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Lombardi, come mai siete caduti tutti cosi in basso?

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Di fronte a una Regione Lombardia che affonda sotto i colpi di una dozzina di scandali (da quelli sessuali a quelli con la n’ndrangheta), ci si domanda dove sia finita la Grande Borghesia milanese. Perché è silenziosa?

La risposta è piuttosto semplice: non c’è più. C’è chi dice che i grandi borghesi si sono estinti nell’Ottocento, quando i commercianti milanesi ricoprirono di paglia tutta via Manzoni perché il traffico delle carrozze non disturbasse il riposo del maestro Giuseppe Verdi che stava morendo in un albergo della strada. Chi oggi avrebbe tanta passione per la musica e tanto rispetto per un genio?

Ma non è vero. Anche Alberto Pirelli, negli anni Venti, è stato un grande borghese. Intimo di Mussolini, veniva ricevuto prima delle delegazione ufficiale della Confindustria, definiva le questioni aperte con il Duce e poi lasciava il passo ai notabili della Confindustria. Mussolini offriva loro un caffè e li rispediva a casa, tanto aveva già concordato tutto con Pirelli. Ma lui non era un fascista, la sua stella polare era la democrazia inglese. Era in amicizia con il Duce perché pensava che il fascismo fosse una buona barriera contro il bolscevismo.

MA ALLO SCOPPIO dell’avventura africana, Alberto Pirelli rompe di colpo con il Duce: bisognava modernizzare l’Italia, non infilarsi nelle sabbie della Libia.
Dopo la guerra, la Pirelli e la Montecatini saranno le due uniche società che, in una forte controversia fra Confindustria e sindacati, si schiereranno dalla parte dei sindacati. Più tardi ancora, se vogliamo, possiamo elencare i tanti che giravano intorno alla Banca commerciale di Raffaele Mattioli (da Malagodi a La Malfa, da Bruno Visentini a Leo Valiani e Cuccia).

Di Mattioli è rimasto famoso un suo incontro con Giovanni Borghi, il geniale fondatore della Ignis, che era andato a chiedere un prestito. Conclusa la pratica, Mattioli gli disse: «Venga con me, le voglio mostrare il vero tesoro della banca». Lo porta in una stanza, apre una cassaforte e dentro c’è l’intera collezione dei Classici Ricciardi. Borghi racconterà ai suoi: «Quel Mattioli lì l’è un po’ matt, ma i soldi me li ha dati».

MATTIOLI è la stessa persona che, come presidente della Comit, conserva per anni, sotto il fascismo, i ‘Quaderni dal carcere’ di Antonio Gramsci e che più tardi li farà arrivare in Inghilterra all’economista Piero Sraffa.

Di tutto questo mondo non c’è più niente. E nemmeno di quello spuntato dentro il miracolo economico (e ben raccontato nella ‘Vita agra’ di Luciano Bianciardi e in tanti articoli e saggi da Umberto Eco).

E non c’è più niente perché Milano negli anni Settanta ha vissuto una trasformazione totale. Da grande città manifatturiera e operaia si è trasformata in una città terziaria. Via le tute blu e avanti con i commercialisti, i pubblicitari, i consulenti, gli avvocati, gli uffici di pubbliche relazioni. Dove c’era un popolo è spuntata una moltitudine.

La trasformazione, peraltro, è stata spontanea, non guidata, non programmata, non prevista (un caso quasi unico in Europa). E quindi è andata non verso il meglio (l’alta tecnologia, ad esempio), ma verso le attività più immediate e considerate più redditizie. Non ci sono stati investimenti ‘di progresso’, sul futuro.

La borghesia uscita da questo impasto è una borghesia minuta, con poche aspirazioni e pochi obiettivi. Pronta a farsi suggestionare dalla Lega, da Grillo e, ieri, da Bossi, da Berlusconi e da Formigoni. E con due sole idee in testa: avere buoni servizi e pagare poche tasse.

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