Società

NON CON L’ ORO

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(WSI) – Il professor Mario Deaglio, in un articolo sulla Stampa, suggerisce che l’Italia, per alleviare i suoi problemi di bilancio potrebbe disporre di un’arma segreta, consistente nella vendita sul mercato dell’oro della Banca d’Italia. Si tratta di 2459 tonnellate, che non rientrano nel quantitativo conferito alla Banca centrale europea. Al valore di mercato, molto superiore a quello con cui sono registrate, esse valgono 40 miliardi di euro.

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Vendendo cento tonnellate l’anno (un quantitativo maggiore farebbe flettere il prezzo) – dice Deaglio – si potrebbero ricavare 2-2,5 miliardi di euro all’anno, per molti anni. E questo potrebbe ridurre il peso delle manovre necessarie per il risanamento dei nostri conti pubblici. Il ricavato dovrebbe, però, essere dedicato a spese prioritarie come quelle per le infrastrutture e per la ricerca, così da trasformare un patrimonio infruttifero in un capitale utile alla nazione.

Non ci sembra che con questo suggerimento il professor Deaglio aiuti il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, a risolvere i problemi che ha di fronte. Lasciamo pur stare l’obiezione tecnica: questo oro è nell’attivo del bilancio della Banca d’Italia, che non è di proprietà dello stato, se non per una esigua quota. Per fare affluire il provento allo stato occorrerebbe istituire un tributo sulle plusvalenze della vendita di oro, pari alla differenza fra valore di libro e prezzo di mercato. Non è chiaro se ciò sarebbe costituzionalmente possibile. Né si sa come reagirebbe la comunità finanziaria internazionale, già preoccupata per il nostro debito, all’ipotesi che si intacchi un capitale che, comunque, rafforza la solvibilità della nostra banca centrale.

Ma anche ammesso che la comunità internazionale non si preoccupi di una politica di questo genere, rimane il punto centrale. Due miliardi di euro di entrate sono lo 0,14 per cento del nostro prodotto interno lordo. E’ un diversivo, che non serve ad affrontare i problemi strutturali, che riguardano la sanità, la finanza locale e la spesa pensionistica. Da sola la Regione Lazio nel 2005 ha registrato un deficit nella gestione sanitaria di 1,8 miliardi di euro, probabilmente quest’anno arriverà a due. Non è con l’oro che si cura questa piaga.

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