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MA IL BOT PUO’ FARE CRAC?

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(WSI) – Faranno davvero a gomitate, i governi del mondo occidentale, per piazzare i titoli di Stato e rastrellare i soldi necessari per portare aiuto ai sistemi finanziari e alle economie in difficoltà? Sono recepiti come gli investimenti più tranquilli e sicuri, i Bot, i Btp e gli altri, eppure cresce il numero di coloro che, conti alla mano, temono che nel 2009 qualche Paese potrà non riuscire a farsi prestare tutti i soldi richiesti ai risparmiatori e agli investitori; oppure che sarà costretto a pagare quel debito molto di più di quanto non facciano, per esempio, la Germania e gli Stati Uniti.

L’Italia entra sempre più spesso negli elenchi degli Stati in cui il rischio-Paese è considerato in aumento. Per ora, solo in teoria. Però il rischio cresce. Nell’area dell’euro, solo per rifinanziare il debito in scadenza, le emissioni statali previste sono di quasi 300 miliardi di euro nel primo trimestre dell’anno. Nell’intero 2009 gli Stati Uniti inonderanno il globo con 2 mila miliardi di dollari dei loro Treasury Bond, pari – al cambio attuale – a oltre 1.500 miliardi di dollari.

Non tutti gli Stati, però, pagano allo stesso modo i denari chiesi in prestito. Tanto che persino nei capannelli fuori dai bar e negli uffici si sente sempre più spesso parlare del celebre ‘spread’, il termine inglese che indica il differenziale tra gli interessi che gli Stati riconoscono a chi sottoscrive i titoli emessi.

In Europa, a guidare il gruppo è la locomotiva tedesca: il differenziale che viene preso in considerazione come indicatore più attendibile e importante è quello tra i titoli decennali a cedola fissa e gli omologhi tedeschi (Bund). Ebbene, dopo essere stati molto vicini, ora gli spread tra il rendimento del Bund e i suoi concorrenti dell’Europa più in affanno – oltre all’Italia, del gruppetto fanno parte il Portogallo, l’Irlanda, la Grecia e la Spagna – ha iniziato ad allargarsi sensibilmente da quando la crisi della finanza mondiale è esplosa, nell’autunno scorso. La punta massima, per ora, è stata toccata il 15 gennaio, a quota 1,52 (un anno fa viaggiava intorno a 0,36: in 12 mesi, la forbice è quadruplicata).

Morale: il Btp decennale al risparmiatore italiano garantisce, ai prezzi attuali, una redditività lorda del 4,44 per cento, che scende al 3,88 per cento netto (i titoli di Stato sono tassati al 12,50 per cento). L’equivalente buono con scadenza fra dieci anni emesso dal Tesoro tedesco rende l’1,46 per cento in meno. Molti osservatori e analisti sono sicuri che, sospinti dall’affollamento di offerta, i tassi siano destinati a risalire, tornando nettamente sopra il 5 per cento nel giro di un anno. E anche se per marzo è attesa un ulteriore limatura dei tassi da parte della Banca centrale europea guidata da Jean-Claude Trichet, all’ultima asta dei Btp a cinque anni, è stata notata una certa latitanza da parte degli investitori istituzionali. “Sono convinti che nel brevissimo periodo i tassi dei titoli di Stato italiani siano destinati a salire e quindi aspettano la prossima asta per spuntare un rendimento migliore”, commenta Claudia Segre, responsabile del reddito fisso di AbaxBank.

Lo spalancarsi della forbice può rappresentare un’attrattiva per il risparmiatore-investitore, ma è un incubo per l’emittente. Le ricadute negative sono di due ordini: il debito diventa più costoso rispetto a quello degli Stati che esibiscono una situazione finanziaria più sana, e si insospettiscono i mercati che, se gli spread si allargano troppo, possono iniziare a nutrire dubbi sulle capacità di ripagare il debito.

Prendiamo la Grecia. È l’unico Paese su cui da qualche settimana circolano le prime voci, respinte con forza sia ad Atene che a Bruxelles, su una eventuale uscita della Grecia dall’euro. Un’ipotesi teorica, certo. Ma nessuno ha mai accennato l’eventualità che la Francia o l’Austria abbandonino la divisa unica. E l’agenzia Standard & Poor’s ha abbassato il rating, cioè il voto sull’affidabilità di Atene, fino al penultimo scalino al di sopra dei titoli spazzatura: A-. Le tensioni sullo spread del paese mediterraneo iniziano ad allungarsi sull’Italia, che dopo la Grecia (già arrivata a quota 2,50 per cento) è quello con lo spread più alto rispetto al Bund decennale.

Per colpa dell’immenso stock di debito esistente e delle lacunose prospettive di rilancio economico, persino due Paesi che certo non godono di grande salute finanziaria, come la Spagna e il Portogallo, hanno un differenziale migliore di quello dei nostri Btp decennali: è pari infatti all’1,20 per cento lo spread dei Bonos emessi dal Tesoro di Madrid e all’1,30 per cento quello dei titoli di Lisbona. Il Tesoro italiano ha emesso 188 miliardi di bond l’anno scorso e ne emetterà almeno 240 miliardi nel 2009, con un incremento del 28 per cento. La macchina può davvero incepparsi?

“Rispetto a un anno e mezzo fa, quando l’ipotesi di avere problemi nel collocare titoli e ogni accostamento alla crisi argentina non sarebbe venuta in mente a nessuno, ora gli spread in aumento dimostrano che qualcuno è disposto a credere a uno scenario così cupo”, sostiene Luigi Guiso, che insegna economia all’European University Institute di Firenze e ricorda che prima di fallire, il paese sudamericano era arrivato ad avere uno spread del 3,5 per cento rispetto a quello dei paesi meno rischiosi del continente americano. Aggiunge Guiso: “La vera incognita è l’effettivo impatto della recessione sui bilanci delle banche. Se sarà forte, ciò danneggerà ulteriormente lo stato di salute dell’economia italiana, e allora il Prodotto interno lordo potrebbe anche calare più del 2 per cento immaginato dalla Banca d’Italia”.

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