Società

L’OTTIMISMO AMERICANO E LO SPETTRO DEL ’29

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*Giuseppe Turani e’ un commentatore economico di La Repubblica. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – La Casa Bianca ha diffuso uno scenario sull´economia americana che, a crederci, ci sarebbe da buttarsi per la strade con le trombette e le bottiglie di champagne, a fare festa per un mese di fila. Sostengono infatti i funzionari della presidenza americana che gli Stati Uniti vedranno un Pil negativo dello 0,2% nel 2008, poi cresceranno dello 0,6% nel 2009 e infine nel 2010 ci sarà un balzo in avanti del 5%, come e meglio dei vecchi tempi. La disoccupazione dovrebbe arrivare, al massimo, al 7,7%.
Il commento di qualche economista è stato secco a lapidario: «Ma la Casa Bianca fa politica non previsioni economiche». E, in effetti, non si trova in giro alcun economista (o alcun centro di ricerca) disposto a controfirmare simili previsioni.

In base alle quali la più grande crisi di questo dopoguerra si ridurrebbe a un anno con modesto arretramento (il 2008) e uno con modesto avanzamento (il 2009). Poi si torna a volare.

Tanto credibili queste previsioni, che ricacciano nello sfondo qualsiasi ipotesi di Grande Crisi, non sono anche perché i pochi numeri che già si conoscono vanno, purtroppo, in una direzione assai diversa.
La disoccupazione in America, ad esempio, è già al 7,8% e, per ora, gli Stati Uniti perdono mezzo milione di posti di lavoro al mese. Il quarto trimestre del 2008, inoltre, si è chiuso con una crescita negativa intorno al 2% (dato annualizzato). Il che, per ragioni puramente matematiche, dice che, se anche nel 2009 la crisi fosse meno grave del previsto, alla fine sarebbe comunque impossibile avere un Pil positivo, sia pure di poco.

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I “numeri” della Casa Bianca, quindi, non vanno presi sul serio e vanno considerati per quello che sono: politica, e pubbliche relazioni.
A Washington, sembra di capire, sono ossessionati dalla spettro della Grande Depressione o, più semplicemente, dallo spettro di una crisi profonda e di lunga durata. E fanno di tutto per allontanarlo.
E non solo a parole. Lo si è visto in questi giorni nella crisi di Bank of America e di Citigroup. Non appena si è accennato a possibili difficoltà, ecco arrivare la Federal Reserve e il governo con in mano il libretto degli assegni. Una firma, e via, crisi superata. Nel caso di Citigroup, peraltro, l´assegno ha l´aria di essere addirittura in bianco (la cifra si vedrà dopo) perché nessuno sa a quanto ammontino i titoli tossici in portafoglio (di valore, quindi, assai vicino a zero). Ma non importa, l´assegno è già stato staccato, a tempo di record.

La sensazione dei mercati è che questo, ormai, sarà il comportamento standard di governo e Federal Reserve negli Stati Uniti.
Non appena si presenta all´orizzonte una crisi, si tirano fuori i soldi, si paga, e si va avanti. Insomma, basta discussioni e basta impicci sui mercati finanziari. Lo scopo di tutto ciò è abbastanza chiaro: si vuole trasmettere ai mercati e all´opinione pubblica mondiale il concetto che l´America, qualunque cosa salti fuori, non permetterà alla crisi di fare altri passi in avanti. Se qualcosa è andato storto in passato, adesso ogni falla verrà turata.

Tutto questo, comunque, non metterà nessuno al riparo da un primo semestre 2009 veramente infernale. Qualche giorno fa sono arrivate le previsioni di Consensus (la media cioè dei più grandi centri di ricerca del mondo) e non c´è nessun paese che si salvi. I grandi paesi (quelli che una volta si chiamavano “le locomotive”) vanno tutti indietro e chiuderanno il 2009 con valori negativi, sia pure con una certa misura. Ma questo dando per scontato (sarà poi vero?) che nel secondo semestre dell´anno ci sia, comunque, una certa ripresa.

I paesi emergenti, quelli che crescevano a ritmi superiori al 10%, nel 2009 andranno su della metà, quando va bene.
Al di là della propaganda, quindi, l´anno in corso ha un profilo abbastanza chiaro. Nei primi sei mesi andiamo tutti quanti all´inferno. Poi si spera nella risalita.
Solo che mentre la discesa agli inferi è sicura, la risalita potrebbe anche arrivare più tardi. Magari nel 2010.

Tutto questo è ben chiaro, ad esempio, ai professionisti più seri della Borsa, i quali hanno già messo in preventivo che da qui all´estate i listini perdano anche un altro 25%, dopo tutto quello che hanno già lasciato per strada dall´inizio della crisi a oggi. E anche loro, comunque, come tutti noi, sperano che dopo l´estate cominci una stagione di parziale recupero.

Insomma, per il momento non ci sono buone notizie. D´altra parte, siamo dentro il girone più caldo della crisi. Non si trova un solo numero, un solo dato, che possa autorizzare un certo ottimismo. L´unico fatto nuovo, positivo, è questa determinazione del potere americano a chiudere questa crisi, costi quello che costi (tanto le rotative della Federal Reserve hanno carta e inchiostro per stampare ancora miliardi di dollari), il più in fretta possibile. Anzi, nell´arco dei prossimi sei mesi.
C´è solo da sperare che l´impresa riesca.
Senza dimenticare, però, che una gita di sei mesi all´inferno non ce le toglie nessuno.
Anche perché è già cominciata.

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