 miliardi), ma le conseguenze e le considerazioni qualitative restano.

La base minima di previsione del mercato per l’aumento, il temuto valore nominale, ha trovato conferma. Già una quotazione di Olivetti sotto €1 richiede l’accompagnamento con altri prodotti che rendano la richiesta di fondi al mercato più allettante, in un momento in cui è così difficile per gli operatori di telefonia lanciare operazioni di reperimento fondi. La scelta che è stata fatta pesa però sui piccoli azionisti per due ragioni.

Si sarebbe potuto accettare un aumento di capitale (nonostante la suddetta diluizione degli indicatori connessa) se questa fosse stata fatta a favore di un nuovo socio che avesse pagato le azioni a premio rispetto alle quotazioni di mercato: il prezzo del titolo non avrebbe che potuto beneficiare di questo elemento sostenitore dei corsi.

La seconda ragione è più grave e rappresenta (purtroppo) il perfetto completamento della manovra di passaggio di proprietà del gruppo che a fine luglio è stata fatta al di fuori del mercato. Il diritto societario italiano pone infatti una deroga fondamentale all’obbligo di Opa: il caso in cui la quota del 30% sia superata con la sottoscrizione di un aumento di capitale inoptato. Alle attuali condizioni sfavorevoli di mercato è altamente probabile che si concretizzi l’ipotesi di un vasto inoptato, che consentirebbe non solo di blindare la posizione, ma anche di abbassare il prezzo di carico dei nuovi padroni del gruppo dai €3,9 di luglio fino a €2,5 circa.

Sul mercato assisteremmo alla conquista e alla costituzione di una posizione inespugnabile beffando (raggirando a proprio favore tutte le normative) e depredando gli azionisti di minoranza anche del premio di contendibilità.

Un altro punto importante riguarda la conversione delle risparmio: una fonte di entrate previste per il gruppo che si auto-annulla ma che azzera anche tutte le polemiche sull’operazione dei mesi scorsi. La nuova gestione ha deciso di non modificare l’assetto deciso dalla precedente gestione a livello di condizioni. Questo vuol dire di fatto rendere inattuabile il piano che con un conguaglio minimo a €6,25 richiederebbe una Telecom sopra i €12,5. Gli azionisti di risparmio che avevano visto ventilata anche la possibilità di un miglioramento delle condizioni si sono trovati con in mano un pugno di mosche.

L’altro aspetto negativo della mancata conversione risiede proprio nella quantità di diverse tiptologie di azioni in circolazione. Uno dei pochi meriti della precedente gestione era stato quello di operare per ritirare dal mercato diverse categorie di azioni sia perché molto onerose che in quanto prive di corrispettivi a livello europeo (e quindi non utilizzabili in operazioni di scambi azionari). Questa visione è confermata nella sua accezione negativa dalla volontà espressa dal nuovo management di non modificare la politica di dividendo, confermando quindi il maggior onere derivante dalla circolazione delle risparmio. L’altro merito della gestione Colaninno era stato quello di snellire e semplificare la struttura del gruppo (operazione Oli-Tec), in modo non solo da consentire un più rapido e remunerativo afflusso di payout in capo alla holding, ma anche da rendere più trasparente e comprensibile la lettura del gruppo stesso. Oggi questa struttura è resa sempre più complessa da un intricato gioco di scatole cinesi.

Quel che è certo è che se la logica dell’investimento è di lungo periodo a essere sempre più attraenti sono le realtà operative rispetto alle holding, con l’effetto atteso di riflesso peggiore forse proprio in capo alla Pirelli. I primi impatti emotivi di reazione dei titoli vanno circoscritti da una parte alla necessità di maggiori dettagli che chiariscano la strutturazione dei piani e dei tempi di elaborazione; dall’altra al fatto che la parte negativa delle informazioni era già stata ampiamente scontata dal mercato con le recenti penalizzazioni sui corsi. Con Olivetti che si aggira intorno al proprio NAV e Pirelli alla quale resta da oscillare tra €1 e €1,5 è probabile che i movimenti maggiori si vedano intorno proprio alle attività operative. Senza dimenticare che, dopo i recenti ipervenduti, molte posizioni saranno ricoperte sfruttando anche i nuovi possibili arbitraggi che emergeranno dall’architettura finanziaria delle posizioni (non a caso di recente si era vista Tim sfavorita, nonostante la positività dei conti, a favore di Telecom, che aveva deluso con la sua semestrale).

Scongiurate le ipotesi più drammatiche sulla Seat (era stata ventilata al mercato la possibile dismissione delle directories, il che avrebbe coinciso di fatto con la liquidazione del gruppo) ora alla realtà media del gruppo si aprono spazi di risalita (anche se non eclatanti) da €0,7, valore implicito delle pagine gialle; pur in un contesto che dovrebbe confermarsi volatile. In effetti il core business dovrebbe resistere al grosso dell’impatto del rallentamento economico e la scelta di valorizzare l’attività televisiva in vista di una futura dismissione (grazie anche a un piano a basso assorbimento di risorse) dovrebbe essere gradito al mercato.

Se positivo appare il piano di dismissioni volto a generare cassa (strategia già seguita da Tronchetti alla Pirelli), specie nel ramo immobiliare (€2 miliardi le stime elaborate dal gruppo) perché chiarisce la distinzione tra attività strategiche e no; il problema reale è che in questa conference sono molte le dichiarazioni di intento e poche le risposte a crucci anche specifici del mercato: come si ridà redditività alla telefonia fissa in un contesto di tariffe calanti? Come si fronteggia il nodo politico dello smembramento della rete? Fino a che punto e con quali mezzi si può agire ancora sulla leva dei costi? Come farà Tim a fronteggiare i rallentamenti nel lancio delle nuove tecnologie (Gprs, UMTS)? La base clienti della società è messa a rischio e fino a che punto dalla pressione della concorrenza?

Il piano industriale sicuramente ha avuto il vantaggio implicito di aver liberato il mercato dall’incertezza. Non sarà la garanzia di un rientro della volatilità e soprattutto non basterà a far si che i titoli riconquistino le posizioni perdute dall’annuncio del cambio di controllo.

* Donatella Principe è analista della Banca Popolare di Vicenza

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