Società

LO SCANDALO DEI GIORNALI FINANZIATI

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Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) –
Colleghi di Report, e in primis Milena Gabanelli che della trasmissione di Rai3 da anni è conduttrice e animatrice, ho chiesto io di rispondere al vostro servizio di domenica sera, dedicato alla stampa italiana sostenuta dal finanziamento pubblico. Per tre buone ragioni.

(Leggi la trascrizione integrale dell’inchiesta di Report IL FINANZIAMENTO QUOTIDIANO: Lo scandalo dei giornali come Libero, il Foglio, Italia Oggi, Europa, Unita’, che prendono decine di milioni di euro dallo stato. L’editoria italiana sovvenzionata con 700 milioni di euro all’anno. E noi paghiamo per giornali che nessuno legge!)

La prima è che a differenza di molti che altrove se ne riempiono la bocca sono liberista e antistatalista di fatto e non di nome, dunque l’accusa lanciata nella vostra trasmissione a Libero a me brucia in massimo grado. La seconda è che sono abituato a parlare carte alla mano, e a rispettare i colleghi che la pensano anche molto diversamente da me – e non me ne importa nulla per che cosa votino o non votino – se hanno carte in mano. La terza è che tanto mi sono incazzato al servizio che avete mandato in onda, che la prima cosa che ho fatto mentre ancora veniva trasmesso è stato di appendermi al telefono col direttore generale dell’azienda, per avere conferma di come stavano le cose.

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E, ieri mattina, riprese le carte in mano penso proprio che sia stato giusto e sacrosanto, procedere per una volta a un passo verso il quale abitualmente non ho alcuna fiducia, quando si tratta di polemiche giornalistiche: citarvi in giudizio per danni. Nel puntare il dito accusatore contro i denari pubblici alla stampa, avete ragione. Per quanto mi riguarda, la legge va abrogata. Per farla abrogare, bisogna indurre i cittadini a sapere come stanno le cose. Dei 447 milioni e 38 mila euro che fanno parte delle previsioni assestate 2007 delle provvidenze all’editoria, però, voi avete citato solo en passant il fatto che 23 milioni e mezzo vanno al Corriere della sera-Gazzetta, oltre 19 milioni al Sole 24 ore di Confindustria, oltre 16 a EspressoRepubblica, oltre 10 all’Avvenire e 30 alla Mondatori.

E via continuando, per consistenza di grandi gruppi editoriali. L’avete detto interpolando a un certo punto e di corsa passaggi diversi di un lungo servizio, il cui montaggio era invece intenzionalmente rivolto a descrivere Libero, come il giornale italiano principe dei ladri. Come il più disinvolto a beccarsi i suoi 5 milioni e 450mila euro di contributi barando su conti, fatture e vendite. Siete padroni, padronissimi di considerare Libero carta igienica, cari colleghi di Report e carissima Gabanelli. Ma c’è un particolare decisivo. Le accuse che avete lanciato sono false. E lo sono carte alla mano, perché me le sono fatte ridare tutte dall’amministrazione. E so perfettamente che, scrivendo oggi, mi espongo a venire in Tribunale per accusarvi. Non sarà un piacere, vi garantisco, ma se necessario non mi tirerò indietro. Per esempio, avete sbertucciato Vittorio Feltri sostenendo che diceva balle, nell’intervista che vi ha reso e che avete artatamente interpolato.

Ma quando mai, avete detto, Libero vende a Ferrovie dello Stato le copie al giorno regolarmente fatturate come vi diceva Feltri. Bernardo Iovene ha replicato che avete le prove che ogni giorno le copie sono almeno 670, dunque più di 20mila al mese circa. Ebbene avete mentito per la gola. Perché le fatture qui parlano chiaro: il mese del 2006 in cui Libero ha venduto più copie a Fs è stato novembre scorso, e le copie sono state 4.626. In tutti gli altri mesi dell’anno le cifre del venduto a Fs stanno tra le 1500 e le 1.700. Al mese, dunque una cinquantina di copie al giorno, non 14 volte tanto come da voi affermato. In più, avete mentito sul fatto che la fondazione Onlus che gestisce la testata di Libero abbia la stessa partita Iva di una società a fini di lucro dell’editore Angelucci, e la cosa vi era stata del resto correttamente risegnalata anche dopo l’intervista che avete realizzato al direttore generale della nostra editrice.

Intervista interpolata anch’essa, naturalmente. Avete preferito mandare in onda la parte in cui il nostro Di Giore non ricordava a memoria la partita Iva, ma avete chiuso gli occhi sulla sua successiva e-mail, in cui vi informava che aveva controllato e le cose non stavano come da voi affermato. Ancora, avete presentato un’entrata del Policlinico Umberto I di Roma come un centro smistamento di migliaia di copie di Libero date gratis ai passanti, per non far comprare altri giornali e mandare in malora il limitrofo edicolante.

Quando, con tutto il rispetto, qui a Libero il successo della crescita di copie vendute – il più eclatante nella storia recente del giornali- smo italiano, dovreste saperlo, i dati sono ufficiali – dipende esclusivamente proprio dal venduto in edicola, non dagli abbonamenti né dal venduto commerciale che per tutte le altre testate riguarda sino al 40 o al 70% della propria diffusione certificata. Anche nel caso del Policlinico romano, vi era stato detto che le copie sono vendute ad acquirenti e non regalate: ma voi ve ne siete fregati, avete tirato dritto per la vostra strada. Il cui obiettivo rispondeva in tutto e per tutto – lo vedremo in giudizio, per il momento è opinione mia a dare di Libero l’immagine che vi siete ben sognati di appioppare ad altre testate che si abbeverano alla greppia pubblica per multipli della cifra relativa al nostro contributo, e che si diffondono con ben altra disinvoltura commerciale rispetto alle magrissime poche copie da noi vendute fuori dalle edicole.

A dirvela tutta, prima della realizzazione del vostro servizio mi era capitato anche di parlarne con i manager della nostra azienda. Proprio perché mi brucia – il con- tributo pubblico – li avevo invitati a ricevervi carte alla mano, facendovi leggere nel caso in cui non lo sapeste – quante centinaia di milioni vanno ai giornaloni confindustriali, quelli che parlano di nuovo partito della borghesia concorrenziale – e mostrandovi le fatture che attestano inequivocabilmente quanto Libero sia lontano dalle decine – anzi centinaia di migliaia – di copie di finto venduto che gravano sulle loro distribuzioni certificate. Quello era il mio consiglio, perché ritenevo che non avessimo nulla da nascondere, naturalmente. Ma anche perché tantissime volte, negli anni, mi è sembrato che svolgeste un servizio d’informazione prezioso. Ora devo invece toccare con mano che invece, nel nostro caso, avete deciso di ignorare le carte e le risposte.

Quante altre volte lo avete fatto? Devo arrendermi all’evidenza che avete montato un servizio in cui i commenti e le immagini successive erano artatamente e abilmente volte a ridicolizzare i fatti che vi erano stati esposti. Avete mostrato Feltri irato, quando vi chiedeva di esibire evidenze diverse, e poi lo avete irriso parlando di centinaia e centinaia di copie gratis diffuse sui treni, esibendo come prova un fattualissimo «lo sanno tutti, anche i controllori». Io dei controllori non so, leggo qui le fatture.

E concludo che evidentemente il fatto di starvi sulle scatole vi ha indotto a metterci alla berlina. Voi, pagati tutti coi soldi solo dello Stato, prendere per i fondelli tanto selvaggiamente uno dei pochissimi quotidiani che ancora assume giornalisti grazie alle copie che vende giorno dopo giorno dopo esser partito per l’ennesima volta da zero, come Feltri. C’è di peggio, che la delusione che provo per voi. È la constatazione che nel nostro mestiere il dissenso sulle tesi porta a mentire, deridere e infamare. Che tristezza.

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