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Ma quale uragano? Piove. “Gli ultimi due anni non ci hanno ucciso, bensi’ rafforzato”

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(WSI) – Ciò che non ci uccide ci rafforza, dice Nietzsche. E’ vero, ma è altrettanto vero che i traumi profondi ce li portiamo dentro a lungo e cambiano il nostro modo di pensare. Si parla di double dip, ma se torniamo ai momenti angosciosi dell’autunno 2008 ci rendiamo conto che una loro ripetizione è improbabile, se non altro perché è venuto meno l’elemento della sorpresa. Allora restammo attoniti perché non avevamo mai visto niente di simile e non lo ritenevamo nemmeno possibile.

Da un giorno all’altro l’Europa e l’America smisero di comprare automobili e case. Altrettanto istantaneamente le fabbriche di tutto il mondo dimezzarono la produzione e licenziarono milioni di persone. Ad avviare l’infarto fu una crisi di fiducia verticale nel sistema bancario.

Fu come andare a dormire la sera pensando di avere un lavoro sicuro e un conto in banca per i giorni di pioggia e svegliarsi la mattina dopo disoccupati (o comunque consapevoli di poterlo diventare in un attimo) e con l’idea che la nostra banca poteva essersi dissolta nel nulla durante la notte.

Oggi chi compra l’auto o la casa paga in contanti. Il mercato dei beni durevoli è la metà rispetto a prima della crisi ed è difficile che dalla sera alla mattina si possa dimezzare un’altra volta. Quanto alle imprese, dopo avere licenziato massicciamente hanno assunto pochissimo e sono senza un filo di grasso. Le scorte sono state ricostituite ma non sono certo alte e le casse aziendali non erano così liquide da molti anni.

Le banche sono puntellate in tutti i modi e prestano così poco che è difficile immaginarle mentre chiedono perentoriamente la restituzione immediata dei crediti concessi alle imprese e ai privati (come fu invece il caso nel 2008-2009). Possono forse chiedere indietro i soldi agli stati, vendendone i titoli? Per fare che cosa? Per ridepositare il ricavato presso la banca centrale, che è pur sempre un’espressione dello stato? Per comprare oro o carbone?

Le banche americane sono oggi molto meno deboli rispetto a due anni fa. Hanno ricapitalizzato aggressivamente, hanno ridotto la leva e hanno ridimensionato i mutui. C’è un dibattito aspro sulla loro capacità di fare soldi, con la Whitney che dice che non ne hanno più e Dick Bove che dice che la loro capacità di inventarsi diavolerie e scaricare i costi sull’esterno è senza limiti, ma a nessuno viene più in mente che possano fallire o che siano dei morti viventi.

Le banche europee sono molto più indietro, ma qualcosa hanno fatto anche loro. Non danno più dividendi e trimestre dopo trimestre se li mettono via. Hanno avuto un po’ di soldi dagli stati (quelli che in America sono stati già tutti restituiti) e ne avranno ancora in Spagna e in Germania. I mercati sono più preoccupati per i titoli pubblici nei loro portafogli che per le sofferenze classiche, quelle che si acutizzano in tempi di crisi.

In realtà le banche, i tesori nazionali e la Bce sono sempre meno distinguibili tra loro e assomigliano a un’entità unica, per quanto complessa e articolata. Qualche singolo pezzo (banca o stato) di questa massa colossale potrà forse essere sacrificato, ma sarà, nel caso, una decisione politica presa a freddo, non il risultato di uno shock. Dopo avere vissuto in un clima in cui sembrava possibile il fallimento simultaneo di una decina di stati europei e di quasi tutte le grandi banche del continente è difficile pensare a qualcosa in grado di sorprenderci negativamente.

Questi due pesantissimi anni che non ci hanno ucciso ci hanno dunque rafforzato. Ci hanno però al tempo stesso traumatizzato a tal punto che ogni volta che vediamo il cielo rannuvolarsi non prendiamo l’ombrello prima di uscire ma ci barrichiamo in cantina dopo avere sprangato porte e finestre e venduto tutto il possibile in borsa. Paradossalmente è proprio da questo eccesso di reazione che verranno nei prossimi difficili mesi le forze per restare a galla e riprenderci quando smetterà di piovere.

L’abbiamo visto con la crisi europea. Abbiamo drammatizzato così tanto i problemi (che pure c’erano e molti dei quali rimangono) che il vedere oggi un’asta di titoli pubblici che non va deserta ci fa sentire pieni di vita. Il grandioso meccanismo di stabilizzazione da 750 miliardi di euro non ha speso ancora un centesimo, la Bce sterilizza religiosamente ogni settimana i pochi acquisti di titoli e per la Grecia non arriviamo ancora a una ventina di miliardi impiegati sul serio. Venti miliardi sono quello che di solito si mette per salvare un paese come la Romania e questa volta hanno salvato l’Europa.

L’Europa, come è noto, si è data anche una regolata fiscale. Ha fatto bene a farlo perché in questo modo ha calmato la crisi isterica dei mercati. Ci sono però da fare due osservazioni in proposito.
La prima è che l’Europa ha diritto a difendere la sua scelta ma non ha nessun titolo per salire in cattedra e sgridare gli Stati Uniti perché non fanno altrettanto. L’Europa sta infatti facendo una grande operazione di free riding, può cioè permettersi di fare la virtuosa perché qualcun altro continua a fare il vizioso.

Ai tempi in cui l’Olanda era la prima potenza commerciale del mondo (il Seicento della Gouden Eeuw, l’età aurea) si diceva che il simbolo della sua forza civica si esprimeva nella pulizia delle sue città, dovuta al semplice fatto che ognuno puliva la strada davanti a casa sua.
Nel mondo integrato di oggi chi ripulisce il suo bilancio pubblico, come l’Europa, entropizza. Per fare ordine in casa propria esporta ancora più disordine all’esterno, come chi butta i propri rifiuti dalla finestra. Se anche l’America si mettesse a fare la stessa cosa precipiteremmo tutti nella deflazione e nella recessione.

La seconda osservazione è sulla qualità non eccelsa dei tagli europei. In certi casi si preferiscono azioni immediate ed estemporanee a interventi strutturali. Certo, questo dà gratificazione istantanea ai mercati e costa poco politicamente, ma in un mondo ideale si dovrebbero attuare politiche fiscali ancora espansive accompagnate da misure strutturali profonde. Non tutti hanno la forza, come ha fatto la Grecia, di alzare l’età della pensione per le statali da 52 a 65 anni in un colpo solo.

Lo stress test sulle banche europee darà vita a un altro capitolo di questo preoccuparsi moltissimo prima per essere sollevati dopo. Sugli stress test nessuno è mai contento e c’è sempre qualcuno più serio degli altri che vorrebbe aggiungere all’impatto di questo e di quel default anche quello della caduta di un asteroide sulla Foresta Nera. Alla fine gli stress test sono come gli esami di scuola, ci si tortura prima e poi si sta meglio, comunque siano andati. Non ci saranno bocciati, ci saranno solo rimandati. A qualcuno verrà imposta una ricapitalizzazione ma, miracolo, l’operazione sarà annunciata pochi secondi dopo.

L’euro continuerà a recuperare terreno. Se dopo lo stress test si ritroverà vicino a 1.30 non farà altro che riflettere il fatto che l’unica area del mondo che non sta rallentando è proprio l’Europa. Non durerà a lungo, ma per il momento è proprio così.

In generale il quadro macro continuerà a rannuvolarsi e l’estate e l’autunno saranno piovosi. L’economia globale non riceve più stimoli fiscali (solo gli Stati Uniti applicheranno un cerottone da 100-120 miliardi sui conti degli stati in difficoltà). Cina ed Europa stanno anzi premendo il freno, seriamente la Cina e più simbolicamente l’Europa. Gli indici di diffusione come l’Ism continueranno a scendere verso 50.

Pensando continuamente all’uragano i mercati troveranno sopportabile, anche se non gradevole, la pioggia in arrivo. I livelli di valutazione delle borse sono infatti da nubifragio. Gli utili sono vicini ai massimi storici e i corsi azionari erano pronti, poco prima del recupero di queste ore, a un salto nell’abisso. Attenzione però a sopravvalutare il rimbalzo. Il rallentamento dell’economia globale durerà parecchie settimane. Secondo El-Erian, che ha visto fin troppo in anticipo la difficile New Normal in cui il mondo dovrà vivere nei prossimi anni, a un certo punto i mercati esagereranno con il pessimismo così come, a suo avviso, hanno esagerato con l’ottimismo fino ad aprile.

Chi potrà farlo farà bene ad approfittare dei prossimi mesi. I soggetti che agiscono senza leva, hanno ampia liquidità e orizzonti lunghi come i fondi sovrani, sono già oggi alla ricerca di occasioni. Verso fine anno la Cina, che non perde occasione per ribadire il suo obiettivo di una crescita sostenuta di lungo periodo, inizierà a togliere il piede dal freno e gradualmente lo riporterà sull’acceleratore. A quel punto i mercati si scopriranno improvvisamente sottovalutati e non di poco.

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.