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OCCIDENTE IN VENDITA, ACQUIRENTI GLI ARABI

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I fondi sovrani, soprattutto quelli medio-orientali, si lanciano alla conquista del mondo finanziario occidentale. L’ultimo esempio è dato dal Qatar Investment Authority che dal mese di gennaio ha iniziato a rastrellare sul mercato ed accumulare azioni di Credit Suisse, nell’ambito di un ambizioso progetto da 15 miliardi di dollari che mira all’acquisizione di partecipazioni rilevanti in diverse istituzioni finanziarie occidentali. Al momento, la quota del fondo del Qatar nella banca svizzera é ancora sotto il 3%, livello oltre il quale sarebbe obbligatorio un comunicato pubblico, ma nessuno se la sente di escludere che la corsa del fondo in Credit Suisse si possa esaurire con gli acquisti degli ultimi giorni.

“Abbiamo rapporti con Credit Suisse e abbiamo acquistato titoli sul mercato, ma ancora non è possibile dire in quale percentuale poiché stiamo ancora procedendo con l’operazione”, si è limitato a dire Hamad bin Jasim bin Jaber al-Thani, amministratore delegato del Qatar Investment Auhority. Torna così di attualità il tema dei fondi sovrani, quei fondi di investimento controllati direttamente dai governi di determinati paesi (sono 29 adesso nel mondo, soprattutto in nazioni produttrici di petrolio), che vengono utilizzati per investire in strumenti finanziari i surplus fiscali o le riserve di valuta estera ottenute con gli scambi commerciali.

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I livelli record raggiunti dal petrolio e il contemporaneo calo dei titoli finanziari seguito alla crisi dei mutui subprime ha creato opportunità di investimento uniche che i fondi sovrani non si sono fatti sfuggire. In prima fila si muovono i fondi arabi, ma anche Cina e Singapore non restano a guardare. A fine dicembre Morgan Stanley ha annunciato l’ingresso nel suo capitale di China Investment, con un investimento da 5 miliardi di dollari in obbligazioni convertibili per il 9,9% del capitale, dopo essersi aggiudicata il 10% del gestore di private equity Blackstone per 3 miliardi. Poi è stata la volta del fondo di Singapore Temasek, che con altri 4,4 miliardi di dollari si è aggiudicato il 9,4% di Merrill Lynch e proprio oggi ne ha girato uno 0,1% alla coreana Hana Bank per 50 milioni.

La lista però è lunga: a luglio China Development Bank ha puntato 3 miliardi per il 3,1% di Barclays; Abu Dhabi ha speso a novembre 7,5 miliardi per il 4,9% di Citigroup; a dicembre Singapore Gic ha investito quasi 10 miliardi nel 9% di Ubs, senza contare che la stessa Qatar Investment Authority detiene già il 20% del London Stock Ecxchange, fusosi con Borsa Italiana, e il 10% dell’operatore nordico Omx. Una realtà con cui fare i conti, quindi, e che solleva i timori di diversi osservatori: è positivo l’apporto alla liquidità, ha dichiarato il Fondo Monetario Internazionale, ma sono necessari ulteriori passi in avanti verso la trasparenza. La stessa linea del commissario Ue al mercato interno, Charlie McCreevy: “ridurre o limitare l’accesso a questi fondi costituirebbe un passo indietro – ha affermato – ma ci sono aspetti, soprattutto relativi a trasparenza e governance, che debbono essere attentamente valutati”.