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LA CALDA ESTATE DI BERLUSCONI

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Ci sono molti modi per definire lo stato dei rapporti nella maggioranza, Gianfranco Fini evita di usare il termine più semplice e diretto, non pronuncia mai la parola crisi, ma la sensazione che gli attuali equilibri del centrodestra si possano irrimediabilmente incrinare risalta dal ragionamento del vicepremier, dall’estremo invito che rivolge a Silvio Berlusconi affinché «faccia valere la sua leadership» e «metta in riga Bossi».

Il leader di An confida nelle capacità del Cavaliere di comporre lo strappo e ritiene che Bossi non abbia «intenzione di uscire dal governo», ma se ciò dovesse accadere «nessuno dovrà rincorrerlo». Sono toni ultimativi quelli di Fini, che non minimizza «la gravità della situazione»: «Servono chiarezza e decisione. La gravità è nello spettacolo negativo che la Casa delle Libertà sta offrendo agli italiani: troppe risse, troppa confusione. Così un capitale di fiducia rischia di essere annullato. Le responsabilità sono di tutti, e comunque non in parti uguali. Certamente sono negative per tutti le conseguenze». Ad An viene attribuito l’errore di aver chiesto la verifica dopo la sconfitta alle amministrative: lo scontro è iniziato in quel momento.

«Se abbiamo una responsabilità, è quella di aver scoperchiato la pentola. Ma è una responsabilità che giudico lieve, perché in due anni abbiamo dimostrato senso delle istituzioni e una quantità industriale di pazienza e attaccamento all’alleanza. A volte abbiamo persino ecceduto, almeno agli occhi di chi ci ha accusato di esserci appiattiti su Berlusconi».
Ora però venite accusati di aver evidenziato l’offuscamento della sua leadership.
«Il premier ha la responsabilità di essere stato fin troppo generoso nei confronti di Bossi, il figliol prodigo per il quale tante volte ha ucciso nelle cene di Arcore il vitello grasso, senza rendersi conto che così facendo squilibrava l’alleanza e ne alterava la fisionomia».
Sta dicendo che Berlusconi ha sopravvalutato la Lega?

«La Lega è il problema: le sue intemperanze e minacce sono da tempo al limite della decenza e della tollerabilità. Dopo aver contribuito al deludente esito elettorale, imponendo in Friuli un candidato leghista, rompendo l’alleanza a Brescia, insultando Roma e i romani, è fuori da ogni logica politica che con il suo tre per cento di voti Bossi si senta oggi nelle condizioni di imporre alla Casa delle Libertà ciò che si può o non si può fare: dalla devoluzione alla riforma previdenziale. Una riforma considerata in sole ventiquattr’ore, prima ipotesi praticabile, seppure a certe condizioni, poi una sciagura da scongiurare a ogni costo».

Vuol dire che il «patto della verifica», saltato dopo appena tre giorni, non era un’intesa ma solo un’operazione cosmetica?
«No, voglio dire che c’è stato chi ha accettato il patto con la riserva mentale di farlo fallire».

Anche Bossi vi accusa di non aver tenuto fede agli accordi sulla devolution.
«Con il consenso di Bossi era stato approvata in Consiglio dei ministri la riforma del titolo quinto della Costituzione, che confermava la volontà dell’alleanza di procedere alla approvazione della devoluzione nel rispetto dell’interesse nazionale. Se qualcuno ha cambiato idea, questi è Bossi. Il problema di fondo è che la Lega ha dimostrato di non avere alcuno spirito di coalizione. La Casa delle Libertà si muove, e non potrebbe essere altrimenti, in una logica nazionale ed europea mentre la Lega si muove sempre e solo in un’ottica parziale, socialmente ristretta e limitata geograficamente all’inesistente Padania. Spesso fa leva su paure profonde nell’illusione di aumentare il suo consenso, ma senza minimamente preoccuparsi dei valori comuni ai partiti della Casa delle Libertà, a cominciare dalla solidarietà sociale e dall’unità nazionale. Si tratta di valori che ogni governo di centrodestra che si rispetti deve avvertire come fondanti, valori che grazie anche alla costante azione del capo dello Stato sono sentiti in modo sincero dalla stragrande maggioranza degli italiani».

Lei continua a parlare di Bossi, ma il messaggio è rivolto a Berlusconi.
«Che deve far valere la sua leadership e deve far capire alla Lega che la misura è colma. La Lega dev’essere rispettata, deve vedere accolte le sue richieste quando sono compatibili con il patto sottoscritto con gli italiani e grazie al quale abbiamo vinto le elezioni. Ma non deve essere politicamente sopravvalutata. Il problema non è l’eccessiva visibilità del Carroccio, bensì il fatto che deve contare per quel che rappresenta. Ed è assurdo che per continuare a disporre del suo tre percento di voti, la Casa delle Libertà rischi di perderne cinque volte tanti e rischi di apparire un’alleanza ingovernabile dove prevalgono gli estremismi. Insomma, è indispensabile muoversi su questa linea e non solo perché guidiamo l’Unione in questo semestre, ma perché l’Europa ci guarda. In Europa esistono movimenti analoghi alla Lega, ma non sono al governo e comunque non hanno la condizione di privilegio politico in cui si trova Bossi».

Così prefigura uno scenario che prevede l’uscita del Carroccio dall’alleanza e dal governo.
«Non credo che Bossi voglia uscire, ha fiuto politico, sa che la devoluzione è a portata di mano e non la otterrebbe mai al di fuori della Casa delle Libertà. Ma se dovesse decidere di rompere, ha ragione Follini: nessuno dovrà rincorrerlo. Si può e si deve andare avanti anche senza la Lega. E’ una prospettiva che non auspico ma che certo non temo».

Sarebbe però una prospettiva esiziale per il premier: se saltasse l’alleanza con Bossi, diverrebbe una sorta di leader a tempo determinato.

«Berlusconi è il presidente del Consiglio ed è il leader della coalizione. E siccome io non credo che Bossi voglia uscire dal governo, ritengo essenziale che Berlusconi faccia valere il suo ruolo. E’ essenziale che faccia chiarezza. Non m’interessa sapere se la verifica è ancora aperta o chiusa, e non serve alcun vertice. Servono le decisioni del premier e i fatti conseguenti alle decisioni».

Eppure lei ebbe a definire Berlusconi come «il garante del bipolarismo» e l’anno scorso si adoperò per evitare l’avvio di operazioni centriste: non le teme più? E cos’è cambiato da allora?

«Nulla. E il bipolarismo non è in discussione».
Si sono invece incrinati i rapporti con il premier, il quale l’altro ieri si è riferito anche a lei quando ha parlato dei «ragazzi che si sfogano».

«I rapporti con Berlusconi sono personalmente ottimi, come sempre. Ma il problema non attiene ai rapporti personali, il problema è tutto politico».

Un problema così grave che la crisi è ormai in atto.

«La sinistra non si illuda, il governo non cadrà e rilancerà la sua azione. Basta volerlo. Non ho motivo per pensare che Berlusconi non ne sia perfettamente consapevole. Certo non potrà limitarsi alle parole. Dovrà agire».
E se l’attuale crisi si dovesse ricomporre, dopo il semestre di presidenza europea ritiene necessario, utile, possibile o impossibile un Berlusconi bis?

«Ritengo indispensabile il rilancio del governo Berlusconi. E’ il chiarimento con la Lega a essere urgente e indispensabile, perché il governo deve affrontare anche altri problemi non secondari, a partire dalla condizione economica del Paese. Il Dpef verrà presentato la prossima settimana e serve maggiore collegialità. La cabina di regia, che doveva garantire proprio la collegialità, è sfumata quando l’Udc ha rifiutato di parteciparvi, ma era già stata sabotata dalle posizioni leghiste».

Al «sabotaggio», secondo lei, ha concorso il ministro dell’Economia?

«Tremonti è una risorsa del governo e ha dimostrato grandi capacità: non a caso è tra i più stimati ministri dell’Ecofin. Dopo l’11 settembre ha superato una congiuntura difficilissima assai meglio della Francia e della Germania: sono aumentati gli occupati, è diminuita l’Irpef, quasi due milioni di pensionati hanno avuto l’aumento a 516 euro. Il merito è anche del ministro dell’Economia, il quale deve però comprendere che se il rinnovo del contratto del pubblico impiego rimane disatteso per sedici mesi, se il patto per l’Italia non viene applicato in gran parte dei suoi contenuti, se il decreto taglia-spese rischia di determinare conseguenze negative per la sicurezza del cittadino, se la crescita delle imposte è l’unica via che gli enti locali hanno per non ridurre i servizi sociali, si creano conseguenze che non si riflettono solo su Tremonti, che forse ama l’impopolarità, ma su tutto il governo e su tutto il territorio nazionale».

A proposito di impopolarità, si farà la riforma del sistema previdenziale?

«Nel governo c’è anzitutto la necessità politica di decidere congiuntamente, di assumersi collegialmente la responsabilità delle scelte e soprattutto di dialogare in modo serrato e senza pregiudizi con le parti sociali».
Onorevole Fini, le elezioni sono andate male, la cabina di regia è saltata prima di entrare in funzione e per lei è un momento molto difficile.
«E’ il momento più difficile per il governo e dunque anche per me».

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