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MERCATI: E’ PROPRIO IL CASO DI ALZARE LA GUARDIA

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*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) -Pausa in vista per i mercati azionari? Ce ne sarebbero i motivi. La loro
ascesa estiva è stata infatti favorita dal contestuale emergere di segnali
ancora favorevoli dal lato della crescita economica, negli USA e in Giappone
in particolare, e dal persistere di un quadro sempre tranquillizzante dal
lato inflazione-tassi; ma ora lo scenario sul fronte macro sembra nuovamente
deteriorarsi, almeno temporaneamente, e la voglia di alleggerire le
posizioni, soprattutto sull’azionario, potrebbe avere di nuovo la meglio.

I
motivi di una maggior cautela sono proprio quelli messi in evidenza dalla
FED ieri sera, nel breve comunicato che spiega l’undicesimo rialzo
consecutivo dei tassi, ormai giunti a quota 3,75%: da un lato il fatto che,
in particolare a causa dell’uragano Katrina “spesa, produzione e occupazione
nel breve periodo subiranno battute d’arresto”; dall’altro che “i più
elevati prezzi dell’energia e gli altri costi hanno il potenziale per
aumentare le pressioni inflazionistiche”.

Per la FED però entrambi questi
fattori, pur aumentando “l’incertezza sulla performance economica
nell’immediato futuro”, non sembrano “presentare minacce più persistenti”,
cioè durevoli; per noi invece in un contesto caratterizzato da elevati
squilibri di fondo, a cominciare dalla situazione patrimoniale delle
famiglie USA, fortemente indebitate a fronte di un tasso di risparmio ormai
scivolato in territorio negativo (in pratica sono arrivate a spendere più di
quanto guadagnino, intaccando il loro patrimonio), lo shock energetico
potrebbe condizionare pesantemente la tenuta del processo di crescita.

Con
la continua ascesa dei prezzi di benzina e gasolio da riscaldamento, queste
stesse famiglie si trovano a fronteggiare maggiori costi energetici per
qualcosa come 100 mld di dollari su base annua, una cifra di gran lunga
superiore ai flussi di risparmio corrente, che quest’anno hanno finora
raggiunto 25 mld soltanto, e come dicevamo ultimamente si sono addirittura
esauriti. Un aggiustamento appare inevitabile, pur con tutti i dubbi
relativi ai suoi tempi, ed in ogni caso la tenuta di un simile meccanismo di
crescita esponenziale dei consumi con leva finanziaria continua a dipendere
dal continuo incremento di valore degli attivi, tra cui spiccano soprattutto
le proprietà immobiliari; in caso contrario, il circuito si invertirebbe,
portando a capovolgere le decisioni future di allocazione del reddito
disponibile tra consumi e risparmio.

A breve, complice l’ulteriore shock energetico e gli effetti uragani, i
segnali macro non si preannunciano favorevoli: l’inflazione subirà l’impatto
del caro petrolio, con i prezzi al consumo USA che in settembre potrebbero
mettere a segno persino un balzo dello 0,8-0,9%, passando da quota +3,6 ad
un +4,4% su base annua, sia pure quasi solo a causa dell’andamento della
benzina, mentre la crescita del PIL dovrebbe subire nel 3° trimestre un
impatto negativo intorno al mezzo punto percentuale, rispetto al +3,5%
inizialmente stimato, pur con un probabile recupero nei trimestri successivi
anche grazie ai decisi interventi di spesa approvati dal Congresso.

Ma
proprio questa maggiore spesa (finora 60 mld di dollari circa) potrebbe
mettere in discussione i progressi di bilancio federale realizzati finora
dall’Amministrazione Bush, riproponendo un altro squilibrio che si sperava
invece tendesse lentamente a risolversi. In una fase come l’attuale dove
l’ottimismo sull’evoluzione congiunturale sembra dominare, in linea con la
visione rassicurante di un’istituzione prestigiosa come la FED, tutte questi
elementi di dubbio potrebbero essere percepiti come temporanei e dunque
risultare ininfluenti per i mercati. Ma poichè il rischio è che possano
compromettere una situazione strutturale tutt’altro che solida, un po’ di
cautela supplementare, nonostante i segnali di tenuta granitica che
continuano a giungere dai listini, soprattutto europei, sarebbe quanto mai
opportuna.

Alle incognite americane dovremmo aggiungere anche quelle legate
al risultato elettorale tedesco, che per quanto snobbate dagli investitori
con un po’ di vendite estemporanee sul DAX, non dovrebbero lasciare affatto
così indifferenti gli altri listini continentali; ed è per lo meno curioso
che ancora una volta i cambi e il reddito fisso abbiano risentito, con
andamenti opposti, di queste incertezze sulla ripresa, mentre l’azionario,
come al solito quest’anno, le abbia presto accantonate. Proprio l’andamento
poco coerente dei vari mercati – con oro, materie prime, bond, azioni, Paesi
emergenti e attività high yield, tutti insieme sui massimi di periodo o
quasi – rimane un motivo di apprensione circa la razionalità dell’attuale
movimento corale al rialzo, e lascia semmai intravedere i sintomi di una
maxi bolla speculativa che l’effetto liquidità e l’accettazione di un sempre
minore premio per il rischio stanno progressivamente gonfiando.

Rimane il
dilemma di cosa la farà sgonfiare e quali di queste attività finirà per
essere maggiormente penalizzata da una brusca inversione di trend;
difficilmente, comunque, bond, azioni e oro, tanto per fare un esempio,
continueranno a muoversi in paradossale sintonia. Sui tassi continuiamo
comunque a credere che la FED sia vicina a completare la sua manovra
restrittiva, che potrebbe concludersi a fine anno su quota 4%, mentre la BCE
dovrebbe rimanere ferma ancora a lungo, con le pressioni al ribasso,
ragionevoli se viste in funzione del deludente andamento congiunturale,
inibite dal contestuale riavvio dell’inflazione per le perduranti tensioni
energetiche. In questo senso, superato un paio di mesi caldi per i prezzi al
consumo, una discesa dei rendimenti a lunga sotto quota 3% ed il riaffiorare
di voci di taglio dei tassi ci sembrerebbero ipotesi abbastanza ragionevoli.

Questo però significa che con rendimenti alternativi ancora più bassi
l’effetto liquidità e le velleità speculative sui listini azionari
(testimoniati dal boom delle posizioni a pegno qui da noi e dal crescente
peso di hedge funds con strategie di investimento sostanzialmente
direzionali, cioè rialziste) potrebbero trovare nuovo alimento, fungendo da
sostegno ai listini nonostante il temuto deterioramento di scenario
congiunturale.

Ragionevolmente, tutto ciò dovrebbe suggerire un’asset allocation più
difensiva. Finora però una simile strategia non avrebbe funzionato, almeno
sul nostro listino, per due ragioni: la prima è che le nostre utilities
scontano il balzo record registrato lo scorso anno, gonfiato dall’andamento
altrettanto eccezionale di comparti quali la produzione di energia elettrica
o l’effetto favorevole della regulation; e al contrario di quanto avviene
nel resto d’Europa, il comparto non sembra abbia ancora la forza di
riprendere il trend al rialzo e si muove, tra alti e bassi, solo in senso
laterale.

La seconda è che sul nostro mercato sembrano dominare temi a
carattere speculativo o comunque legati a riassetti azionari ed operazioni
di finanza straordinaria che non sembrano avere nei comparti più difensivi
terreno di coltura particolarmente fertile. Quanto poi alle tlc, continuiamo
a credere che il comparto, e le nostre Telecom in particolare, non siano poi
così difensive, dovendo fronteggiare ancora seri problemi di concorrenza che
i continui sviluppi della tecnologia traducono in forti pressioni sui
prezzi, in particolare nell’area della telefonia fissa e dei collegamenti in
banda larga.

In questo senso, il rischio, per chi vuole mantenere posizioni
investite in attesa di eventuali segnali più convincenti di correzione, è di
essere comunque costretti a cavalcare ancora temi che poco o nulla hanno a
che fare con gli scenari di rallentamento prefigurati e magari con gli
stessi fondamentali, ma che però continuano a sovraperformare in questa fase
di mercato dominata dalla liquidità.

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