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LE MANI DI CDB
SUI PARTITI

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(WSI) – Padronale come può e deve essere un editore in casa propria, però questa volta in casa altrui: l’Ingegner Carlo De Benedetti s’è fatto vivo ieri sull’Unità con una lettera nella quale l’unico elemento di cordialità galleggiava nei saluti conclusivi. De Benedetti ha scritto al direttore Antonio Padellaro, suo ex dipendente ai tempi in cui lavorava all’Espresso.

Si è rivolto a lui verniciando di eccezionalità questa scelta (“nei tanti anni da quando ci conosciamo e stimiamo le ho scritto pochissime volte”) ed è passato subito a contestare “l’insolita animosità e alcuni riferimenti offensivi” apparsi sul quotidiano di area diessina sabato scorso. L’Ingegnere premette che apprezza l’ironia e figurarsi se non capisce lo spirito, però lui, riassumendo per ordine di importanza: non ha mai inteso “rottamare Prodi”; ha parlato della necessità di dar vita a un Partito democratico e questa “cosa” se l’è “inventata per primo Prodi”; non ha mai parlato di un ticket Veltroni-Rutelli, si è riferito a loro (ma avrebbe potuto estendere il riferimento a Fassino, Bersani, Letta, Franceschini) per la semplice ragione che bisogna dare un orizzonte all’Italia “e questo orizzonte, per definizione, presuppone un cambio di generazione, così come dice giustamente Bersani”.

E poi attenzione a fare i maliziosi sul patrimonio svizzero di un padrone come lui, così visibile nel suo essere “fisicamente residente in Italia”. Infine, che sia per sciocchezza o per malafede, ogni allusione obliqua “alla Sme e ai relativi processi è intollerabile per uno come me che è stato vittima di uno scippo a opera di Berlusconi, avvenuto tramite Previti, come la Corte d’Appello di Milano ha confermato pochi giorni fa. Forse il brillante corsivista vuole farmi passare per qualcuno sul quale con riferimento allo scandalo Sme è meglio sorvolare?”. Per carità, a giudicare dalla risposta sottostante del “brillante corsivista” Padellaro, un poco imbarazzato, le intenzioni dell’Unità erano di riferirsi “agli imputati di quelle trame e di quei processi, non certo alle parti lese”.

Quanto al resto, l’espressione “rottamare” l’ha usata il leader dell’Unione, l’Unità invece dice grazie all’Ingegnere “per aver reso più chiaro il significato politico” delle sue parole, e senza malafede, esprime pareri diversi, al massimo vivaci, “nei confronti di un imprenditore a cui rinnoviamo stima e amicizia”. Ecco come muore il piccolo scatto di fierezza politica sfuggito a caldo sul giornale fondato da Antonio Gramsci.

Perché l’Unità ci aveva davvero provato, sabato, a gettare dentro un corsivetto qualche interrogativo dubbioso sulla santità delle mani con cui, di punto in bianco, l’Ingegner Carlo De Benedetti pare aver deciso di agguantare l’Unione prodiana per strapazzarla e cavarne un Partito democratico à la carte. Un progetto urgente da affidare alla baldanza giovanile di Walter Veltroni e Francesco Rutelli (con auspicabile aggiunta di coetanei vari e democrats). Tutto questo, inevitabilmente, non appena “l’amministratore straordinario” Romano Prodi, come un qualsiasi funzionario della Protezione civile alle prese con l’emergenza, avrà finito di guadagnarsi le proprie mesate.

“Il comandante dell’Itaska”

All’Unità non è evidentemente piaciuto questo modo un po’ arrogante con il quale l’Ingegnere cerca di scendere in campo fingendo di starsene seduto sul picco degli avvoltoi a guardare il panorama. E così a Padellaro (o a chi per lui) è uscito dalla pancia quel corsivo allusivo, perfidino e piratesco già nel titolo: “Il comandante dell’Itaska”. Quel timoniere “sbarcato dal rimorchiatore per dirigersi verso la residenza di Grigioni (dove secondo una recentissima classifica di un mensile elvetico detiene un patrimonio personale tra i più importanti della Confederazione), ha detto al Corriere della Sera che il professore farà l’amministratore straordinario del paese, mentre il suo sogno è un ticket Veltroni-Rutelli, tanto giovani intelligenti e moderni”.

Aggiunto (ma “senza polemica”) che “non è la prima volta che De Benedetti e i suoi giornali sbagliano previsioni”, il corsivo si pianta nella carne dell’Ingegnere: “Straordinario potrebbe essere un riferimento alla famosa legge Prodi che, in un periodo tremendo per l’industria, aprì la strada ai salvataggi e alla nomina di commissari ‘straordinari’ per le aziende sull’orlo del fallimento. Oppure De Benedetti voleva ricordare il risanamento condotto da Prodi alla guida dell’Iri, nel corso del suo primo mandato: il professore realizzò un’opera meritoria, riuscì persino a riportare in utile la holding alimentare Sme, proprio quella che l’Ingegnere voleva comprare”.

Conclusione: “La Sme? Meglio chiudere qui, altrimenti ci tocca parlare di vecchie trame e recenti processi”. Non male, come rimescolata nella memoria di uno come CDB, che nel 1978 rilevò l’indebitatissima Olivetti mentre Prodi stava finendo di scrivere la legge che, un anno dopo, avrebbe fatto da salvagente per le imprese italiane bollite. Non male per uno che nel 1985, dall’Iri di cui Prodi era allora presidente, stava per comprare il comparto alimentare chiamato Sme a prezzo non proprio svantaggioso.
Per capire che non si tratta soltanto di memoria storica e vagonate di spiccioli contesi tra l’Ingegnere e i prodiani post-comunisti, bisogna forse osservare il comunista Fausto Bertinotti.

Lui la presenza del nemico di classe accoccolato dietro le quinte, oltreché fiutarla, riesce pure a chiamarla con il suo nome: “Un progetto politico”, e allora “De Benedetti si facesse un partito, chiedesse il voto agli elettori invece di mimetizzarsi”. Il segretario di Rifondazione ha ascoltato come tutti CDB quando, mercoledì scorso, alla convention romana degli aspiranti democrats, ha chiesto la tessera numero uno di un partito che lui, settantenne, affiderebbe volentieri ai giovani protagonisti del XXI secolo.

Come tutti noi Bertinotti ha dato un’occhiata all’intervista che De Benedetti ha rilasciato l’indomani al Corriere della Sera: più che una conversazione, la stesura del programma da parte di un padrone autocratico (per confessione) e “incompatibile con la politica” (per convenienza). Il programma è franato sulla testa dell’Unione con la solennità del modo imperativo: riforma delle pensioni; recupero del provvedimento sul Tfr partorito e consegnato dalla maggioranza nel retrobottega della “futura memoria”; e poi più elasticità nel mercato del lavoro e più coraggio con l’alta velocità.

Il programma dell’Ing.

Eccolo il programma di CDB, finanziere-editore illuminato che al conflitto d’interessi pubblico preferisce la politica degli interessi coperti. Gli interessi da ossigenare e proteggere, per CDB, erano grassi fino a ieri l’altro. Per esempio nel 1994, quando ottenne dal governo Ciampi, giunto alla vigilia della sua scadenza naturale, la seconda licenza per la telefonia mobile italiana (Omnitel). Ed erano affari mica poco confliggenti anche ieri, quando uno dei figli di CDB, Marco, diventò amministratore delegato di Tim nel giugno 1999, mentre il padre gestiva ancora Omnitel, che nel 2000 sarebbe entrata a far parte del gruppo inglese Vodafone.

Quanto ai conflitti coperti di oggi, di attività da proteggere ne ha parecchie e remunerative, il padrone del gruppo Repubblica-Espresso e ispiratore del club Libertà e Giustizia. Importa gas da Libia e Norvegia attraverso la controllata della holding di famiglia Cir, chiamata Energia. Produce elettricità attraverso Tirreno Power, la terza società del gruppo Enel venduta in virtù del decreto emanato nel 1999 dall’allora ministro dell’Industria Pierluigi Bersani. CDB è anche proprietario dell’emittente televisiva ReteA, che raggiunge in chiaro l’80 per cento del territorio nazionale e con il digitale terrestre (vituperata creatura della Cdl) ne copre circa il 50.

E visto che la Finanziaria horribilis di centrodestra gli apre un varco, De Benedetti ci s’infila subito con la neonata “Società finanza attiva” per elargire i vitalizi della quarta età agli ultrasettantenni che ipotecano la casa (la restituzione dei soldi è a carico degli eredi). Fin qui gli affari di oggi. Per il domani, lo si è capito, CDB non è tipo da seguire la via aperta da quel visionario del Cav., di cui tutto si può dire tranne che, oltre all’estro personale, nella pazza idea di fare politica non abbia speso la faccia e i soldi e il casellario giudiziale. Non significa che CDB rinuncerà a farsi un partito, il fatto è che cerca di realizzarlo per procura: finché antipatizzanti e oppositori gli sfarfalleranno davanti timorati, per quale ragione dovrebbe graffiarsi le mani con un prodotto politico a rischio?

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