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LANCE E SCUDI

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*Ranieri Razzante, oltre ad essere docente di Legislazione Antiriciclaggio all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, è presidente di AIRA, l’Associazione Italiana dei Responsabili Antiriciclaggio. AIRA è un’associazione indipendente, non politica e senza fini di lucro. Il suo compito è quello di diffondere la cultura della lotta al riciclaggio di denaro sporco. Maggiori informazioni su: www.airant.it. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Per certi versi, questo intervento potrebbe sembrare anacronistico. Parlare oggi di “scudo fiscale”, proprio nel momento i cui i riflettori sono meno forti e più concentrati su altri argomenti, può sembrare una scelta singolare. Non lo è alla luce di alcune considerazioni. In questo periodo si è fatto un gran parlare di scudo fiscale, ed il più delle volte lo si è fatto in maniera impropria o decisamente imprecisa. Molti si sono riscoperti improvvisamente esperti del settore e non hanno rinunciato a criticare anche aspramente le scelte fatte dal legislatore. Purtroppo molte di queste critiche non avevano fondamenti né tecnici né tantomeno giuridici. Ecco, la scelta di AIRA è stata invece opposta: abbiamo deciso di tenerci distanti dalla polemica e di affrontare l’argomento con occhio distaccato seppur critico.

Certo, siamo intervenuti quando ce lo hanno richiesto e non ci siamo tirati indietro di fronte alla responsabilità di dire la nostra, anche, ma solo quando necessario, criticando le scelte fatte su taluni aspetti della normativa.
Molte le critiche, molte le polemiche scagliate come lance contro lo scudo (in questo caso fiscale), ma molte anche le inesattezze. In più occasioni abbiamo tentato di fare chiarezza su taluni aspetti da noi ritenuti di grande importanza, ma che talvolta venivano sviliti o distratti. Come ad esempio la polemica sulla “parcellizzazione” dello scudo fiscale, per cui lo Stato svende la giustizia rinunciando a perseguire taluni reati in cambio di un esiguo 5% di imposta; od ancora tutta una serie di speculazioni politiche, che poco hanno a che fare con ragionamenti più completi (e complessi) di ordine più propriamente economico e sociale. Questa vuol essere solo una critica ai critici, che ci introduce al reale argomento del giorno: alcune doverose precisazioni in tema di scudo fiscale.

Dicevamo che AIRA si è tirata fuori da ogni qual genere di polemica, ritenuta da noi del tutto sterile. AIRA, essendo indipendente, non possiede un proprio pensiero politico e tutto quello che esprime è solo il frutto di ragionamenti scientifici e studi critici.

Lo scudo nasce da un contesto storico di crisi generalizzata e si pone come espediente ad un problema di immobilismo nella circolazione di ricchezza. Ne è una testimonianza il fatto che in molti altri paesi dell’Europa e del mondo in questo stesso momento si stia svolgendo il medesimo processo: lo abbiamo già incontrato nel 2004 in Irlanda, Germania e Belgio, in Canada nel 2005. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lo hanno adottato nell’arco di quest’anno.
Ad essi dovrebbero aggiungersi Francia, Polonia e Ungheria (cui dovrebbe seguire ancora la Germania).

In Italia siamo alla terza edizione, e anche questo testimonia come in taluni momenti sia necessario intervenire in questo modo per affrontare un gettito fiscale senza mettere a dura prova le tasche dei cittadini (o meglio, ancor più a dura prova).

E’ evidente che lo scudo di per sé porta con sé una serie di interrogativi e di riflessioni doverose, affinché ciò non si trasformi in strumento gradito alle organizzazioni criminali, utile per ripulire legalmente somme di denaro sporco. Ed è qui che forse la normativa mostra tutte le sue carenze.

Basti pensare che nella prima stesura del Testo, ma anche a seguito dell’emendamento Fleres che ne ha modificato la portata, non ha perfettamente chiarito quale debba essere il ruolo dei professionisti o degli intermediari dinnanzi al pericolo di reati come ad esempio il riciclaggio. Ricordiamo che, a dispetto di chi considera lo scudo un’amnistia su tutti i reati penali, in realtà, esso copre solo i reati legati all’evasione fiscale, come le dichiarazioni fraudolente o le omesse dichiarazioni, ottengono il salvacondotto e sempre al di fuori dei casi di riciclaggio (ma anche di usura, proventi di attività mafiose, emissione di false fatture etc.).

In sostanza, lo scudo prevede un ampio ombrello sulle fattispecie di reati legati all’evasione, mentre si prospettano pesanti le ripercussioni per chi decida di non approfittare dell’opportunità offerta dallo Stato italiano in questo momento. In cambio chi decide di usufruirne otterrà rassicurazioni sul completo anonimato attraverso anche la costituzione di conti segretati. Possibilità questa concessa ovviamente a chi effettua del rimpatrio.

Ma veniamo ora al nodo degli obblighi per i professionisti. Quel che risalta a prima vista è la disposizione che vede cadere l’obbligo di allertare la Banca d’Italia nel caso in cui lo scudo nasconda, quali reati presupposto del riciclaggio, reati tributari, societari e di falso. Delicata in questo caso è la questione delle segnalazioni d’operazioni sospette, previste all’articolo 41 del decreto antiriciclaggio (231/2007). Qualora l’intermediario o il professionista siano in possesso di informazioni e ragionevolmente sospettino del fatto che i capitali per i quali è richiesto il rimpatrio costituiscano il provento di reati quali l’associazione a delinquere, la truffa, l’estorsione, il traffico di stupefacenti, la rapina, l’usura, ecc., hanno comunque l’obbligo di segnalare e lo scudo non li esime dal farlo.

Ed è qui che la norma sullo scudo mostra tutti i suoi limiti: essa infatti non ci dice come questi soggetti debbano venire a conoscenza di taluni presupposti, o come essi vadano accertati. In realtà l’anomalia sta proprio in questo: gli operatori non devono fare alcuna verifica per accertare se a monte dei capitali vi siano reati fiscali, societari o di falso. Per questo ci sono già l’autorità giudiziaria e gli organi di polizia. I professionisti e gli intermediari, dunque, in caso di “ragionevole sospetto”, dovranno continuare a segnalare. Per meglio far comprendere questo ragionamento, abbiamo utilizzato spesso un’immagine semplice ma utile: il paradosso della signora anziana.

Immaginiamo dunque che una anziana signora si presenti in banca per chiedere di scudare una certa somma, per di più considerevole, adducendo come motivazione della esistenza di questa, una eredità mai dichiarata al fisco. I presupposti per l’accesso allo scudo ci sono tutti. In realtà, la banca non ha strumenti per comprendere se poi dietro a quella somma importante vi siano attività di altro genere (usura per esempio, ma nei peggiori dei casi, implicazioni mafiose). Di fatto si ripropone un problema già presentato dai precedenti scudi fiscali. In quelle occasioni il numero delle operazioni sospette denunciate fu solo di 98 casi. Una cifra irrisoria. Questo lascia presumere che in molti casi, qualcuno l’abbia fatta franca, riuscendo a legalizzare somme illegali. Da questo filtro troppo largo, finirebbe così per passare tutto in nome di un supremo interesse generalizzato a far circolare denaro. Perché é chiaro che scopo e beneficio dello scudo non derivano (o non solo) dall’imposta del 5% che lo Stato incasserà.

Se si confrontano infatti le cifre di quanto incassato dallo Stato nelle precedenti edizioni e le si pongono in rapporto con quelle di una finanziaria, si può notare che queste non sono minimamente paragonabili. Il boomerang dello scudo è quello di far rientrare denaro da far investire sul territorio nazionale. Sostanzialmente utile per ridare ossigeno alle banche e alle imprese favorendo gli investimenti su tutta la penisola. Per gli istituti di credito lo scudo è un business imparagonabile, tanto che molte banche hanno fiutato l’affare, iniziando una sorta di corsa all’oro proponendosi esse stesse di pagare l’imposta del 5% pur di accaparrarsi “clientela”.

In tal senso le autorità raccomandano attenzione pur di evitare di trascurare le procedure di controllo, già di per sé esigue. Ed il rischio di sanzioni qui sale vertiginosamente. Qualcuno polemicamente ha definito lo scudo fiscale l”indulto dei ricchi”. Noi vogliamo vederlo solo come uno strumento da dover utilizzare nella maniera più corretta. Ovviamente, anche questo nasconde rischi ed insidie, basterà calibrare bene l’attenzione per non cadere in tranelli ben congegnati. Da li però a voler bollare lo scudo come strumento di mafia, ce n’è di distanza da percorrere. Ma si sa, l’Italia è un paese di litigiosi e spesso gli argomenti sono solo il pretesto per aprire critiche di più ampio raggio. Per questo ci piace chiudere con un frase di Antonio Deidda in articolo apparso a luglio su L’occidentale: “Considerando pure tutti i problemi strutturali dell’Italia e il suo tasso elevato di litigiosità politica, si deve ammettere come il paventare rischi di scarsa tenuta del sistema democratico tale per cui futuri governi possano retroattivamente smantellare norme agevolative come lo scudo fiscale, sia un’ipotesi realisticamente priva di fondamento.”

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