Società

‘La Repubblica’ e ‘Il Fatto’, l’era Monti provoca terremoti

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Il nuovo governo divide la sinistra giornalistica ma e’ abbastanza ovvio chi ha ragione. Ha cominciato Eugenio Scalfari che con brutale perentorietà ha affibbiato dell`«imbecille» a chi osa criticare Monti. Attenzione Scalfari: secondo noi di WSI la liberta’ di critica e’ la quintessenza del buon giornalismo. Quindi…

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Con la nascita del governo Monti, i rapporti tra le due sinistre giornalistiche, quella della Repubblica e quella del Fatto quotidiano, si sono fatti decisamente meno cordiali. Per la verità, i primi a picchiare sono stati quelli di Repubblica con Eugenio Scalfari che ha dato con brutale perentorietà dell`«imbecille» a chi osa criticare Monti, seguito non senza ammirevole zelo da Michele Serra che così ha bacchettato ex-cathedra i neo-malpancisti:
«chi a sinistra si lamenta di Monti perde il suo tempo».

La solerzia e il nuovo ardore governativo, galvanizzati dall`insperata estromissione dell`usurpatore da Palazzo Chigi, fanno dire insomma ai nuovi pasdaran dell`esecutivo tecnico che chi critica «perde tempo», a prescindere. Può avere torto o ragione, argomenti a favore o argomenti contro, ma non importa, «perde tempo». Non bada alla sostanza della questione:
la cacciata del nemico. Ancora un passo e siamo all`«oggettiva» connivenza, all`accusa di «fare oggettivamente il gioco di».

Ma siamo ancora al passo precedente. Con un`avvertenza: il giornalismo appiattito con ortodossa inflessibilità sulle posizioni di un governo tende a diventare noioso, grigio, ripetitivo, trionfalistico dal sapore «bulgaro», come si diceva un tempo. Invece la critica e l`opposizione giovano alla vitalità di un giornale. Il Fatto diretto da Antonio Padellaro appare addirittura più vivace e persino nella legnosa scrittura da verbale giudiziario dì Marco Travaglio, una volta messo da parte (ma solo per un giorno o due, eh) il tono lugubre del forcaiolo compulsivo, ora traspare di tanto in tanto un pallido barlume di ironia e di simpatia.

Vero è che il Fatto per animare il suo folto e militantissimo lettorato ogni tanto deve sparare titoli allarmanti sul «Caimano» che «c`è ancora», che co- manda ancora, che «è pronto a tornare». Ma sono colpi di tromba per rincuorare le moltitudini. La verità è che «parlare male di Monti» è diventato il nuovo refrain del quotidiano concorrente di Repubblica.

Resta l`abitudine mentale, inscalfibile nel passare degli anni e dei decenni, di muri crollati e di atlanti geo-politici sconvolti, di vivere con diffidenza e fastidio qualunque posizione che, nel proprio schieramento, non anteponga le ragioni dell`appartenenza a quella della libera critica. Una critica non deve necessariamente essere ostile, può essere un pungolo, un incoraggiamento.

I giornali americani che avevano sostenuto Obama si sono ben guardati dal trasformarsi in bollettini della vittoria quando il presidente è entrato alla Casa Bianca. Ma l`Italia è il regno del cui prodest: a chi giova dire le cose come stanno? È il regno del bipolarismo primitivo che vuole annientare l`avversario come prima missione e liquida come fatuità da «anime belle» ogni obiezione bollata come «eretica», «inutile», «imbecille». Peccato. Peccato per i giornali e per la sinistra.

E peccato anche per un governo, che ha bisogno di sostegno e non di trombettieri. Ma è proprio vero che chi critica «perde tempo» a prescindere?

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