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LA PARTITA IVA
DIVIDE L´ITALIA

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(WSI) –
«Ma lei vuole la fattura oppure no?» Perché, che differenza farebbe? «Una bella differenza. Con la fattura i 100 euro del mio lavoro diventano 120 per via dell´Iva. Senza fattura, lei mi mette in mano 80 euro e la questione è chiusa». Questa – aggiustando le cifre alla situazione specifica, sovente anche di un paio di zeri – è la sintesi di una tipica conversazione che si ripete per migliaia e migliaia di casi ogni singolo giorno in tutta Italia, dal Brennero a Capo Passero. Ed è anche la rappresentazione spicciola ma fedelissima di un fenomeno di evasione fiscale diffuso, massiccio, capillare

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In forza del quale gli 80 euro dell´esempio escono dal portafoglio di chi su quel denaro ha pagato le tasse dovute per entrare nelle tasche di chi su quell´importo non verserà all´Erario neppure un euro. Di regola, infatti, principali protagonisti di questa triste commedia sono, da un lato, la folla di coloro (dipendenti o pensionati) che sono privi di partita Iva e, dal lato opposto, la non poco folta schiera di coloro (lavoratori autonomi in genere) che la partita Iva ce l´hanno, ma approfittano con scaltra avidità della debolezza contrattuale di chi quella medesima partita non ha.

È chiaro che se tutti pagassero i fatidici 120 euro verrebbe alla luce del sole ovvero del Fisco un´enorme base imponibile nascosta, il cui gettito potrebbe ristorare le casse dello Stato e così consentire anche significative riduzioni delle aliquote di prelievo un po´ per tutti. Ma il fatto è che un buon sistema fiscale non può reggersi fidando solo nella correttezza soggettiva del singolo contribuente.
Tanto più se quest´ultima risulta essere autolesionistica perché pagare 120 anziché 80 significa subire un incremento di spesa di ben il 50 per cento. Che diventano davvero tanti soldi se la fattura di base è magari di 5 o 10mila euro.

Siamo franchi: bisognerebbe avere un´aureola sulla testa per accettare di sborsare tanti soldi in più al pur nobilissimo fine di obbligare l´occasionale interlocutore a denunciare tutto intero il suo reddito effettivo. Insomma, un efficiente sistema tributario postula che si creino condizioni oggettive tali da modificare il gioco delle convenienze in modo che chi si trova a pagare una qualunque fattura abbia un personale e diretto interesse a farsi certificare l´esborso. Con tutte le positive conseguenze a cascata sugli incassi dell´Erario e sull´equità del prelievo complessivo.

Sono anni, anzi decenni, che questa disparità fra titolari e non titolari di partita Iva alimenta pagamenti in nero, diffonde una pervasiva abitudine all´evasione, scava in definitiva un solco di iniquità sempre più profondo fra coloro che – volenti o nolenti – non sono in grado di sottrarre neppure un euro al Fisco a causa del prelievo integrale alla fonte e chi può farsi allegramente beffe dell´obbligo tributario, speculando proprio su una normativa che, in forza delle reciproche convenienze economiche immediate, sembra fatta apposta per aiutare i furbi e i disonesti. Sono anni, si diceva, che si va avanti così, ma senza che si sia fatto nulla per creare un sano e fecondo conflitto d´interesse fra chi paga e chi incassa.

Dal nuovo governo di centro-sinistra, che ha posto il tema dell´equità fiscale in cima alla sua bandiera programmatica, era lecito attendersi una svolta netta e chiara in materia. Tanto più dopo alcuni primi passi che sono apparsi apprezzabili: come la cancellazione degli assurdi privilegi consentiti alle ricche stock-option dei grandi manager ovvero con l´annuncio di voler portare su standard europei il prelievo sulle rendite mobiliari. Ma ecco che – giunti al banco di prova della legge finanziaria – si torna alla più scontata continuità con i vizi del passato. Nulla per sradicare le storture sopra descritte e, viceversa, un aumento della pressione fiscale sui redditi dei ceti medi e medio-alti.
Maggior carico che finirà in particolare per distribuirsi sulla platea del lavoro dipendente più qualificato ovvero di coloro che – a causa del prelievo alla fonte – non possono comunque sfuggire al Fisco. Cosicché pagherà di più non tanto chi evade, ma chi versa regolarmente il dovuto.

A giustificazione di questa brillante strategia il segretario dei Ds, Piero Fassino, ha detto: «Con questa Finanziaria stiamo pagando la tassa di successione dell´eredità Tremonti». Una battuta efficace, anche perché coglie nel segno. In effetti, il governo Berlusconi ha lasciato ai successori un sacco di guai: spesa pubblica in aumento, deficit in crescita, avanzo primario azzerato e, per giunta, di nuovo alle stelle quel debito pubblico che mina come un cancro devastante la stabilità dei nostri conti presenti e futuri.

Ma l´ottimo Fassino dovrebbe anche spiegare perché l´onere di questa imposta di successione debba cadere di nuovo sulle spalle di coloro che finora più di molti altri hanno contribuito alla tenuta del bilancio. E non basta dire che in questo modo si potrà – giustamente – alleggerire la pressione sui redditi più bassi perché in ogni caso la predicata redistribuzione del reddito avverrà principalmente fra coloro che non si possono permettere di non pagare le tasse ovvero fra i coatti del Fisco. I furbetti dello sconto sulla non fatturazione continueranno a farla franca.

Già sconcertante quanto ad equità tributaria, simile impostazione si rivela poi ancora più incomprensibile in termini di opportunità politica. Prodi, Fassino & C. sono consapevoli che un aumento della pressione sui ceti medi e medio-alti del lavoro dipendente finirebbe in buona misura per colpire una delle loro principali constituency elettorale? L´allegro e spensierato chiacchiericcio di proposte, di cui sono preda le forze della maggioranza in questi giorni, fa pensare che il centro-sinistra non riesca proprio a liberarsi di una perversa coazione a ripetere gli stessi errori in materia di annunci fiscali che, nella recente campagna elettorale, hanno portato a dilapidare in poche settimane un discreto margine di vantaggio sul centro-destra. Errare humanum.

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