Società

Media e regime: la truffa dei rimborsi alle televisioni locali

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Roma – Che cosa hanno in comune Tele Sol Regina, emittente cremonese con tre collaboratori, e Telelombardia che, con i suoi 135 dipendenti e un centinaio di ripetitori, copre un bacino d’ascolto potenziale di 12 milioni di telespettatori? A prima vista niente.

Eppure per il ministero dello Sviluppo economico sono esattamente uguali. Tant’è che riceveranno gli stessi soldi per sgomberare il canale sul quale irradiano il proprio segnale. Perché? Entrambe trasmettono su una frequenza compresa fra i canali 61 e 69, una porzione d’etere molto particolare. Sì, perché è quella che lo Stato ha recentemente messo all’asta per potenziare la banda 4G (Internet senza fili e servizi multimediali per i telefonini) riuscendo a racimolare la bellezza di 4 miliardi di euro.

La gara era riservata alle compagnie di telecomunicazioni come Vodafone e Wind che, desiderose di ampliare la propria capacità trasmissiva, a forza di rilanci hanno portato una notevole boccata d’aria alle disastrate casse dello Stato.

Il problema però è che a dicembre 2010, quando l’allora ministro Tremonti inserì in Finanziaria la gara, già una decina di regioni avevano fatto lo switch off e cioè erano passate dalla trasmissione analogica a quella digitale terrestre. E una parte dello spettro assegnato alle antenne locali, come Telelombardia e Tele Sol Regina, era proprio quello compreso nello slot 61-69. Niente di preoccupante perché il governo avrebbe messo a punto un decreto teso a risarcire le emittenti obbligate a fare i bagagli per lasciare spazio alle Internet key e ai videofonini.

Ora la bozza del regolamento è pronta, il fattoquotidiano.it ha potuto leggerla in anteprima e le sorprese non sono mancate. Tutte le emittenti riceveranno lo stesso indennizzo economico: dall’emittente parrocchiale che trasmette per qualche centinaio di fedeli alle corazzate che, a livello regionale, se la giocano con Rai, Mediaset e La 7.

Ma per il titolare dello Sviluppo economico Corrado Passera fa lo stesso. Tant’è che l’unico criterio introdotto per individuare il valore di una frequenza (e quindi il relativo rimborso per l’emittente che su quello spazio trasmette) è su base regionale: se in Trentino Alto Adige un canale viene valutato 559mila euro, in Emilia Romagna si sale a 2milioni e 300mila. Testa di serie è la Lombardia, la più popolosa regione d’Italia, dove l’indennizzo sale a 5 milioni e 400mila euro.

“E’ una truffa – tuona Sandro Parenzo, patron di Telelombardia – La tv del parroco che trasmette per 70 persone una messa e lo stesso film tutti i giorni, riceverà lo stesso nostro indennizzo che produciamo informazione per tutta la giornata e abbiamo speso 85 milioni di euro per i nostri impianti di trasmissione. La tv del cugino dell’assessore che ha tre dipendenti avrà gli stessi soldi nostri che ne abbiamo 135 e un centinaio di collaboratori”.

Ma cosa dice la bozza di regolamento emanata dal ministero dello Sviluppo economico? Che le “emittenti locali legittimamente operanti” nelle regioni “già digitalizzate alla data dell’entrata in vigore della Legge 13 dicembre 2010 n. 220”, a seguito del “volontario rilascio delle frequenze oggetto di diritto all’uso” possono partecipare alla procedura “d’attribuzione di una misura economica di natura compensativa”: 170 milioni di euro complessivi da dividere fra le varie antenne.

La procedura prevista dal capo di via Vittorio Veneto non piace neanche a uno dei maggiori esperti italiani del settore, Antonio Sassano, consulente di Paolo Gentiloni quando era ministro delle Comunicazioni e docente universitario: “E’ un meccanismo punitivo per le emittenti migliori, quelle che vogliono fare veramente tv”. E a Parenzo di essere considerato come Primarete Lombardia (capitale sociale di 81mila euro e cinque dipendenti), non gli va proprio giù: “Perché mentre gli altri mandano in onda le televendite io ho un palinsesto che copre l’intera giornata”.

Basti pensare che la sua Telelombardia è la capo-cordata del network di emittenti locali che mandano in onda Servizio Pubblico, il format multi-piattaforma di Michele Santoro: “Centinaia di migliaia di telespettatori vedono il programma sul canale 64. Qualora cambiassimo spazio ci vorrebbero anni per spiegare che si deve ri-sintonizzare il televisore (o il decoder, ndr) perché Telelombardia lì non c’è più”.

Le critiche dell’editore stanno facendo proseliti, dalle associazioni che raggruppano le televisioni commerciali e locali, come Frt e AerAnti Corallo, fino ai membri della commissione di Vigilanza sul servizio radiotelevisivo del Pd che hanno annunciato un’interrogazione per chiedere a Passera una modifica dei criteri.

Come? E’ ancora Sassano a indicare la via prendendo spunto dal meccanismo di assegnazione di quelle regioni passate al digitale terrestre dopo il 2010, quando si sapeva che la banda 61-69 doveva essere lasciata libera per le tlc. “In Toscana o in Liguria – spiega il professore – per assegnare le 18 frequenze disponili per le locali si è fatta una gara dove le emittenti migliori si sono prese gli spazi più competitivi”. E nelle aree del Paese già digitalizzate? “Si dovrebbe procedere con un’asta al ribasso, in modo da liberare almeno nove slot per poi procedere a una competizione nella quale le realtà più serie si possano aggiudicare gli spazi migliori”. Così facendo, secondo il professore, lo Stato risparmierebbe diverse decine di milioni di euro e introdurrebbe il criterio del merito per riassegnare una porzione di etere alternativa a quella venduta a Telecom e soci.

Se è vero che le frequenze sono un “bene dello Stato raro e prezioso che va attentamente ponderato”, come ha detto Passera quando ha dato il benservito al beauty contest e alle regalie per il duopolio Raiset, è altrettanto vero che l’annunciata rivoluzione delle antenne deve evitare di danneggiare quelle esperienze regionali che garantiscono rappresentanza locale e occupazione.
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