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L’Italia ce la farà?

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L’Italia non ce la farà a centrare l’obiettivo di riportare l’anno prossimo in pareggio i conti dello Stato e il Governo Monti dovrà varare una nuova manovra finanziaria. Questo timore è contenuto in un rapporto dal titolo “Budgetary situation in Italy” distribuito ai ministri delle finanze e dell’economia durante il vertice dell’Eurogruppo tenutosi venerdì scorso in Danimarca.

Nel rapporto, reso noto nell’edizione di martedì 3 aprile dal quotidiano “The Financial Times”, si legge che Roma ha varato impressionanti misure di risparmio a partire dal mese di maggio del 2010. Queste misure ammontano complessivamente a più di 100 miliardi di euro e sono quindi pari a circa il 7% del PIL italiano. Esse hanno permesso di ridurre il disavanzo pubblico dell’anno scorso al 3,9% del PIL e a riguadagnare una certa fiducia da parte dei mercati finanziari.

Ma – si sostiene sempre in questo rapporto – “Gli sforzi intrapresi vengono rimessi in discussione dalla recessione e dal livello ancora relativamente alto dei tassi di interesse.” Il rapporto si conclude con un chiaro ammonimento: “Il Governo italiano deve evitare qualsiasi sforamento dei conti pubblici e deve essere pronto ad adottare altre misure se necessario”.

I timori degli esperti europei, che hanno redatto questo rapporto, sono stati ulteriormente alimentati dai dati diffusi all’inizio di questa settimana che attestano che l’attività manifatturiera italiana si è contratta per l’ottavo mese consecutivo e che la disoccupazione è cresciuta al livello più elevato dell’ultimo decennio. La Banca d’Italia prevede che quest’anno il PIL si contrarrà dell’1,2%, ma questa previsione rischia di rivelarsi ottimistica. Non sorprende in queste circostanze il differenziale tra tassi italiani e tassi tedeschi sia ritornato stabilmente sopra i 300 punti base.

Insomma in Italia, come in Spagna, la recessione, che viene aggravata da queste misure di austerità, non sta rendendo possibile il raggiungimento degli obiettivi riguardanti il risanamento dei conti pubblici. In pratica queste politiche rischiano di non curare il paziente, ma di ammazzarlo.

In Europa comunque non si è ancora arrivati alla conclusione che senza crescita è difficile che ci sia una via di uscita dalla crisi. La difficoltà di mutare rotta è dovuta al fatto che se un Paese cede nella sua politica di austerità viene immediatamente punito dai mercati e non ha la possibilità di ricorrere all’aiuto della propria banca centrale, come capita per Gran Bretagna e Giappone che sono Paesi con deficit pubblici ben superiori a quelli italiani e spagnoli. Questo circolo vizioso, dovuto alla camicia di forza rappresentata dall’euro, rischia di far precipitare le economie dei Paesi deboli dell’Europa in una vera e propria depressione senza ottenere un miglioramento significativo dei loro conti pubblici.

Questo circolo vizioso ci spinge a ripetere che la spaccatura dell’euro è la soluzione meno peggiore. I Paesi deboli dell’Europa non hanno solo conti pubblici in rosso, ma hanno anche bilance commerciali in deficit a dimostrazione di una loro perdita di competitività da quando sono entrati nell’euro.

Rimanendo all’interno dell’Unione monetaria europea possono solo condurre politiche procicliche che rendono più profonda la recessione. Una spaccatura dell’euro con l’uscita dei Paesi forti (Germania, Olanda, Austria e Finlandia) permetterebbe a questi Paesi di beneficiare di una svalutazione per riguadagnare competitività e di una banca cetrale che potrebbe monetizzare parte dei loro deficit, come fanno le banche centrali di Gran Bretagna e Giappone.

In conclusione, lo smantellamento dell’euro appare sempre più come una priorità. Rinviare questo passo renderà solo molto più costosa la disintegrazione dell’Unione monetaria europea.

segnalato da nakatomi