Società

LA DIATRIBA DELL’ULIVO

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Ma esiste l´Ulivo, ed esiste davvero un´entità chiamata centrosinistra? Oppure esiste soltanto un congegno politico “celibe”, un´articolazione di ex partiti che in realtà non sanno come rivolgersi all´opinione pubblica? Il fatto è che oggi l´Ulivo non dovrebbe essere soltanto un´aggregazione politica indistinta, coalizzata dal rifiuto di Berlusconi, bensì lo schieramento che si candida con chiarezza a guidare il paese dopo l´esperienza berlusconiana.

Non è intuitivo capire se la somma di residui partitici e di culture politiche raccolta all´opposizione è in grado di sostenere con autorevolezza questa candidatura.
Anche perché la situazione sociale del paese è in sommovimento. Richiede un´interpretazione. Pretende strumenti conoscitivi e una gamma di proposte adeguate al ventaglio delle realtà, dei ceti e delle professioni investiti dalle politiche del governo.

C´è da valutare in primo luogo una trincea di opposizione che ogni giorno si arricchisce di nuovi protagonisti. Medici, magistrati, insegnanti e “popolo” della scuola. Nel frattempo serpeggia nelle pieghe del paese un disagio economico inedito, che sbigottisce i ceti a reddito decurtato. Di fronte alle ondate di malcontento, lo spettacolo primario è offerto dal governo e dalla maggioranza: c´è uno squilibrio talmente forte fra l´inconcludenza della verifica e le ipotesi di riforme sensazionali evocate nella Casa delle libertà, da offrire l´impressione di uno show nevrotico.

Allorché i conflitti fra gli alleati e l´inadeguatezza tecnica (vedi l´intero iter della legge Gasparri) vanno in cortocircuito, l´annuncio di riforme kolossal assume l´aspetto di una minaccia. La riforma della giustizia induce l´intero ordine giudiziario alla ribellione; la sanità aziendalizzata provoca la protesta dei medici; la riforma scolastica di Letizia Moratti getta scompiglio nelle aule.

Senza aggiungere che la riforma delle pensioni, fra la titolarità formale di Roberto Maroni e quella ufficiosa di Gianni Alemanno, si è impantanata dopo essere riuscita a coalizzare nuovamente i sindacati.

Il panorama politico-elettorale è descritto in questo momento da ampie fasce di popolazione che rifiutano governo e riforme del centrodestra, mentre la Casa delle libertà annuncia altri miraggi riformatori. Questo stato di cose ha un nome solo: si chiama rottura del consenso. Il “sogno” azzurro del 2001 è finito, e il risveglio è penoso. Sarebbe un po´ meno penoso se il malessere sociale trovasse un canale politico.

Cioè se il centrosinistra avesse cominciato a ventilare soluzioni, ipotesi, progetti. Non proprio “il” programma, che verrà influenzato inevitabilmente dai negoziati di coalizione; ma intanto l´individuazione dei problemi e la proposta di qualche soluzione. Ad esempio, sarebbe di qualche interesse se il centrosinistra riuscisse a rivolgere una parola alle fasce di elettorato che in questo momento sentono i morsi dell´impoverimento.

No, per ora i leader del centrosinistra, compreso Romano Prodi, si ritrovano a Roma per risolvere l´intricata questione del logo. Dilemma simbolicamente rilevante, non c´è dubbio, ma anche diatriba bizantina, da discutere in qualche stanza appartata. Tutto questo dopo il certame infinito sulla lista unica, o unitaria, in attesa del partito democratico, o riformista, e in vista della prossima e storica assemblea ulivista. Non ci sarà un indizio di realtà, da qualche parte? Una traccia di concretezza? Un´irruzione di dati di fatto?

Di fronte alla richiesta di praticità, di proposte, di idee, la politica di solito risponde biblicamente che per ogni cosa c´è il suo tempo. Oggi la trattativa, la discussione apparentemente indecifrabile con la coppia Di Pietro-Occhetto, gli attacchi di D´Alema a verdi e comunisti italiani, domani il progetto. Solo che in questo modo c´è un rischio: che fasce significative di società italiana, deluse da Berlusconi e dai suoi euforici programmi di ieri, si mobilitino alla ricerca di un´opzione politica diversa; e trovino qualcuno che risponde con programmi forse di domani, o forse di dopodomani o chissà.

Nell´incertezza che ne deriva, può darsi che il voto al centrosinistra non sia così automatico com´è nelle aspettative. Che l´atto di dolore per le magagne del centrodestra non si trasformi meccanicamente in un atto di fiducia per i suoi avversari. Perché non c´è soltanto la logica siderale del bipolarismo, c´è anche una logica tutta terrestre, e tutt´altro che demagogica, per cui la politica deve offrire certo i simboli, le alleanze, la “splendida avventura dell´Ulivo”, ma soprattutto deve indicare una prospettiva credibile: detto senza nessuna demagogia, per le condizioni di vita delle persone, non per gli interessi e le remote identità dei partiti.

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