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MORTI DI FAME E DI SPECULAZIONE

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(WSI) – Ritorna lo spettro della fame. La causa è l’impennata dei prezzi dei prodotti agricoli, che è dovuta principalmente alle politiche governative che promuovono i biocarburanti e alla speculazione finanziaria. Il rialzo dei prezzi sta colpendo duramente i paesi poveri, dove la popolazione usa gran parte del proprio reddito per alimentarsi. L’aumento dei prezzi fa sì che milioni e milioni di persone scivolano verso una situazione di estrema povertà andando ad ingrossare le fila del miliardo di persone che vive con un dollaro il giorno.

Il problema della malnutrizione tocca anche i paesi ricchi. Ad esempio, l’Ufficio del Bilancio del Congresso americano stima che l’aumento dei prezzi dei generi alimentari farà lievitare a 28 milioni il numero degli americani che beneficiano dei buoni pasto, ossia al massimo degli ultimi 40 anni. Anche in Europa l’esplosione dei costi del cibo peggiorerà ulteriormente le condizioni delle famiglie in difficoltà economiche. Negli Stati Uniti si sta addirittura manifestando un problema nuovo, quello dell’accaparramento, che ha costretto due grandi catene di distribuzione ad imporre limiti agli acquisti di riso da parte dei consumatori. Ma quali sono le cause di questa grave crisi?

I prezzi dei principali prodotti agricoli sono aumentati in modo esponenziale. Dall’inizio dell’anno scorso il prezzo del riso è salito del 130%, quello del grano del 70% e quello della soia del 90%. Questi rialzi non sono affatto dovuti a problemi sorti nel processo di produzione agricola: non vi sono state infatti né siccità né altre calamità naturali che possano giustificare questi movimenti. La responsabilità del ritorno della spettro della fame è delle politiche governative volte a promuovere i biocarburanti e della speculazione finanziaria.

La scelta dell’Unione europea e degli Stati Uniti di sussidiare i biocarburanti non ha solo avuto per effetto che una parte della produzione di soia e di frumento venisse usata a questo scopo, ma ha anche spinto molti agricoltori a riconvertire le proprie produzioni per soddisfare questa crescente domanda. Questa scelta si sta rivelando sciagurata per diversi motivi.

In primo luogo, non esiste alcun vantaggio ecologico, se si considera il costo ambientale complessivo della produzione dell’etanolo, ossia lo sfruttamento del terreno, l’uso d’acqua, il costo energetico della produzione del biocarburante, ecc. Anche i gruppi ambietalisti si sono accorti di questa follia che è stata ben riassunta dal ministro dell’energia britannico con queste parole: «È folle far il pieno delle nostre auto con il 5/10% di biocarburanti, quando ciò produce la fame in altre regioni del mondo». E infatti Londra ha già formalmente chiesto l’abrogazione di queste politiche.

I biocarburanti hanno avviato il movimento ascendente dei prezzi dei prodotti agricoli, che è poi diventato esponenziale a causa della crescente speculazione finanziaria. I miliardi e miliardi investiti nei futures dei prodotti agricoli (e ciò vale anche per il petrolio e le altre materie prime) ha trasformato questo mercato – come ha detto il senatore americano Byron Dorgan – «in un casinò aperto 24 ore il giorno».

Basti dire che si stima che per alcuni prodotti l’afflusso di liquidità è tale da essere sufficiente per comprare due anni di raccolto degli Stati Uniti. Le prove della follia della speculazione di fondi di investimento e di Hedge Funds sono numerose. Tra queste spicca il fatto che il prezzo in contanti dei beni agricoli non coincide con quello dei contratti futures alla data di scadenza. Inoltre i prezzi hanno oscillazioni giornaliere del 25/30% assolutamente inspiegabili.

Ma l’assurdo degli assurdi è che non sono i contadini a beneficiare di questa lievitazione dei prezzi. Infatti la speculazione finanziaria sta di fatto impedendo che l’aumento dei prezzi abbia almeno l’effetto positivo di spingere ad un aumento della produzione. Il mercato dei futures, che dovrebbe garantire il reddito dei contadini, è di fatto chiuso per loro. La speculazione ha fatto sì che i veri acquirenti non accettano più di comprare i raccolti se il venditore non assicura la consegna del prodotto fisico entro 30 giorni.

Non sorprende quindi che si stiano levando autorevoli voci nel Congresso americano che chiedono la sostanziale chiusura di questo mercato, che è diventato la palestra dove si esercita la follia della nuova finanza. Quest’ultima cerca di deviare l’attenzione dalle sue responsabilità addebitando l’aumento dei prezzi al miglioramento della dieta alimentare di milioni di cinesi e di indiani, che importano maggiori quantità di mangimi per i loro allevamenti (ciò non spiega il recente rialzo dei prezzi e questa tesi è contraddetta dalla recente impennata del prezzo del riso).

Il miglioramento della dieta alimentare di decine e decine di milioni di persone nei paesi emergenti e l’aumento di circa 80 milioni di persone l’anno della popolazione mondiale sono invece fenomeni di lungo termine. Essi inducono a prevedere che è finita l’era del cibo a basso prezzo e che alle politiche di liberalizzazione del commercio dei beni agricoli si deve sostituire una politica che miri ad una nuova «rivoluzione verde» attraverso il sostegno alla produzione agricola soprattutto dei paesi poveri. Ma quest’ottica di lungo termine non sembra attagliarsi a governi occidentali che stanno invece usando il denaro pubblico per salvare un sistema finanziario che è la causa prima del ritorno dello spettro della fame nel mondo.

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