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LA BORSA? RIVEDRA’ I MASSIMI DEL 2000

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(WSI) –
«Per pescare i pesci più grossi occorre allontanarsi dalla riva. Altrimenti nella rete finiscono soltanto le sardine». In una giornata di sole di fine febbraio che sembra un invito a correre al mare, Pietro Cirenei , direttore generale di Bipiemme Gestioni usa una metafora marinaresca per descrivere lo stile di gestione della casa. Un metodo basato sull’indipendenza di giudizio e parzialmente sganciato dai «benchmark» di mercato usati come riferimento dalla maggior parte dei gestori.

E che ha permesso ai fondi Bipiemme di collocarsi nel primo quartile di rendimento in specialità come l’azionario europeo e l’azionario Italia per molti anni consecutivi. Ma dal suo luminoso ufficio di Piazzetta Liberty, una magnifica vista sulla Madonnina, Cirenei non perde mai d’occhio lo schermo di Bloomberg, su cui scorrono minacciosi i numeri della correzione di Borsa in atto. «Ieri la Cina ha perso quasi il 10%, oggi Piazza Affari va giù del 3%. Eppure i mercati non sono sopravvalutati. Non ci troviamo all’interno di una bolla speculativa. Con prezzi medi di Borsa che sono pari a 15 volte gli utili 2007 le valutazioni sono più o meno a metà dell’intervallo di variazione di lungo periodo», rassicura Cirenei.

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Che opinione si è fatto dell’attuale congiuntura di Borsa?
«La crescita economica mondiale oscilla fra il 3,9% e il 4,2%, quindi non vedo grossi rischi all’orizzonte. Forse in giro ci sono aspettative un po’ troppo ottimistiche per quanto riguarda i tassi di interesse. Che in Europa potrebbero salire anche di mezzo punto percentuale. Ma si tratta di uno scenario che non compromette le prospettive dei mercati azionari».

Pensa che le borse rivedranno un giorno i massimi del marzo del 2000?
«Se tutto andrà bene già entro fine anno il Mibtel potrebbe tornare a quella vetta di quasi 35mila punti toccata sei anni fa. Altrimenti in caso di incidenti di percorso ci vorrà un po’ più di tempo, diciamo 12 o 18 mesi».

Quindi l’investimento azionario è ancora interessante…
«La correzione potrebbe essere anche del 10%, ma offre buone opportunità di acquisto. Rispetto alla crisi del 2000, poi, le aziende pagano dividendi molto elevati che allora non c’erano. Per concludere: sull’arco dei 10 anni le azioni hanno sempre reso più delle obbligazioni, con la sola eccezione del periodo che va dal 1929 al 1947».

Eppure anche in uno scenario di mercato favorevole il sistema italiano dei fondi continua a perdere masse gestite. Come spiega questo fenomeno?
«Ci sono diverse ragioni. Intanto gli istituti di credito nei primi mesi dello scorso anno hanno venduto molte obbligazioni bancarie, su cui si sono convogliati parte dei flussi disinvestiti dai fondi obbligazionari. E poi, più in generale i portafogli degli investitori italiani sono troppo sbilanciati a favore dell’investimento obbligazionario. Che in questa fase offre rendimenti bassissimi o addirittura negativi per effetto dell’aumento dei tassi».

Quale potrebbe essere una percentuale fisiologica di azioni in portafoglio?
«Naturalmente tutto dipende dalla propensione al rischio dell’investitore. E dalla risposta alla domanda: quale livello di perdita sono disposto a sopportare? Detto questo, per un risparmiatore con un buon reddito, un’età inferiore ai 50 anni e una riserva di liquidità che non lo obblighi a disinvestimenti precipitosi in caso di necessità, la percentuale delle azioni potrebbe raggiungere anche il 50%».

E le obbligazioni?
«Ridurrei la quota dei bond societari che hanno rendimenti troppo risicati e quella delle obbligazioni a lungo termine; mi concentrerei sulle scadenze brevi».

Indichi un titolo-simbolo per l’Italia, per l’Europa e per gli Usa nel 2007
«In Italia Unicredit , perché presto arriveranno i frutti del lavoro di integrazione fatto in questi anni. Molti analisti stanno rivedendo al rialzo le previsioni degli utili per la banca. In Europa punterei su Deutsche Telekom . Mentre negli Usa ci piace un’azienda poco nota, General Mills , un gruppo alimentare “salutistico”,che sta crescendo a ritmi molto veloci».

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