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LA CRISI ARRIVA AI BENCHMARK. ATTACCO A EURIBOR E LIBOR

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(WSI) – La tempesta perfetta della crisi del credito, della liquidità e della finanza strutturata ha mandando in tilt le bussole dei mercati già costretti a navigare a vista in acque agitatissime. La tempesta sta oscurando le stelle polari finanziarie, i benchmark usati tradizionalmente come parametri di riferimento per le indicizzazioni di prestiti e mutui, per fissare i rendimenti delle obbligazioni societarie o dei titoli di Stato: viene sempre più messa in discussione l’affidabilità dei tassi interbancari, dei prezzi di bond governativi e non sul secondario, delle quotazioni di swap su tassi e credito. Esasperando quel senso di smarrimento che attanaglia i mercati da agosto.

La preoccupazione di banchieri e trader sul rischio di manipolazione del Libor, il tasso interbancario per i prestiti in dollari Usa, è finita ieri sulla prima pagina del Wall Street journal. Il fatto che il Libor non sia un vero e proprio tasso di mercato, cioè il fixing dell’incontro tra domanda e offerta su contratti concreti, ma che sia il tasso al quale le banche “dicono” di prestarsi denaro tra di loro, di questi tempi lascia una discrezionalità forse eccessiva. Il WSJ ricorda che il dollar Libor viene stabilito la mattina da un panel di sole 16 banche. Da questo punto di vista sta sicuramente meglio l’Euribor, sponsorizzato dalla Federazione delle associazioni bancarie europee, che utilizza le segnalazioni di un panel composto da 43 colossi bancari, europei e non.

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Sta di fatto che Libor ed Euribor sono stati travolti dalla crisi di fiducia sull’affidabilità del sistema bancario mondiale, esposto prima ai soli problemi dei mutui subprime e poi, per effetto domino, di tutto il mondo opaco della finanza strutturata. Le banche hanno poca liquidità da mesi e quel poco che hanno lo prestano con enorme selettività e a caro prezzo: così è schizzato alle stelle il rischio bancario di controparte e i tassi interbancari si sono adeguati di conseguenza (e forse come sostiene il WSJ neppure tanto quanto avrebbero dovuto). «Tutto quello che non è mercato è sospetto», rincarava la dose ieri sul rischio-manipolazioni il direttore finanziario di una grande impresa italiana.

Il mercato naturalmente è ricco di alternative. Oltre alle iniezioni di liquidità delle banche centrali, senza precedenti per importi e ventaglio di garanzie collaterali, è fortemente aumentato il ricorso degli operatori finanziari al pronti contro termine, il cosiddetto repo. La società Xtrakter, che rileva tramite la compensazione i volumi di questo mercato, ha registrato nel primo trimestre 2008 una crescita del 31% rispetto agli ultimi tre mesi 2007: da 7.100 miliardi di euro in valore nominale a 9.400 miliardi. I repo usano garanzie collaterali ( titoli di Stato o altro) e piacciono perché consentono alle banche di reperire liquidità a minor prezzo rispetto al Libor/Euribor. Vanno di gran moda i contratti “open” senza prefissare la scadenza: ma persino questi tassi hanno problemi. «Tutto dipende dal tipo di collaterale – spiega un trader -. Se la garanzia perde valore, i suoi prezzi sul secondario scendono, la controparte del repo chiede un’aggiunta in tempo reale di collaterale ulteriore oppure la restituzione immediata del denaro prestato».

Altri punti di riferimento consolidati si stanno oscurando. Un tempo un emittente di corporate bond fissava il costo della raccolta basandosi sul rendimento delle sue obbligazioni trattate sul secondario messe a confronto con i titoli di altri debitori simili. Tutto questo non è più possibile perché non esiste un secondario affidabile. Qualsiasi azienda emittente di bond in dollari ora calcola il costo del finanziamento rispetto ai titoli di Stato Usa, che sono gli strumenti più liquidi in dollari con un rischio “AAA” solidissimo.

Intanto in Europa il differenziale del rendimento tra BTp e Bund ha perso smalto nella sua funzione segnaletica sull’andamento del rischio-Italia: non si muove più – per ora almeno – prevalentemente in funzione della disparità del merito di credito dei due Stati perché all’interno della zona dell’euro, senza rischio di cambio e con una politica monetaria europea, l’Italia è dentro una gabbia e la sua probabilità di default è automaticamente ai minimi storici. Il Bund invece, il titolo di Stato europeo più liquido con rating “AAA”, è anche il più acquistato in tempi di fuga verso la qualità e maggiore avversione al rischio: lo spread BTp/Bund si allarga e si restringe anche indipendentemente dall’andamento dei conti pubblici italiani.

La crisi di liquidità e del credito bancario sta infine facendo vacillare altre colonne portanti dei mercati finanziari: gli swap. Questi contratti derivati sui tassi d’interesse (interest rate swap) e di credito (credit default swap) vengono usati per indicizzare mutui o calcolare il prezzo all’emissione dei corporate bond. Ma sono basati sul rischio-banca controparte. Un tempo equivalevano al tasso d’interesse per una solida “AA” bancaria: oggi la crisi del credito bancario rimette in discussione le fondamenta stesse di questi swap.

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