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LA FED DEVE CURARE DI PIU’ I TASSI A LUNGO TERMINE

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La Federal Reserve puo’ controllare solo i tassi di interesse a breve termine. Troppo poco. Nell’attuale situazione, l’economia trarrebbe maggior giovamento se la FED avesse il controllo anche dei tassi a lungo termine. La FED ha fatto tutto cio’ che poteva sui tassi di interesse a breve; i tagli operati stanno probabilmente arrivando al punto di creare ritorni negativi.

Attualmente i tassi a lungo termine hanno spazio per scendere alla luce dei buoni fondamentali sottostanti. Una discesa dei tassi di interesse a lungo potrebbe stimolare l’economia molto piu’ di quanto possano fare i tassi a breve. Per questo motivo e’ ora importante che la FED faccia tutto quanto e’ in suo potere per mettere in moto una discesa dei tassi a lungo termine.

Prima del calo dei tassi a lungo termine della scorsa settimana che ha spinto il rendimento sul Tresaury Bond a 30 anni al 4,95% dal 5,27% della settimana precedente, le ragioni per una discesa dei tassi stavano diventando davvero irresistibili.

In primo luogo i tassi a breve termine sono scesi praticamente giornalmente e sono adesso a livelli straordinariamente bassi. I rendimenti sui T-bills a 3-6 mesi, per esempio sono sotto il 2% per la prima volta dalla fine degli anni ‘50. Uno degli aspetti piu’ importanti dell’attuale livello dei tassi di interesse a breve termine e’ che gli investitori sulle scadenze piu’ brevi si trovano ad affrontare ritorni negativi una volta sottratte le tasse e l’inflazione. Con oltre $5 miliardi in questi strumenti finanziari e’ ragionevole aspettarsi uno spostamento dalle scadenze a breve termine a quelle ad alto rendimento intermedie e a lungo termine, ad un certo punto. Gli investitori tollereranno un tasso di rendimento reale negativo dopo le tasse solo se gli altri strumenti finanziari avranno performance peggiori o se l’economia affrontera’ la deflazione. Nessuna di queste condizioni sembra essere all’orizzonte in questo momento.

Un secondo argomento in favore di piu’ bassi tassi di interesse a lungo termine e’ l’inflazione o meglio la sua mancanza. Le misure chiave dell’inflazione segnalano disinflazione o addirittura deflazione in qualche settore dell’economia. L’aspetto piu’ importante di questa situazione e’ quello di riddurre le pressioni al rialzo dei livelli salariali che contano per circa il 70% dei costi di produzione dei beni e dei servizi. L’indebolimento del mercato del lavoro sta senza dubbio riducendo la domanda di salari come evidenziato dallo scarso incremento dello 0,1% nella paga media oraria di ottobre. Questo e’ stato il secondo piu’ piccolo incremento mensile degli ultimi 7 anni. L’indebolimento nella domanda di salari ridurra’ la pressione al rialzo dei prezzi. Allo stesso modo, il recente declino nei prezzi delle materie prime contribuira’ alla decelerazione dell’inflazione nei prossimi mesi. Per esempio, l’indice del Journal of Commerce, un indicatore chiave dei prezzi delle materie prime industriali e’ sceso al livello piu’ basso degli ultimi 16 anni e l’indice Bridge-CRB e’ su un minimo di 25 anni.

Questi indicatori segnalano un’inflazione ancora piu’ bassa nei prossimi mesi, rispetto agli attuali depressi livelli. Gli indicatori chiave suggeriscono un’inflazione in prossimita’ del 2%. Con un’inflazione cosi’ bassa con possibilita’ di ulteriore ribasso e un tasso di rendimento sulle obbligazioni a lungo termine al 5%, un interesse reale del 3% e’ attraente alla luce degli attuali fondamentali specialmente se confrontato con gli scarsi ritorni sulle scadenze brevi.

Per queste ragioni i tassi di interesse a lungo termine sembravano sul punto di cadere anche prima del recente annuncio del Tesoro sulla rinuncia all’emissione di debito a 30 anni. L’annuncio ha fujnzionato da catalizzatore per la brusca discesa nei rendimenti e non avrebbe avuto lo stesso effetto senza dei fondamentali cosi’ solidi.

* Tony Crescenzi e’ capo della divisione capital markets prezzo la boutique finanziaria di New York, Miller & Tabak