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Le prossime bolle in arrivo

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Le ultime settimane non hanno aumentato l’ottimismo. I leader della zona euro continuano a fare affidamento sulle loro banche centrali per fare il lavoro sporco e il “tergiversare” sta cominciando ad avere effetti in tutto il mondo, sia sulla fiducia dei consumatori che su quella delle imprese. Quella che quest’anno doveva essere una recessione europea relativamente poco profonda, ora rischia di diventare un qualcosa di molto più grave.

Il rallentamento è strutturale

In Asia, la Cina sembra a questo punto particolarmente vulnerabile. Come ho più volte sottolineato i dati ufficiali macroeconomici provenienti dalla Cina, anche quando le cose vanno bene, sono fuorvianti. In questo momento desidero citare Geraldine Sundstrom, il noto gestore di fondi sui mercati emergenti di Brevan Howard, che è solito dire: “Non ascolte quello che dicono le autorità cinesi. Guardate invece a quello che fanno”.

Ho deciso di fare proprio questo e ho scoperto che recentemente è stata applicata una tassa del 20% sui terreni non utilizzati. Si tratta di una misura veramente drastica e che supporta la mia tesi: da molto tempo il rallentamento cinese è molto più marcato rispetto a quanto coloro che sono positivi sulla Cina sono disposti ad ammettere.

Un rallentamento congiunturale non è la sola sfida che i cinesi stanno affrontando. L’urbanizzazione del paese sta rallentando da un 3-4% stimato nello scorso decennio ad un 1-2% per il prossimo. La forza lavoro ha raggiunto i massimi mentre parliamo e la demografia diventerà un fattore sempre più negativo negli anni a venire. E tutto questo fa pensare che, in tempi non troppo lunghi, la crescita annua del PIL in Cina arrivi ad un 5% e anche meno.

L’unico fattore positivo, non solo per la Cina, ma anche per tutte le nazioni consumatori di petrolio, è il recente calo dei prezzi del petrolio. Anche se l’impatto non dovrebbe essere così rilevante, il calo dei prezzi del petrolio è simile ad un taglio delle tasse.

Una caduta di $20 dollari del prezzo del greggio, si traduce in un trasferimento del 1% della ricchezza da parte dei paesi produttori di petrolio verso i paesi consumatori di petrolio. Poiché il tasso di consumo è maggiore nei paesi consumatori di petrolio, l’effetto netto di una goccia $20 nel prezzo del greggio è un aumento del PIL mondiale di circa lo 0,5%.

Ho potuto notare che molti investitori americani sono particolarmente ignari di quanto sta avvenendo. Per la maggior parte dei casi sono lontani dalla situazione Europea e quindi, principalmente, concentrati sulla loro situazione interna. Poiché i margini di profitto delle multinazionali americane continuano ad essere impressionanti, sembra che si voglia credere che le aziende americane siano ben protette contro degli eventi in Europa. Ho la percezione che questo stia per cambiare. Vediamo. Le imprese degli Stati Uniti cominceranno nei prossimi giorni ad annunciare gli utili del secondo trimestre. Avremo sicuramente la possibilità di fare qualche interessante lettura.

L’Asia è una bolla che sta per scoppiare?

Vi chiederete dove voglio arrivare con tutto questo. Nulla di quello che ho riportato è una scienza assoluta ma è molto rilevante nel contesto del dibattito che ho aperto nella Absolute Return Letter di maggio: dove emergerà la prossima bolla speculativa? Ritengo infatti che l’attuale politica monetaria favorisce la creazione di eco bolle. E’ solo una questione di dove e quando.

Se le politiche dei tassi in tutta l’Asia sono pericolosamente basse, ciò si traduce in un imminente pericolo? Permettetemi di riassumere ciò che ho scritto due mesi fa:

La Perfetta Tempesta Finanziaria si verificherà quando (1) gli investitori fanno delle scommesse sulla base di previsioni molto simili, (2) la loro scommessa è molto “grossa”, come ad esempio, la scommessa sul prezzo del loro principale asset (la loro casa), e (3) gli investitori e le banche sono al massimo di leva finanziaria.

L’Asia è già probabilmente in linea con le prime due condizioni, ma non ancora con la terza. Parafrasando il lavoro di Duncan Wooldridge di UBS, il ciclo del credito inizia con diversi anni di crescita del rapporto debito / reddito, che di solito viene alimentato da un facile accesso al credito a buon mercato. Il credito facilmente accessibile porta ad una crescente e cattiva allocazione dei capitali, provocando un aumento degli investimenti negli asset poco affidabili? Questa rappresenta la seconda fase di un ciclo del credito, ed è in linea di massima quella in cui si trova oggi l’Asia.

La terza fase è il punto critico in cui nelle banche il rapporto prestiti / depositi raggiunge un livello insostenibile. Come conseguenza di questo la liquidità e finanziamenti aumentano sempre di più e i prestiti poco affidabili crescono in modo drammatico. Il rapporto prestiti/depositi è ancora ben al di sotto dei livelli registrati nel 1997. Inoltre, la maggior parte dei paesi asiatici (ex India) sono oggi delle nazioni creditrici, e questo fornisce loro un cuscino che non avevano nel 1997.

Per ora, nel breve termine, la sfida chiave per l’Asia è la sua continua dipendenza dalle esportazioni. Il mercato interno è ancora troppo piccolo per poter compensare una caduta della domanda dall’estero. Questo è illustrato nella figura 5, per gentile concessione di PIMCO. In media, ogni aumento dell’1% del disavanzo delle partite correnti statunitensi determina un corrispondente aumento dell’1% della crescita del PIL in tutti i mercati emergenti.[ARTICLEIMAGE]

In seguito alla crisi negli anni 1997-98 i paesi Asiatici hanno imparato che potevano esportare il loro modello di prosperità. Tutto ciò richiede solo un approccio mercantilistico (ossia: tassi di cambio artificialmente bassi), ed in questo modo il resto del mondo viene messo nelle condizioni di comprare. Da allora l’Asia ha continuato a rafforzarsi con quasi tutti i paesi che, nel corso degli ultimi 15 anni, hanno accumulato grandi riserve di valuta estera; ma solo la valuta di Singapore si è apprezzata nei confronti del dollaro, dalla metà degli anni 1990.

Questa è la conferma di una mancanza di leadership politica e di pura stupidità, della quale abbiamo sofferto in Occidente negli ultimi anni. Gli asiatici se la stanno solo ridendo, nei confronti delle banche centrali. Per la cronaca, io non biasimo gli asiatici. Stanno solo facendo quello che chiunque altro avrebbe fatto, se gli fosse stata offerta l’opportunità. Do solo la colpa agli imbecilli che guidano il manicomio, in questa parte del mondo.

I paesi che hanno persistenti avanzi delle partite correnti tradizionalmente investono gran parte delle loro riserve in valuta straniera, in buoni del Tesoro degli Stati Uniti. E questi sono generalmente tenuti in custodia dalla Federal Reserve Bank. Negli ultimi mesi la crescita in alcune aziende è un po’ rallentata, segnalando un reale rallentamento delle esportazioni asiatiche verso gli Stati Uniti.

Se, inoltre, si considera che la base monetaria in molte economie emergenti è definita dalla dimensione delle loro riserve in valuta estera, la inevitabile conclusione è che la situazione della liquidità in tutta l’Asia si sta deteriorando. A margine, questo aumenta la probabilità di un evento creditizio negativo in Asia (la terza fase del ciclo del credito di cui sopra) che potrebbe succedere prima di quanto si possa immaginare. Tuttavia, con ogni probabilità, un simile evento probabilmente non richiederà solo pochi mesi, ma diversi anni.

La negazione degli Australiani

Nel breve periodo, un candidato molto probabile verso una fase di blow-up è il mercato immobiliare australiano, con i suoi prezzi completamente gonfiati. La contro-argomentazione è la grande quantità di ricchezza che è stata creata negli ultimi anni in Australia, come conseguenza del boom nel settore minerario – una motivazione che è stata evidenziata da parte di diversi lettori, a seguito della newsletter del mese scorso.

Ora, questo sarebbe un argomento perfettamente valido se non fosse per il fatto che i prezzi delle materie prime seguono uno schema piuttosto prevedibile – in media circa un decennio di forte apprezzamento dei prezzi, seguiti da due decenni di calo dei prezzi – e ci stiamo avvicinando alla fine del decennio con prezzi delle materie prime in crescita. Nel lungo periodo, questo ha portato alla conseguenza che i prezzi delle materie prime non vanno praticamente da nessuna parte.

Un altro modo di vedere le cose, certamente un po’ meno accademico, è quello di confrontare l’attuale ciclo rialzista dei prezzi delle materie prime con il boom delle dot.com alla fine degli anni ‘90. Al culmine del boom delle dot.com, circa 12-13 anni fa, i titoli tecnologici (high tech) hanno rappresentato circa il 25% della capitalizzazione del mercato globale, e il boom aveva creato 75 miliardari (in dollari) nel settore IT, contro i solo 29 provenienti dal settore energetico.

Un decennio più tardi, questi numeri si sono completamente invertiti. In questo momento le azioni delle materie prime (energia e materiali) rappresentano un quarto del valore del mercato globale, ed ora noi abbiamo 91 miliardari (in dollari) nel settore dell’energia, rispetto ai soli 36 provenienti dal mondo del IT. Questo è un segnale di quello che dovrà succedere?

L’attento lettore dovrebbe ormai aver capito che io non comprerei mai il libro ‘This time is different’ (questa volta è diverso), tesi sostenuta da coloro che sono rialzisti sulle materie prime. I fedeli seguaci della Absolute Return Letter, sanno che io sono un convinto sostenitore dell’ingegno umano (si veda ad esempio qui). La creatività e l’intraprendenza alla fine prevarranno, il che spiega il perché nel lungo periodo i prezzi delle materie prime non vanno da nessuna parte.

L’unica eccezione che faccio a questa regola è per le materie prime agricole: non abbiamo ancora capito come produrre proteine artificiali su scala commerciale, anche se potrebbero non mancare troppi anni affinché questo accada.

Altre possibili bolle

Le obbligazioni sono considerate da molti in un territorio da bolla. Non credo a questa ipotesi. In questo periodo i prezzi delle obbligazioni sono politicamente controllati. Ricordo ancora il primo anno di università, quando ci hanno detto che la banca centrale controlla la parte a breve della curva dei tassi, non quella a lungo. Non è più così.

Inoltre i nostri banchieri centrali sanno fin troppo bene che l’economia globale è estremamente fragile e che un aumento dei tassi, in entrambe le estremità della curva, potrebbe avere delle conseguenze catastrofiche. Non mi aspetto un sostanziale aumento dei rendimenti nel breve e non ho assolutamente alcuna intenzione di scommettere contro il mio governo, che ha delle risorse praticamente illimitate. Si tratta di una scommessa, che quasi certamente perderei.

Agli attuali livelli, le quotazioni azionarie sono abbastanza attraenti (grafico 9). Anche se c’è qualche rischio ciclico sugli utili nel breve termine, e quindi di valutazioni, ma è difficile non essere rialzisti nel lungo termine. Abbiamo solo bisogno di qualche chiarimento sui problemi della zona euro, in modo tale che il mondo possa continuare ad andare avanti.

Il mio denaro è pronto a cogliere il fatto che la Merkel possa prendere il toro per le corna nei prossimi sei-nove mesi, in modo tale che un tema non diventi troppo grande in occasione delle elezioni parlamentari tedesche del prossimo anno.

Questo lascia le materie prime, ed il petrolio in particolare, come il mio unico e serio altro candidato per la ‘bolla che sta per scoppiare’ in termini di prezzi. In questo momento, c’è un eccessiva quantità di petrolio nel mondo. La produzione degli Stati Uniti è cresciuta negli ultimi 12 mesi.

La Libia e l’Iraq sono tornati operativi molto prima del previsto. Inoltre la maggior parte dei produttori OPEC continuerà a barare e tutto questo sta accadendo in un contesto di rallentamento della crescita economica.

Nel frattempo, il denaro ha continuato ad essere investito in fondi basati sulle materie prime. Secondo le stime di Morgan Stanley gli investimenti di tutto il mondo in fondi sulle materie prime sono più che raddoppiati, negli ultimi cinque anni, per un valore pari ad oltre $400 miliardi e il volume degli scambi giornalieri sui futures energetici è enorme, ed è pari a 25 volte la domanda giornaliera di energia.

Se l’economia globale continuerà ad indebolirsi e produttori di petrolio non regoleranno di conseguenza la loro produzione c’è una buona possibilità che i prezzi del greggio continuino a scendere e questo sarebbe molto positivo per l’economia globale nel 2013.

Conclusione

Quindi non è tutto negativo. Ci stiamo solo inserendo in un peggioramento ciclico, nel secondo semestre di quest’anno. Dietro questo c’è un insieme di sfide, di natura più strutturale, che richiederanno anni per essere risolte. I nostri amici americani – ad eccezione di una piccola ma forte minoranza – non accettano il fatto di avere una serie di problemi interni che sono abbastanza gravi.

I nostri amici asiatici continueranno ad “imbrogliare” il loro modo di prosperità fino a quando non torneranno con i piedi per terra. E gli europei continueranno a discutere fino a quando i buoi non lasceranno il recinto e non avranno capito quello che è giusto fare per curare la nostra malattia, mentre la società come noi la conosciamo si sta fortemente sfaldando.

Ma, come diceva Churchill (e io ne faccio la parafrasi), si finirà per prendere le giuste decisioni dopo aver perseguito ogni altra strada. E’ proprio per questo motivo, che le azioni sono a buon mercato. Semplicemente non so quanto tempo ci vorrà. Ma se è vero il mio sentore circa la signora Merkel, il prossimo mercato azionario rialzista non è così distante.

Su con la vita e godetevi l’estate. Ci rivediamo nel mese di settembre …

Niels C. Jensen – ha 28 anni di esperienza nel investment banking, private banking e asset management. Ha iniziato la sua carriera in Andelsbanken (ora Nordea) a Copenaghen. Nel 1986 entra in Shearson Lehman (poi diventata Lehman Brothers); nel 1989 entra a far parte di Goldman Sachs fino al 1996 quando passa in Oppenheimer per diventarne il responsabile europeo. A partire dal 1999 diventa responsabile del Private Wealth Europeo di Lehman Brothers. Niels fonda nel 2002 Absolute Return Partners LLP ed ora è il suo Managing Partner.