Economia

Ocse: 15% italiani non fa quello per cui ha studiato

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L’Ocse torna a bacchettare l’Italia sul mercato del lavoro. Nel rapporto ‘Getting Skills Right’ gli economisti dell‘Organizzazione puntano i riflettori sul fatto che in Italia il 35% delle persone fa un lavoro che non ha nulla a che vedere con il percorso di studi che ha fatto. E le opportunità si delineano con più facilità se si hanno in contatti giusti.

Pur riconoscendo i passi avanti nelle riforme, l’Ocse raccomanda di rafforzare i legami tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro e delle imprese e ridurre la dicotomia tra licei, intesi come scuole di serie A e istituti tecnici e professionali, considerati di serie B dalle famiglie. Sottolinea che in Italia ‘titoli di studio e qualifiche danno un’indicazione molto debole delle reali competenze e abilita’ degli studenti e dei lavoratori’.

Il disallineamento e le carenze di competenze dilagano nel mercato del lavoro italiano’, afferma il rapporto, spiegando che circa il 6% dei lavoratori italiani non ha le competenze necessarie per le mansioni che svolge e il 18% è sotto-qualificato.

Ma avviene anche il contrario: quasi il 12% ha competenze superiori a quelle richieste e il 21% è sovra-qualificato.

‘Risultati che mettono a disagio e sono collegati alla debole domanda per competenze di alto livello da parte di molte piccole e medie imprese che hanno una produttivita’, un grado di internazionalizzazione e un uso delle nuove tecnologie bassi’, dice l’Ocse.

Su questo sfondo – riconosce il rapporto – il Governo ha lanciato le riforme della Buona Scuola, del Jobs Act e del piano Industria 4.0 che sono interconnesse, hanno ‘molte potenziali sinergie’ e possono contribuire a ridurre gli squilibri nelle competenze. Il difficile sta nell’attuarle concretamente. Il punto di partenza e’ la scuola ed e’ una partenza tutta in salita.

L’Organizzazione di Parigi biasima infine l’italica consuetudine di cercare (e trovare lavoro) tramite le reti famigliari o di conoscenti piuttosto che attraverso i canali di reclutamento pubblici (nel senso di ‘noti a tutti’).

“Evidenza empirica sembra mostrare come, in Italia, le offerte di lavoro rimangano “nascoste” a chi non possieda un buon network personale o professionale – si legge nel testo dell’indagine -. Le reti familiari e di conoscenze personali vengono, infatti, spesso preferite ai canali di reclutamento pubblici. Sebbene l’utilizzo di canali di reclutamento informali possa, in alcuni casi, agevolare l’incontro domanda e offerta di lavoro nel breve periodo, questi meccanismi tendono a premiare coloro che hanno un buon network piuttosto che i candidati con le migliori competenze”.