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Liquidità, modello Baumol-Tobin: cos’è e come funziona

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Secondo John Maynard Keynes, a determinare quanta moneta veniva detenuta in forma liquida per compiere le transazioni quotidiane era semplicemente il reddito dell’individuo. Maggiore il reddito, maggiore la domanda di moneta liquida. Questa spiegazione non soddisfaceva, però, gli economisti William Baumol e James Tobin (noto per la famosa Tobin Tax e che, come Keynes, conquisterà un premio Nobel).

L’ipotesi di fondo dei due economisti è che a determinare la domanda di moneta liquida concorra anche il tasso d’interesse che viene percepito sulla moneta non liquida, ovvero quella dei depositi e quella investita in titoli finanziari.

La coppia di studiosi elaborerà un modello algebrico noto come modello Baumol-Tobin, il cui scopo è definire, dato un reddito, un tasso d’interesse e un costo di transazione per convertire il risparmio in moneta, la quantità di moneta liquida ottimale e soprattutto con quale frequenza prelevarla. Seguendo il modello vengono massimizzati i benefici (avere il denaro che occorre per spendere) e minimizzati i costi, cioè gli interessi cui si rinuncia e i costi di transazione per cambiare i titoli in liquidità.

Le ipotesi del modello Baumol-Tobin

Le ipotesi di fondo del modello sono le seguenti. Tanto il tasso d’interesse è più alto, minore sarà la propensione dell’individuo a ritirare dal proprio conto moneta liquida – che è comoda, ma non offre interessi. Più sono elevati i costi di transazione, meno risulterà conveniente presentarsi in banca per ritirare il denaro liquido necessario ad affrontare le spese.

Una soluzione potrebbe sembrare il ritiro a inizio mese, o a inizio anno, di tutto il denaro che mediamente occorre in quell’arco di tempo. Avremmo così ridotto all’osso i costi di transazione, ma avremmo rinunciato a una fetta maggiore d’interessi – per molto tempo l’individuo avrebbe in tasca più denaro di quanto non gli sarebbe necessario. All’estremo opposto, si potrebbe decidere di prelevare giorno per giorno quanto occorre in contanti: in questo caso, però i costi di transazione potrebbero rivelarsi elevati (superiori al livello ottimale).

Esiste, tuttavia un punto medio nel quale la somma dei costi di transazione e degli interessi “perduti” è minima e viene teorizzata come segue.

Sull’asse delle ascisse (grafico in basso) abbiamo il numero dei prelievi in banca, sulle ordinate il costo. Sono visibili le tre curve dei costi specifici: la retta crescente verso destra sono i costi di transazione, fissi, che crescono all’aumentare del numero dei prelievi; la curva discendente esprime gli interessi “perduti” ritirando contante, che al contrario diminuisce all’aumentare dei prelievi.

Una terza curva a forma di “U” è la combinazione dei due costi, il suo punto minimo “cade” laddove le due precedenti curve si incontrano e mostra il numero dei prelievi ottimale per massimizzare gli interessi percepiti, evitando un numero eccessivo di prelievi.

Nella formula sotto radice è possibile ricavare il numero di prelievi ottimale (poniamo, in un mese) inserendo il reddito mensile (Y) moltiplicato per il tasso d’interesse (i), fratto 2 moltiplicato per il costo fisso di transazione (F).