Economia

Negozi: l’impatto economico della chiusura domenicale

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A cura dell’avv. Luciano Castelli, Partner di LCA

Il Governo ha depositato un progetto di legge (1) che prevede la revisione del DL 201/11 c.d. “Salva Italia” con cui, per volontà dell’allora governo Monti, sono stati liberalizzati gli orari di apertura dei negozi ed è stato garantito il diritto ai commercianti (c.d. retailer) di condurre le proprie attività sia la domenica che i giorni festivi.

La norma attualmente in vigore prevede infatti che “le attività commerciali (..) e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza il rispetto di orari di apertura e di chiusura, dell’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio” (2).

I propositi del governo hanno diviso le rappresentanze delle categorie coinvolte in due schieramenti opposti; tra chi ritiene, esageratamente, che il decreto Salva Italia sia stato l’origine di una nuova forma di “schiavitù”, dato che costringe i dipendenti a lavorare nei giorni festivi (domeniche incluse) e chi, non a sproposito, sottolinea gli effetti benefici che l’approvazione del decreto ha portato da sei anni a questa parte, consentendo di contrastare la crisi occupazionale e quella dei consumi, che nel 2011 si attestava attorno l’6% su base annua (3).

Il tema è adesso tornato prepotentemente di attualità a seguito delle consultazioni iniziate il 26 settembre scorso in Parlamento in merito ai disegni di legge proposti.

Il primo progetto di legge, presentato dal sottosegretario allo Sviluppo Economico, Davide Grippa, stabilisce dei turni a rotazione per l’apertura degli esercizi commerciali nelle domeniche e nei giorni festivi, secondo un piano adottato di concerto tra le Regioni (d’intesa con gli enti locali) e le organizzazioni di categoria dei lavoratori e dei consumatori. Non sarebbero tuttavia incluse attività come alberghi, bar, ristoranti, giornalai e i negozi nelle località turistiche e nelle città d’arte.

Ogni comune dovrebbe in ogni caso rispettare turni di apertura a rotazione del 25 per cento degli esercizi (a seconda del settore merceologico) e un massimo di dodici festività lavorative annue per singolo esercizio commerciale su un modello che è già stato sperimentato nel comune di Modena.

Di contenuto analogo è anche il secondo progetto della Lega, che propone invece un obbligo di 8 chiusure l’anno, escludendo tuttavia i piccoli negozi nelle località turistiche e nei comuni montani, nonché le attività commerciali balneari e quella connesse a tale attività.

Le dure reazioni delle associazioni di categoria non si sono fatte attendere.

Quella della Codacons spicca di certo per la sua durezza:

“Se il Governo vuole uccidere il commercio in Italia, l’iter avviato è sicuramente quello giusto. Una fetta consistente di negozi riesce a sopravvivere proprio grazie agli acquisti che i consumatori fanno nei giorni di festa, quando cioè le famiglie sono libere di uscire e girare per le vie dello shopping e i centri commerciali”.

Vietare le aperture domenicali e nei giorni festivi si tradurrebbe in una condanna a morte per migliaia e migliaia di piccoli esercizi, in un momento storico in cui i consumi sono già al palo”.

Anche Confimprese si è schierata contro la riforma.

Nella relazione illustrata nella commissione Attività produttive della Camera, si legge che obbligare i commercianti a tener chiusi i negozi durante i festivi “porterebbe alla perdita di 150mila posti di lavoro, pari al 5% dell’attuale occupazione nel retail, con particolare riferimento all’occupazione giovanile e femminile che il settore riesce, in controtendenza rispetto ai dati del sistema Paese, a creare.

Di diverso avviso la Confesercenti, che parla di “soddisfazione” per la presentazione della proposta di legge della Lega: “Era tempo di dare un segnale a migliaia di italiani, imprenditori e lavoratori, che aspettano un intervento correttivo sulla deregulation totale oggi in vigore”.

Neutrale si è posta invece la Confcommercio, che “auspica che ci sia una fase di dialogo e di ascolto per affrontare il tema nel merito evitando gli errori del passato con l’obiettivo di tenere insieme le esigenze di servizio dei consumatori, la libertà delle scelte imprenditoriali e la giusta tutela della qualità di vita di chi opera nel mondo della distribuzione commerciale”.

Le aperture domenicali e festive rappresentano un importante servizio per i cittadini, dal momento che, come riporta Federdistribuzione circa 19,5 milioni di persone acquistano la domenica; 12 milioni nella sola Distribuzione Moderna Organizzata e 6 milioni di persone mediamente frequentano i centri commerciali la domenica.

È quindi facilmente prevedibile che, nel caso in cui un provvedimento del genere fosse approvato, vi sarebbero diverse conseguenze dannose, tra cui:

  • Una riduzione delle vendite, con conseguente frenata degli investimenti e riduzione dell’impatto positivo che la DMO ha sui territori grazie all’indotto generato, sia in termini di sviluppo che di occupazione, dal momento che il settore della DMO ha un’incidenza significativa sulla realtà economica del Paese, coinvolgendo, attraverso il suo indotto, 2 milioni di lavoratori, realizzando il 7% del P.I.L. nazionale e versando circa 30 miliardi di tasse e contributi nelle casse dell’Erario (4).
  • Un calo dei consumi, il cui rischio resta perdurante, soprattutto se si considera che le vendite al dettaglio misurate dall’Istat per i primi 6 mesi del 2018 sono totalmente in calo (+0,1%) rispetto al +0,9% registrato nel 2017.
  • Inevitabili impatti sull’occupazione. L’industria dei centri commerciali nel suo complesso impiega 553.000 persone, pari a 400 milioni di euro in maggiori stipendi. La cancellazione delle aperture nei giorni festivi colpirebbe almeno 40.000 lavoratori (nel solo settore dei centri commerciali), andando ad impattare per lo più le cc.dd. categorie deboli, dato che la maggior parte dei lavoratori è costituita da donne e da giovani dal basso livello di scolarità (5).

La regolamentazione degli orari di apertura comprometterebbe perciò un sistema che ha contribuito ad aumentare il potere d’acquisto delle famiglie, l’occupazione ed i consumi, in controtendenza con gli effetti del duraturo periodo di crisi in cui versa il nostro Paese.

In definitiva, la scelta di imporre una regolamentazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali, sebbene realizzata con il meritevole intento di rendere più eque le condizioni di lavoro, a mio avviso, metterebbe a rischio la sicurezza economica di imprese e lavoratori, rischiando altresì di ledere il principio di libera concorrenza.

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(1) Camera dei Deputati – Proposta di legge n. 526
(2) Art. 3, comma 1, DL n. 223/2006 (conv. L. 4 agosto 2006 n. 248), così come modificato dall’art. 31 del DL 201/2011 (conv. L. 22 dicembre 2011 n. 214)
3) Vd. Report Istat – I consumi delle famiglie 2011, in cui viene specificato che i consumi per calzature e vestiario presentavano un calo del 5,9 %, essendo rimasti stabili solo i dati dei consumi relativi all’abitazione.
4) Indagine Ernst & Young (EY) “Il contributo della DMO al Paese. Analisi del Valore Esteso” – Novembre 2017
5) Secondo l’Istat dell’ammontare totale dei lavoratori “domenicali” il 61% è donna e il 42,9% sono giovani sotto i trent’anni.