Società

MERCATI: E’ IL MOMENTO DI FARE IL TAGLIANDO

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

(WSI) – Settembre è ancora lungo, e dopo settembre c’è sempre ottobre, ma se la stagione dei crash (o comunque delle ampie e temibili correzioni) va avanti così non c’è che dire, i mercati e la ripresa sono davvero solidi. Un buon motivo, o un motivo in più, per controllare con ancora più attenzione se la macchina della ripresa che stiamo comprando ha le gomme, l’olio, il motore e i documenti in ordine.

Tempo di check list, dunque. O se vogliamo una raccolta dei dubbi e dei cattivi pensieri che circolano in una parte del mercato, alcuni molto diffusi e altri meno (ma non per questo meno interessanti, anzi). Ne abbiamo censiti sedici, ma per fortuna alcuni di questi si elidono tra loro. Non si può annegare nel fiume e nello stesso tempo morire di sete.

Hai approfittato del maxi-rialzo dello S&P500 da marzo ad agosto? Ora per continuare a guadagnare, abbonati a INSIDER: costa meno di 1 euro al giorno. Clicca su INSIDER

Uno. Sono tutti diventati ottimisti. Giusto, c’è sempre da preoccuparsi quando il sentiment si sposta troppo da una parte o dall’altra. Non c’è dubbio che il mercato si è infilato gli occhiali rosa. Scende bruscamente il dollaro e le borse festeggiano. Le borse sono in festa e i Treasuries (l’unico asset rimasto al mondo in correlazione negativa con tutti gli altri, l’unica forma di copertura, insomma) reagiscono con grazia e dignità.

Bisogna però distinguere. C’è un sentiment di breve, ora certamente positivo, che può produrre correzioni brevi e superficiali. C’è poi un sentiment di lungo, o per meglio dire strutturale, che continua a mantenere sottopesati di rischio i portafogli finali e a sostenere quindi il tono di fondo dei mercati.
Un fondo azionario può essere passato dal 70 al 90 per cento di equity, ma nel portafoglio di Joe Public o del signor Rossi in cui è collocato rappresenta ancora una quota minoritaria e comunque più bassa rispetto alla media storica.

Due. La ripresa senza occupati. Come può esserci autentica ripresa se l’occupazione continua a scendere e se, una volta stabilizzata, non risalirà per almeno un paio d’anni? Negli ultimi due cicli c’è stata per l’appunto jobless growth e in questo non potrà che essere ancora peggio, visto che la crescita sarà inferiore. No, dice Ethan Harris di Merrill Lynch (un economista sempre pacato ed equilibrato). Le imprese hanno tagliato la produzione e licenziato con una tale furia tra ottobre e marzo che presto si troveranno costrette a fare qualche assunzione, anche in presenza di una ripresa non particolarmente robusta.

Tre. E’ solo una fiammata da scorte. Certo, è innegabile che scorte e incentivi per case e auto stiano dando una spinta importante. Nei prossimi mesi e trimestri questa spinta verrà gradualmente meno. E’ tutto giusto, ma anche in passato scorte e incentivi hanno dato la spinta iniziale. Inoltre il tema delle scorte non è già consumato. In molti settori il calo non si è ancora spinto molto avanti per cui la ripresa di produzione avverrà di fatto nel 2010. L’affievolimento della ripresa sarà quindi più dolce e lento di quanto alcuni temano e d’altra parte a un certo punto vedremo anche un minimo di crescita endogena, augurabilmente. In caso di necessità, si riapriranno gli incentivi e si procederà a qualche tranche ulteriore di acquisto di titoli da parte delle banche centrali.

Quattro. Exit strategy uno. C’è il rischio che si abbandonino troppo presto le politiche di stimolo e si ricada quindi in recessione. Certo, la possibilità c’è sempre, ma sembra proprio, come si è visto anche nei vertici degli ultimi giorni, che questo rischio non lo voglia correre nessuno. Anche il Fondo Monetario è su questa linea. Di exit strategy è doveroso parlare, per prepararsi e per mandare un messaggio rassicurante ai bond e ai mercati in generale, ma questo è quanto. Si vedrà più avanti, molto più avanti, come e quando attuarla per davvero.

Cinque. Exit strategy due. C’è il rischio che si abbandonino troppo tardi le politiche di stimolo e che si faccia così ripartire l’inflazione. Roubini dice che le banche centrali sbaglieranno in un modo o sbaglieranno nell’altro. Vedremo, ma per il momento c’è tempo per iniziare a preoccuparsi.

Sei. Le politiche sono troppo sincronizzate. Tutti i paesi, si dice, adottano le stesse misure. Dal 2003 si va tutti da una parte o tutti dall’altra. Nel 2001-2002 la Cina andò controcorrente per due anni, crescendo da sola. Questa volta è andata controcorrente solo per tre mesi. Questo rende ancora più probabili le bolle e gli scoppi delle bolle. Si può obiettare che l’armonizzazione delle politiche in questi mesi ha prodotto ottimi risultati. Certo, in un mondo sincronizzato se si sbaglia politica si sbaglia tutti quanti e non c’è più posto per nascondersi.

Sette. Gli asset tossici. Ci sono ancora, si dice, e come. Alcuni, quelli legati all’edilizia commerciale (mall, palazzi per uffici) stanno continuando a deteriorarsi. Per di più siamo in settembre e i grandiosi programmi come la Talf e i fondi congiunti tra privati e governo stanno procedendo stentatamente. Su questo fronte la buona notizia è che le perdite da edilizia residenziale e da credito al consumo stanno stabilizzandosi, mentre le quotazioni delle cartolarizzazioni continuano a migliorare. Le perdite da edilizia commerciale, dal canto loro, saranno fatali per le banche piccole troppo esposte in qualche singola operazione, ma saranno assorbibili dai grandi portafogli diversificati delle grandi banche.

Il fatto poi che la Talf non abbia concluso molto significa che ci sono ancora, intatti, quasi 500 miliardi, espandibili a mille in caso di bisogno. Per gli asset tossici il problema diventa ora quello di indurre le banche ad alleggerirsene. Stiamo passando dalla fase in cui era bene che le banche centrali chiudessero un occhio sull’attivo delle banche sorvegliate a quella in cui è bene tenerli aperti tutti e due.

Otto. I profitti. Molti, in questi ultimi due mesi, hanno storto il naso sugli utili migliori delle attese. Da qui in avanti, si è detto, non si potranno più tagliare i costi, mentre i ricavi rimarranno quelli che sono. Succede però che ancora adesso ci sono ogni mese 250mila occupati in meno da pagare, mentre il Pil se ne sta crescendo a una velocità annualizzata del 3-4 per cento (un punto in meno in Europa). La produttività sta esplodendo e la correlazione tra produttività e profitti è sempre stata alta.

Nove. Le valutazioni. Sono generose, si dice, lasciano poco o nullo spazio per ulteriori rialzi. Si può rispondere che è vero se si fa la fotografia dell’esistente, ma in situazioni di svolta non è irragionevole guardare avanti. Le borse, del resto, benché sui massimi stanno procedendo con cautela. Ricordiamo poi che in un mondo diventato troppo frugale non è male che si reintroduca un minimo di propensione al consumo attraverso una rivalutazione degli asset.

Dieci. La solita bolla di origine asiatica. Timothy Bond di Merrill Lynch descrive bene il rischio che l’Asia, continuando a risparmiare e a tenere le sue monete sottovalutate, crei il combustibile per un’ennesima bolla. Il surplus delle partite correnti viene riciclato in investimenti finanziari in America e mantiene i tassi artificiosamente bassi. Sì, è vero, il meccanismo è sempre quello, ma questa volta si è già iniziato a contrastarlo almeno in parte. Il surplus cinese ha smesso da un pezzo di crescere. Quanto al cambio del renminbi, il suo scendere avvinghiato al dollaro rispetto al resto del mondo non continuerà molto a lungo. Verrà un momento, nel 2010, in cui la valuta cinese darà il cambio all’euro e agli emergenti in continua rivalutazione.

Undici. La crescita cinese. C’è, come abbiamo appena visto, chi si preoccupa per la bolla asiatica prossima ventura, ma fino a pochi giorni fa in molti temevano una fine prematura della ripresa cinese. Sulla Cina, a nostro parere, si può discutere sulla qualità della ripresa, ma non sulla quantità. Gli stimoli sono stati decisi in un clima di quasi panico e non sono certo stati calibrati sul bilancino. La forza della ripresa è però indiscutibile. Da qui in avanti si toglierà il piede dall’acceleratore con cautela e si metterà ordine nei settori in cui gli investimenti di questi mesi hanno creato sovraccapacità produttiva. Non bisogna dimenticare, lo diciamo a quanti temono una deflazione globale per l’eccesso di capacità produttiva, che la Cina è veloce a stimolare la crescita per via amministrativa ma è altrettanto rapida a tagliare il decile marginale di capacità produttiva, sempre per via amministrativa.

Dodici. Il Giappone. I mercati, in generale, hanno accolto bene il cambio politico, ma ci sono anche pareri diversi. Carl Weinberg di High Frequency Economics vede il rischio concreto di un tracollo delle finanze pubbliche, con conseguenze devastanti per il resto del mondo. Weinberg, tuttavia, prende alla lettera il programma economico del nuovo governo. Probabilmente, però, i democratici ridistribuiranno i pesi fiscali, con trasferimenti dalle imprese alle famiglie, più che diminuirli e basta. Sembra anche giusto dare un certo credito alla lotta contro le incrostazioni nella burocrazia, da cui può emergere un aumento della produttività. Il rischio, più che quello di un’esplosione del disavanzo, è che alla fine si riesca a cambiare poco. In ogni caso uno yen forte non sarà d’aiuto.

Hai approfittato del maxi-rialzo dello S&P500 da marzo ad agosto? Ora per continuare a guadagnare, abbonati a INSIDER: costa meno di 1 euro al giorno. Clicca su INSIDER

Tredici. Il dollaro. Un suo indebolimento graduale e dolce, dice El Erian di Pimco, è parte della soluzione dei problemi globali. Il dollaro debole induce l’America a risparmiare e il resto del mondo a spendere. E’ anche il segno di una ripresa del carry trading (ci si finanzia in dollari per comprare qualsiasi altra cosa) che in proporzioni non patologiche non va visto come il ritorno ai vecchi vizi speculativi ma come un utile lubrificante per la ripresa. Molti temono però ancora che l’indebolimento possa farsi disordinato e causare un rialzo dei tassi americani e un ritorno alla recessione.

Su questo punto ci sembra importante la sincronizzazione delle politiche e la condivisione delle scelte strategiche di cui si parlava sopra. Per i prossimi mesi queste politiche manterranno in proporzioni tollerabili per tutti l’indebolimento del dollaro. Quanto al medio termine, se il dollaro si manterrà debole nel prossimo decennio sarà per una scelta di sottovalutazione e non necessariamente per uno squilibrio dei conti con l’estero. Questo dovrebbe consolare i possessori di dollari. La debolezza di un asset è molto più accettabile se si ha l’idea che sia sottovalutato.

Quattordici. Il petrolio. Roubini mette il possibile superamento dei 100 dollari nel 2010 come concausa di un double dip a suo avviso probabile. Ovviamente una ripresa che si prolunghi a tutto il 2010 (e ben oltre, probabilmente) sosterrà tutte le materie prime, ma senza grandi strappi. Al momento c’è un buon equilibrio tra domanda e offerta e l’Arabia Saudita ha la possibilità di aumentare sensibilmente la produzione ove se ne presentasse la necessità. La Russia, che molti vedevano negli anni scorsi in uno stato di peak oil, sta producendo molto ed esportando ancora di più, dal momento che la sua domanda interna è scesa.

Quindici. L’Iran. E’ notizia recente che l’alto funzionario che guida la delegazione americana all’Agenzia Atomica delle Nazioni Unite ha definito ormai vicino il momento “pericoloso e destabilizzante” in cui l’Iran sarà in grado di costruirsi la bomba. Non si pronunciano frasi di questo tipo senza averle concordate con il Dipartimento di Stato e la Casa Bianca. Il quadro è molto ingarbugliato, c’è il dibattito interno iraniano, c’è l’Afghanistan e soprattutto c’è Israele che deve pensare a sopravvivere. Per i mercati un blitz a sorpresa, soprattutto se comunicato a cose fatte, creerebbe meno problemi di un’attesa logorante di molti mesi come fu quella che precedette l’attacco all’Irak nel 2003. Quasi tutto il mondo sunnita, in ogni caso, vedrebbe di buon occhio, a livello di governi, un attacco israeliano. Tutti naturalmente lo condannerebbero aspramente, ma l’Arabia Saudita, lungi dal dichiarare un embargo come nel 1973, si metterebbe a estrarre tutto il petrolio possibile per compensare il probabile embargo iraniano.

Sedici. L’influenza. Prevedere i tempi di mutazione di un virus è ancora più difficile che prevedere i mercati. In ogni caso pare di capire che più sono i contagi più opportunità si presentano per la mutazione. Anche senza mutazione, fra qualche settimana saremo a letto in decine o centinaia di milioni. Un pretesto eccellente per una correzione. Temporanea come la pandemia, si spera.

La check list termina qui senza avere trovato problemi insormontabili per la ripresa e per i mercati. Si naviga a vista, naturalmente, ma ancora sovrapesati di rischio. Un’avvertenza, però per i sovrapesati. Avere contemporaneamente molte azioni, molto alto rendimento e molte operazioni di carry significa alla fine essere lunghi di una cosa sola, la ripresa. Solo i Treasuries possono attutire il colpo, se il colpo si presenta. Nelle prossime settimane saranno moderatamente deboli e se ne potrà comprare una certa quantità, a titolo di polizza d’assicurazione.

Copyright © Il Rosso e il Nero, settimanale di strategia di Abaxbank per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved

*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.