Società

LITIGIO FISCALE E LUOGHI COMUNI

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news
*Ranieri Razzante, oltre ad essere docente di Legislazione Antiriciclaggio all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, è presidente di AIRA, l’Associazione Italiana dei Responsabili Antiriciclaggio. AIRA è un’associazione indipendente, non politica e senza fini di lucro. Il suo compito è quello di diffondere la cultura della lotta al riciclaggio di denaro sporco. Maggiori informazioni su: www.airant.it. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Alta la tensione che corre sul filo che unisce l’Italia e la Svizzera. Due paesi molto vicini, ma a volte solo geograficamente. Questo alla luce delle ultime vicende, che hanno segnato l’ennesimo contrasto in materia fiscale, ma anche alla luce di quelle vicende passate, probabilmente mai totalmente risolte. La Svizzera, si sa, è un paese indipendente, non solo da un punto di vista politico ma anche e soprattutto come modo di pensare. Difficile che esprima giudizi o pensieri sulla politica internazionale o meglio ancora su quella di un singolo paese.

Eppure nelle ultime settimane dal di là delle Alpi sono arrivate frecciate, accuse, commenti amari e richieste di chiarimenti rivolte al governo italiano (il Ministro Tremonti in primis) riguardo l’atteggiamento che l’Italia sta avendo nella conduzione della propria politica fiscale e del rimpatrio di denaro voluto con lo scudo. Ciò ha calato un gelo nei rapporti dei due paesi, ripreso anche dalla stampa internazionale dove l’autorevole Financial Times, titolava qualche giorno fa «Il litigio fiscale congela i colloqui italo-svizzeri».

Tutto è partito dalla politica varata dallo stato italiano di mostrarsi intransigenti nei confronti di atteggiamenti elusivi di propri cittadini, particolarmente avvezzi a nascondere le proprie ricchezze fuori dal territorio nazionale, sottraendosi così all’imposizione fiscale varata dalla madre patria. “Prosciugheremo Lugano” pronunciava (o minacciava) il Ministro dell’economia, pochi giorni fa. Considerando che Lugano è la terza piazza per importanza in Svizzera dopo Zurigo e Ginevra, è presto detta la gravità dell’affermazione. Le affermazioni di Tremonti si innestano in un contesto più ampio che deriva direttamente da un nuovo atteggiamento nei confronti dell’evasione fiscale.

Vero è che l’Italia è proprio ora impegnata nell’operazione di rimpatrio di denaro dall’estero, quindi a prima vista potrebbe sembrare un atteggiamento per così dire controverso: da un lato si “giustifica” l’evasione, sanandola con lo scudo, e poi ce la si prende con un paradiso fiscale perché fa il suo mestiere. Ma se si legge tra le righe del provvedimento che ha varato lo scudo, si comprende subito che l’atteggiamento dell’Italia in questo momento non è di giustificazione ma di avvertimento: lo scudo è un male necessario, ma non accade tutti i giorni di avere una tale opportunità. In sostanza, approfittatene ora, perché poi non si faranno sconti. Copiose sono le disposizioni che prevedono sanzioni ben aspre nei confronti dei trasgressori che ne danno dimostrazione.

Ma torniamo alla Svizzera. Questo piccolo paese cantonale ha da sempre fatto della sua indipendenza un vessillo e ciò l’ha aiutata a rimanere immune dai grandi mali del capitalismo moderno, la crisi in primis. La possibilità di accumulare grandi quantità di fondi esteri ha permesso alla Svizzera di avere enormi disponibilità liquide da investire in politiche interne per garantire servizi e benessere. Curioso come in un momento di difficoltà nei rapporti diplomatici con un altro stato, ad alzare la voce non siano stati (almeno non solo) ambasciatori, ministri, presidenti ma semplicemente banchieri, giornalisti e comuni cittadini. Anche gli stessi esponenti politici che hanno attaccato frontalmente lo stato italiano, lo hanno fatto sfruttando il canale mediatico, rilasciando interviste ai principali giornali italiani cercando così di coinvolgere la sempre fragile e facilmente influenzabile pubblica opinione italiana.

Hans-Rudolf Merz, presidente della Confederazione elvetica e ministro delle Finanze nella sua intervista al Sole 24 ore di qualche tempo fa, affermava come “La Svizzera non è un paradiso fiscale”, pur non negando il potere attrattivo che essa esercita nei risparmiatori ed investitori stranieri per il suo regime fiscale favorevole e per le sue agevolazioni in fatto di segreto bancario. “Il nostro paese è tra i leader nell’ambito della lotta alla criminalità finanziaria, al riciclaggio di denaro e al terrorismo. Inoltre, la Svizzera è cooperativa in materia fiscale.”

In effetti molto è stato fatto (su spinta dell’Ocse e dei paesi occidentali) negli ultimi mesi per adeguare gli standard interni a quelli internazionali, in primis varati nelle più recenti riunioni dei “Grandi” del mondo. Un totale di 12 convenzioni ratificate che sono valse alla Svizzera la cancellazione dalla lista grigia Ocse dei paesi meno collaborativi. La Svizzera non sembra per il momento preoccupata dallo scudo fiscale, i cui risultati sono ancora incerti e difficilmente quantificabili in termini assoluti. Più preoccupanti sono gli sviluppi degli ultimi contrasti diplomatici tra vertici di stato che sono costati la pietrificazione dei negoziati, soprattutto dopo le ultime esternazioni del Ministro italiano.

Franco Citterio, direttore dell’associazione bancaria del Ticino affermava sulle pagine del Financial Times «le banche dell’associazione gestiscono asset per 400 miliardi di franchi svizzeri (265 miliardi di euro), due terzi dei quali si ritiene appartengano a stranieri. E di questi, almeno la metà sono italiani». L’Italia valuta ciò un fatto grave e non più sottovalutabile, tanto da discutere sull’introduzione di sistemi di controllo molto pervasivi, come aerei spia e video sorveglianza a monitorare i confini. Alfredo Gysi, capo della Bsi, la principale banca ticinese, critica apertamente questa visione integralista dell’Italia e lo ha fa cercando un attacco diretto alla Svizzera.

Tutto ciò ha portato ad una frattura, una «questione nazionale» e l’approccio giusto adesso è la volontà di prendere «una posizione dura». “Non vogliamo escalation, ma prepariamo misure eventuali” rincara la dose il presidente della Confederazione Merz. L’Italia stima di far tornare in patria almeno 100 miliardi evasi al nostro fisco con un ricavo netto di 5 miliardi di euro. Un’iniezione di fiducia per il sistema – Italia. Circa l’80 % di questi soldi proverrebbero proprio dalla Svizzera. Ed è per questo che Berna avrebbe deciso di interrompere i negoziati per il meccanismo delle doppie imposizioni avviato da tempo con il governo di Roma. “Noi rispettiamo la sovranità dell’Italia che deve rispettare la nostra. Da noi esiste il segreto bancario – puntualizza il senatore elvetico del Canton Ticino – e sia l’Ocs che l’Unione Europea hanno detto che non è un problema. […] Anche questa è una guerra commerciale. Senza parlare delle misure intimidatorie come gli apparecchi fotografici ai valichi doganali, che stanno creando una psicosi da assedio”.

Da questa situazione entrambe le compagni non hanno nulla da guadagnare. Sacrosanto è il rispetto delle sovranità di ciascuno stato, purché questa non vada a discapito del benessere dell’altro. In Italia ci si lamenta che la Svizzera non faccia nulla per evitare che nostri concittadini portino via denaro per nasconderlo nelle banche oltreconfine; in Svizzera si afferma che se questi lo fanno un motivo pur deve esserci. Entrambe le affermazioni sono vere. La Svizzera offre ospitalità ai suoi facoltosi clienti alimentando così un ingranaggio che si lubrifica con questo afflusso di denaro e che gli ha consentito fin dagli inizi del novecento di restare autonoma e benestante. L’Italia deve lavorare su di sé stessa e su una mentalità che accomuna la maggioranza delle persone.

Innanzitutto sulla radicalizzata convinzione che il gettito fiscale sia un furto legalizzato per cui sottrarsi alla morsa del fisco può solo portare benefici alla propria situazione patrimoniale. Spiegare poi a queste persone dove vadano a finire i propri soldi e perché i servizi offerti dallo Stato siano sempre al di sotto delle aspettative e comunque mai all’altezza di quanto versato all’erario è tutta un’altra storia. Una storia che merita un dovuto approfondimento. Ma qui entriamo in un altro capitolo di questa stessa storia.

Copyright © AIRA per Wall Street Italia, Inc. All rights reserved