Società

LA FARSA
DEL CONFLITTO
D’ INTERESSI

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(WSI) – La prima volta che si parlò di conflitti d’interesse fu nel 1994, dopo la prima vittoria elettorale di Silvio Berlusconi. Tredici anni fa. Da allora le legislature si sono succedute. Ha governato il centrodestra, poi il centrosinistra, poi di nuovo il centro destra e ora ancora il centrosinistra. Di conflitto d’interessi si è parlato sempre, ma la questione non è stata mai risolta. A onor del vero,l’unica legge al riguardo, intestata a Franco Frattini, è stata approvata dalla Casa delle libertà, ma è stata anche giudicata molto severamente dall’opposizione.

Quanto all’Ulivo, nella legislatura 1996-2001 non fu deciso niente. Il centrosinistra scelse di non scegliere. Qualcuno, con un po’ di malizia, vide in ciò la volontà di tenere una spada di Damocle sospesa in permanenza sulla testa di Berlusconi. Piuttosto che trovare una soluzione, era meglio coltivare il conflitto come problema politico. Se questo fu il calcolo, si rivelò sbagliato: nel 2001, come sappiamo, il centrodestra tornò al governo. Ora assistiamo alla ripresa di un vecchio copione. La maggioranza annuncia che bisogna procedere e promette intransigenza. Berlusconi replica che si vuole in realtà tagliare la testa all’opposizione. È come rivedere un film che si conosce quasi a memoria.

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In passato queste scaramucce non portarono a nulla. Solo a esasperare il clima generale, mai a risolvere la questione. Sarà diverso stavolta? È lecito temere di no. Che il conflitto d’interessi attenda d’essere regolato con equilibrio e saggezza, ci sono pochi dubbi. Ma sembra poco probabile che si voglia imboccare la strada giusta.

La tentazione di agitare la carta del conflitto irrisolto a mo’ di vessillo politico è forte. Lo fu in passato, può esserlo anche oggi. Pochi temi al pari di questo servono a creare coesione nei due schieramenti. Il centrosinistra viene immediatamente reso più compatto quando si indica in Berlusconi il nemico. E il conflitto di interessi rappresenta lo strumento più rapido e diretto per creare questa condizione. Allo stesso modo, Berlusconi trova nel braccio di ferro l’occasione per incollare fra loro i vari pezzi di una Casa delle libertà sfilacciata. Sul terreno del conflitto di interessi non si è mai sentita una voce di dissenso a destra: da Casini a Bossi tutti sono solidali con il leader.

E così tutti trovano il loro tornaconto. I due schieramenti che si confrontano in Parlamento riescono a ridurre le spinte centrifughe, le due leadership (Prodi e Berlusconi) si rafforzano. Basta evocare il conflitto d’interessi non per risolverlo, ma per agitarlo davanti al naso dell’avversario.

Nelle settimane scorse qualcuno aveva voluto vedere un cambio di tattica in un Berlusconi apparso più conciliante e dialogante. Aleggiava di nuovo un altro dei tipici fantasmi italiani, le larghe intese: cioè l’ipotesi, del tutto irrealistica, della grande coalizione. Non è affatto escluso che queste semplici voci abbiano spinto a rimettere in campo il tema del conflitto.

In effetti, da un giorno all’altro tutti hanno ripreso la loro tradizionale parte in commedia. Berlusconi, da ospite gradito al congresso dei Ds, è tornato a rappresentare l’eterno “nemico”. Prodi viene dipinto come il capo di una compagine anti-democratica e vessatoria. Ognuno ha reindossato i suoi panni, le due coalizioni si guardano di nuovo in cagnesco. Forse un po’ più coese al loro interno. E il conflitto d’interessi? Rischia di diventare il motivo conduttore dell’intera legislatura.

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