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Monti, “lo sherpa”. E niente Quirinale (dopo Mps) per Prodi, Amato e Draghi

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Questo report e’ originato da una fonte di Roma (dello schieramento di centro-destra) e pecca per non tenere in nessun conto gli italiani. Lo ripubblichiamo perche’ offre comunque spunti interessanti sugli umori nel piccolo mondo marcio della politica nazionale. Da maneggiare con cura, si consigliano le opportune tare.

ROMA (WSI) – A poco più di tre settimane dal voto alcune tendenze di fondo si stanno consolidando, sia nei sondaggi sia nel microcosmo delle nostre cerchie personali. E’ possibile dunque aggiornare lo scenario effettivo del dopo voto, anche perché le questioni tuttora aperte sono soltanto due: il destino del Senato e la lotta per il terzo posto tra le truppe di Mosè Monti e quelle di Grillo Beppe.

Sulla prima questione toccherà a Re Giorgio Napolitano e a Bersani Pierluigi decidere come assicurare i numeri al governo e la stabilità al Paese e restano in piedi gli scenari sinora avanzati sulle mosse del Quirinale e del Pd, che stanno valutando anche quale veste istituzionale dare ad una eventuale collaborazione con il Berlusconi redivivo.

Sulla semifinale per il terzo posto, ufficialmente il centrino sembra in vantaggio ma i troppi nervosismi che si percepiscono dalle parti di Scelta Civica farebbero pensare che così non è e che M5S sia avanti, sia pure di poco, come del resto alcuni sondaggi, ospitati anche dai giornali più montisti, cominciano a registrare.

Ma la campagna elettorale ha già dato alcuni verdetti molto importanti relativamente ad alcuni protagonisti e rispetto all’Italia che verrà: Eccoli

1. Lo scandalo Mps, anche se non ha una relazione diretta di causa/effetto sui papabili, rischia di azzerare una serie di candidature per il Quirinale. Certamente, Draghi Mario, Amato Giuliano e, perché no, Prodi Romano, appaiono meno in gioco di qualche mese fa. E potrebbe entrare in gioco il fattore LATO B: poniamo che Rosy Bindi venga eletta presidente della Camera e che serva una figura politica che abbia già una carica istituzionale, che sia anche di sesso femminile (il che aiuta, anche se qualcuno dovesse avere l’ardire di avanzare velati dubbi sul caso specifico) e che sia ineccepibile sotto il profilo etico.

La presidente del Pd vive a Sinalunga, ma con il Monte e con la sua associazione a delinquere non ha avuto frequentazioni rilevanti, quindi questo potrebbe essere un vantaggio. Nel 1992 Scalfaro da presidente della Camera bruciò tutti i grandi capi della Dc dell’epoca. Bindi Rosy se raggiunge il primo traguardo potrebbe essere automaticamente in lizza per l’altro.

2. Bersani Pierluigi. La legislatura potrà durare due o cinque anni. Cinque se si realizzano le convergenze istituzionali con il “forno” giusto, non soltanto con il forno che prende più voti. Due anni se il leader del Pd, beneficiario del premio di maggioranza alla Camera, si arrocca e non riesce a delineare una linea politica più chiara, limitandosi a navigare tra due schieramentini perdenti (di minor o maggior successo o presentabilità) come Vendola, Ingroia, Camusso, Monti, Fini e Casini.

3. Casini Pierferdinando in Caltariccone è all’ultimo giro di boa. All’interno dell’Udc, escluso il suo “cerchio magico”, non gli è rimasto un amico che sia uno. Opportunismo, arroganza, tracotanza, le critiche più lievi. Per avere la controprova basterebbe ascoltare per qualche minuto cosa dice di lui la sorella di Cesa Lorenzo in tutti i salotti romani. Cose inenarrabili. Il Genero non se ne cura, non vede l’ora di liberarsi di tutti, Cesa Lorenzo compreso.

4. Monti Mario ex Mosè, “lo sherpa”. Dopo qualche settimana di campagna elettorale con evidenti prestazioni da pollo di batteria, sta tornando nel suo soffitto di cristallo (per usare un’espressione cara alle femministe d’antan, cioè nei panni per i quali era conosciuto in Europa e nella cerchia milanese della sua precedente vita: “un abile sherpa”.

Quindi non un capo di stato o di governo, e nemmeno un leader politico. Per la verità, l’aggettivo abile l’abbiamo aggiunto noi per non danneggiare eccessivamente l’immagine del nostro Paese, già provata dallo scandalo Mps. In realtà, nei vertici internazionali è uso comune darsi dei nomignoli o dei nick name e il nostro attuale premier viene chiamato “lo sherpa”.

La cosa non è a sua insaputa, lui lo sa, ne è irritato ma non può farci nulla. Il tutto per dire che le sue prospettive restano limitate ai noti e futuribili incarichi europei, se la congiuntura politica del 2014 lo permetterà. Questo significa anche che ha un problema di traghettarsi in quell’epoca, che se continua nel suo impasto di leggerezza da novizio della politica rispetto ai contenuti e di arroganza professorale rischia anche di restare a piedi sulla stessa via di Bruxelles. E che, infine, questo è certo, quelli che si sono aggrappati alla sua scialuppa resteranno comunque orfani.

5. Berlusconi Silvio. Sta dando prova ancora una volta che la campagna elettorale gli funziona da gerovital politico, porterà a casa un risultato inaspettato, ma sa anche che questa è davvero la sua ultima campagna elettorale. Quindi deve comportarsi di conseguenza: il suo appuntamento più impegnativo comincerà il giorno dopo le elezioni.

O anticipa tutti e avvia sul serio il processo costituente di una forza moderata e popolare sciogliendo immediatamente il Pdl in una nuova forza politica attraverso un serio processo democratico che parte dalla base fino al vertice, quindi insediando in modo ramificato dal più piccolo comune fino a Roma una classe dirigente che viene selezionata democraticamente dal quel popolo che è riuscito per l’ultima volta a mobilitare e archiviando definitivamente impresentabili, veline, mignottocrazia militante e aspirante, oppure le Idi di marzo si porteranno dietro con qualche mese di anticipo una bella riunione del Gran Consiglio e per mano dei suoi fedeli “servitori” sarà pugnalato a morte (politica, s’intende).

Nel primo caso diventa il padre nobile dei moderati, mette fuori gioco il centrino dello Sherpa, di Fini e Casini e si fa da parte da leader non da sconfitto. Se vuole, è in grado di farlo lasciando i suoi a scannarsi ma questa si chiama selezione democratica della classe dirigente. In Forza Italia e nel Pdl non c’è mai stata, se il fidanzato della Pascale la introduce in zona Cesarini sarà ricordato anche per questo e non solo per tutto il resto che sappiamo.

6. Grillo Beppe torna a crescere sostituendo la Rete con le piazze, persino quella storica del sindacato e della sinistra di piazza San Giovanni a Roma. Se questo colpo gli riesce, il terzo posto non glielo toglie nessuno. Per il dopo, non gli salti in mente di mettere vincoli ai suoi eletti perché si ritroverebbe solo: più gli eletti sono gente normale, casalinghe o precari, più velocemente si abituano agli usi e costumi della casta politica e non vogliono tornare indietro. Ne può far firmare loro scritture private o invocare regolamenti o statuti interni. Con il salto in Parlamento il movimento non potrà più essere guidato con i diktat di Casaleggio e dintorni come oggi.

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