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L’era di Kakistrocacy: quei bond che scottano

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Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Horo Capital – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

Kakistocracy (sostantivo): Governo fatto da pessimi cittadini. Per un numero di ragioni sulle quali è possibile solo specularci sopra, non c’è una parola che definisca un governo fatto da buoni cittadini.

Siamo ormai da cinque anni in una crisi che proprio non vuole andarsene. Parafrasando Charles Gave di GaveKal che ha scritto un articolo estremamente interessante su questo argomento appena settimana (2) scorsa, i politici continuano a manomettere i tassi di interesse, i tassi di cambio e in generale i prezzi degli asset. Essi continuano a consentire alle banche che gestiscono i depositi di operare come un casinò. Esse emettono nuovo debito per pagare le spese quando stanno già affogando nel debito. E di questo sembra che non ne prendano atto. Albert Einstein una volta ha definito una follia il fare lo stesso esperimento più e più volte, con la speranza di aspettarsi un diverso risultato. QE1. QE2. QE3 … C’è altro da dire?

Nel frattempo sempre più investitori sembrano convinti che tutto questo armeggiare finirà con una inflazione. Alcuni addirittura se ne aspettano un sacco. Questo è ciò di cui parlerà la Absolute Return Letter di questo mese. Le obbligazioni sono un investimento sicuro ai livelli attuali? Potrebbero forse essere in bolla? Nel braccio di ferro tra le forze inflazionistiche e deflazionistiche, sarà l’inflazione che alla fine prevarrà? Che cosa potrebbe accadere ai prezzi delle obbligazioni se tutto questo si realizza?

Inflazione vs deflazione

Ho scritto in merito sull’inflazione vs la deflazione nel luglio 2009 (si veda qui). Nel frattempo sono successe molte cose e questo mi suggerisce che adesso è un buon momento per ri-visitare l’argomento. Cominciamo con il definire la nostra posizione fondamentale che comunque non è sostanzialmente cambiata molto dal 2009. In quel momento ho concluso dicendo:

“Se i miei peggiori timori si dimostrano corretti e dobbiamo combattere un attacco di deflazione, le autorità non avranno altra scelta nel cercare di provocare aumenti dei prezzi attraverso politiche aggressive. In caso contrario interi paesi potrebbero fallire in quanto soffocati dal proprio debito. Qualsiasi altra cosa succederà sarà un altra storia.”

Tre anni dopo rimango ancora assolutamente convinto che la deflazione, trainata principalmente dai consumatori desiderosi di riequilibrare i loro bilanci rappresenterà una forza potente per molti anni a venire, ma allo stesso tempo devo ammettere che vedo dei preoccupanti segnali di aspettative di inflazione che iniziano ad arrivare.

Ora prima di andare avanti forse sarebbe meglio definire il concetto di inflazione. Qui è opportuno distinguere tra l’inflazione dei prezzi delle attività e l’inflazione dei prezzi al consumo. La maggior parte degli osservatori dei mercati finanziari sarebbero probabilmente d’accordo che a conti fatti i prezzi degli asset hanno già beneficiato nel corso degli ultimi anni delle azioni combinate delle banche centrali del mondo, così sembra lecito concludere che già si soffre di almeno un certo grado di inflazionamento dei prezzi degli asset.

L’inflazione al consumo è invece una bestia completamente diversa. Il futuro percorso dell’inflazione sui prezzi al consumo è in larga misura dettata dalle attuali aspettative di inflazione. Come è ben noto nella teoria economica delle crescenti aspettative di inflazione possono cambiare i nostri modelli di comportamento e a sua volta questi possono portare ad un aumento dell’inflazione reale, di conseguenza le aspettative di inflazione sono un indicatore importante che guida le tendenze inflazionistiche future.

Invece è davvero possibile avere un inflazione dei prezzi degli asset senza avere anche un inflazione dei prezzi al consumo e viceversa. In alternativa i due tipi di inflazione possono anche andare di pari passo. Quello che stiamo vivendo in questo momento è una combinazione un po’ insolita. L’inflazione dei prezzi dei beni in tutto il ‘vecchio’ mondo ha causato un’inflazione dei prezzi al consumo nelle economie emergenti, in particolar modo attraverso i prezzi delle materie prime.

Detto questo non c’è nessuna legge economica che indica che l’aumento dei prezzi delle materie prime, indotto dai prezzi al consumo nelle economie emergenti debba in ultima analisi portare ad un aumento dei prezzi al consumo nella nostra parte del mondo. Non c’è bisogno di tornare indietro di più a poco più di 30 anni fa per trovare in un paese (gli Stati Uniti) un esempio di inflazione sui prezzi al consumo molto elevata che però non ha condotto ad una medesima e drammatica crescita dell’inflazione dei prezzi al consumo in uno dei suoi principali partner commerciali (Europa occidentale).

Più di recente la Federal Reserve Bank e di conseguenza anche le altre banche centrali, sono state pesantemente criticate per non essere state in grado di creare crescita economica attraverso il QE.

Tuttavia io non sono affatto convinto che la crescita economica sia in realtà l’obiettivo primario del QE. Bernanke ha passato una buona parte della sua vita a studiare la Grande Depressione e nel comprendere la deflazione e il danno che questa può infliggere, molto di più che la maggior parte di noi. Se si passa attraverso i suoi discorsi e le dichiarazioni degli ultimi anni, vi è un abbondanza di prove che suggeriscono che si corre un rischio di deflazione molto sul serio e il suo continuo impegno sul QE è probabilmente più il riflesso di tali preoccupazioni in quanto con la sua politica egli in modo realistico si aspetta un accelerazione della crescita economica.

Cinque percorsi possibili

Quindi con questi concetti in mente quando inizieranno a salire i tassi di interesse al di fuori dei paesi periferici? Molti di questi paesi che oggi godono di bassi tassi di interesse lo possono soprattutto fare perché hanno raggiunto lo status di rifugio sicuro mentre diventava sempre più profonda la crisi lungo la costa mediterranea.

La storia finanziaria è piena di esempi dove i prezzi degli asset non rimangono stabili a lungo, quindi mi sento a mio agio quando ho posto la domanda quando? Le nostre analisi ci suggeriscono che ci sono almeno cinque possibili percorsi che possono portare a dei tassi di interesse più elevati (per convenienza ignoriamo alcuni motivi congiunturali di breve termine e altre ragioni tecniche che non faranno parte di questa discussione):

1. L’espansione dei bilanci della Fed, della BoE, della BCE e della SNB potrebbero alla fine portare ad un aumento dei prezzi al consumo negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale.

2. Una volta che le banche centrali cominciano a ridurre di nuovi i propri bilanci, i prezzi delle attività potrebbero andare sotto pressione con la conseguenza che i tassi di interesse potrebbero salire.

3. La crisi dell’Europa periferica potrebbe diffondersi in altri paesi e la reale dimensione dell’eccessiva leva diventerebbe maggiormente evidente (Giappone, Francia, Belgio e Slovenia sono stati ultimamente fortemente citati dai media finanziari).

4. La crisi nell’Europa periferica potrebbe cominciare ad allentare, facendo si che gli investitori tolgano gli investimenti dai rifugi sicuri solo per spostarsi nuovamente nei paesi periferici facendo si che i differenziali tra le aree considerate sicure e la periferia inizino a ridursi.

5. La crisi nei paesi periferici dell’Europa potrebbe continuare, ma con il resto del mondo che gli presta sempre meno attenzione e quindi rimanendo lontano dai paesi che sono in crisi potrebbe ritornare una sorta di normalità con una normalizzazione dei tassi di interesse, per quello che oggi può essere considerato ‘normale’. (Si prega di notare che questi percorsi non necessariamente si escludono a vicenda.)

Prima di dare uno sguardo più da vicino a ciascuno di questi cinque possibili risultati ho bisogno di affrontare un errore che avrà un ruolo importante in seguito. Molti credono che il de-leveraging dei debiti governativi sia ormai in una fase avanzata e che i programmi di austerità che sono stati messi in atto nei vari paesi inizieranno quanto prima a pagare dei dividendi. La realtà è che i governi non hanno ancora iniziato il de-leveraging!

La maggior parte dei cosiddetti paesi avanzati (come sono definiti dal Fondo monetario internazionale – a volte mi chiedo come si possono considerare davvero avanzati questi paesi) oggi sono molto più indebitati di quanto non lo fossero nel 2007 prima dello scoppio della crisi (grafico 1). I paesi come gli Stati Uniti, Canada e come la maggior parte della zona euro, nonché il Regno Unito e il Giappone sono tutti in quella lista piuttosto poco lusinghiera.

A parte il debito pubblico, i bilanci delle imprese al di fuori di quelli del settore bancario sono in generale in buono stato. I bilanci delle famiglie sono in una situazione più confusa, ma in generale in netto miglioramento. Le banche sono invece in una situazione disastrosa.

A questo punto avendo in mente quanto ho appena scritto torniamo ai cinque possibili percorsi di cui sopra e alla domanda: Alla fine l’espansione monetaria genererà inflazione? La risposta è semplice ‘non necessariamente’. Dal momento che la Federal Reserve Bank ha avviato la politica di QE il suo bilancio è cresciuto di quasi $2 trilioni di dollari. Si tratta di denaro che la Fed ha dato in cambio dell’acquisto di titoli che ha acquistato attraverso i primary dealers (3) nel mercato degli Stati Uniti.

La stragrande maggioranza dei $2.000 miliardi dollari ora siede nei conti di riserva che ciascuno dei primary dealers detengono con la FED. Come risultato di questa operazione fino ad ora nessuna nuova carta moneta è stata stampata e finché il denaro rimarrà nei conti di riserva questo avrà effetto zero sull’economia e quindi sull’inflazione. Ora supponiamo che i consumatori e gli speculatori riacquistino il loro appetito nel richiedere prestiti.

A quel punto non passerà molto tempo prima che uno o più dei primary dealer concludono che con tutte quelle riserve di cui dispongono perché non tornare nuovamente a ballare in pista? Le banche potrebbero a quel punto erogare prestiti pari a 8-10 volte quelle riserve così in linea di principio si potrebbe arrivare di nuovo a disporre a seguito del programma del QE di quasi $20 miliardi di dollari di capacità di prestito nel sistema bancario statunitense. (Dei calcoli simili potrebbero anche essere fatti per gli altri paesi.)

Ora questa ipotesi sarebbe altamente inflazionistica ed è proprio per questo che molti si spaventano per le possibili implicazioni di QE. Tuttavia vi è un ulteriore pezzo da aggiunre al puzzle che non è stato ancora stato rivelato e che non è ampiamente compreso. Nel 2008 negli Stati Uniti è stata approvata una nuova legge che permette per la prima volta alla Fed di pagare gli interessi sui conti di riserva detenuti presso la FED. Con questo nuovo strumento politico in mano la cosa che la Fed potrebbe fare sarebbe quella di aumentare l’interesse pagato sui conti di riserva ad un livello tale da scoraggiare dei prestiti sconsiderati. Per questo motivo credo che il rischio di inflazione galoppante a causa dell’espansione dei bilanci delle banche centrali ai quali abbiamo assistito in questi ultimi anni sia eccessivamente esagerato.

# 2: Quando inizierà il percorso inverso nel QE

Ora esaminiamo il secondo percorso possibile. La questione è semplice: I tassi saliranno quando le banche centrali inizieranno a rivendere i titoli che hanno acquisito negli ultimi anni? La risposta è altrettanto semplice. Fino al 2008 la Fed avrebbe potuto assorbire infinità liquidità in eccesso con la vendita di quei titoli che aveva precedentemente acquistato. Tuttavia con l’introduzione del nuovo strumento politico che è arrivato con la legge del 2008 sulla Remunerazione delle Riserve, la Fed non potrà mai rimettere nuovamente in circolazione quei titoli. In altre parole i tassi di interesse non possono essere influenzati negativamente perché non ci potrà essere un inversione nel processo del QE.

Detto questo, comunque le forze del mercato possono guidare i tassi di interesse verso l’alto una volta che gli investitori riterranno che non ci sarà più alcun QE in arrivo. Questo può essere vero anche se gli attuali programmi di QE non sono ancora arrivati al termine. Il grafico 3 illustra l’enorme cambiamento che vi è stato negli ultimi 5 anni nei fondi comuni di investimento con un uscita dal mercato azionario globale verso quello obbligazionario. Questo cambiamento almeno in parte è avvenuto come conseguenza della frustrazione sui rendimenti azionari. Inoltre la fame di rendimenti da parte dei Baby boomer può avere anche questa giocato un ruolo, in quanto il veloce avvicinarsi del pensionamento ha accelerato la ricerca di un reddito certo.

(Grafico in allegato a fianco: Flussi cumulativi sui Fondi comuni globali (miliardi di dollari. Fonte: FMI Rapporto sulla ottobre 2012).

Tuttavia credo che gran stato guidato da ciò che può come la ‘rincorsa ai abissali rendimenti fatti da ultimi anni, viceversa le maggior parte dei gestori esaminate in modo investitori. Forse c’è investitori che i rendimenti indicazione di futuri

# 3: La crisi del debito si estende

Il terzo percorso è quello che io di solito considero come uno scenario da incubo. Invece di avere una crisi che lentamente diminuisce, in realtà questa si diffonde anche al di là dei paesi periferici della zona euro.

Diamo uno sguardo al Giappone che ad oggi è da più di 20 anni in una recessione apparentemente senza fine. Quando l’economia giapponese si è schiantata contro il muro intorno al 1990 nessuno si aspettava che sarebbe caduto in una terreno di bassa crescita che dura da più 20 anni, con entrate fiscali in calo e con un debito pubblico in rapida crescita; comunque tutto questo è accaduto anche a causa di una combinazione di cattive decisioni politiche ed una sfavorevole crescita demografica, il tutto anche aggravato da una moneta molto forte.

L’incubo fiscale Giapponese

Dopo più di 20 anni di calo Giappone deve emettere trilioni di valore di JGB – e di più che le entrate fiscali di finanziare l’enorme Con il rendimento a 10 assolutamente a buon immaginare che cosa vigilantes (coloro che improvvisamente Giapponese il 5% di

In un certo senso il Giappone è stato un paese fortunato avendo iniziato 20 anni prima di tutti gli altri. Con l’attuazione di politiche adeguate avrebbero potuto mettere in sesto la propria situazione; invece hanno di fatto generato veramente un gran casino. Purtroppo il resto del mondo è meno fortunato. Ci sono troppi paesi nella stessa barca in cui i giapponesi hanno avuto solo per se stessi da un paio di decenni e purtroppo la barca al momento sta caricando abbondantemente acqua.

Con i membri della zona euro intrappolati in un gold standard de facto, il deprezzamento della moneta non è più una opzione a loro disposizione. In realtà non è davvero più un’opzione per nessuno, in quanto ogni paese cerca nelle esportazioni la sua via d’uscita da questa crisi. Purtroppo non possiamo esportare tutti nello stesso momento. Probabilmente si è persa la bacchetta magica.

In paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito, circa il 10% delle entrate del governo vengono spese per pagamenti degli interessi sul debito già esistente. Questo è più o meno dove il Giappone si trovava circa 20 anni fa. Il Giappone dovrebbe essere per altri governi un esempio di come non dovrebbe essere gestita la crisi. Invece sembra che i nostri leader abbiano una forte inclinazione nel ripetere gli stessi errori del Giappone.

Quando il bilancio è pieno di debiti – sia governativi, aziendali o privati – far si che il reddito possa continuare a fluire dovrebbe essere la priorità numero uno. Nel caso dei governi questo si traduce nelle entrate fiscali. L’ho già detto prima e continuerò a dirlo ‘fino alle calende greche’. L’austerità uccide la crescita. E senza nessuna crescita non ci sono entrate fiscali. La cosa è molto semplice. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente ammesso che il cosiddetto moltiplicatore (che misura la quantità di PIL che si distrugge mediante l’attuazione di un risparmio sulla spesa pubblica di $1) è molto più alto di quanto era stato stimato in precedenza. I governi europei, volenti o nolenti, stanno ripetendo gli stessi errori del Giappone e il prezzo che pagheranno per queste scelte sarà astronomico.

# 4: La crisi si attenua

Questo commento positivo prova a dare una risposta rapida al quarto percorso possibile – un contesto relativamente tranquillo in cui a poco a poco la crisi si attenua, come sembra stia avvenendo in questo momento e come conseguenza di questo i tassi di interesse a poco a poco si normalizzano. A quel punto i tassi ufficiali tendono a spostarsi verso l’alto (in modo molto graduale) mentre tendono a scendere i tassi a lungo nella zona periferica dell’area euro e viceversa salgono negli altri. Anche se questa potrebbe essere la miglior scelta in termini di risultato purtroppo non è molto probabile che si avveri questo scenario.

Come riconosciuto anche dal FMI (!), La differenza tra il tasso di interesse pagato sul debito pubblico e il tasso di crescita dell’economia (entrambi misurati in termini reali) è “un importante fattore di dinamica del debito, che sottolinea l’importanza di mantenere o ripristinare la fiducia del mercato e la crescita”.

Traduzione: se si è pieni di debiti e i tassi di interesse reali superano il tasso di crescita reale dell’economia per un periodo significativo di tempo, si è schiacciati! Questo è il motivo per il quale la periferia europea è completamente schiacciata (grafico 5). Quindi anche se il percorso numero 4 è probabilmente quello che si desidererebbe maggiormente, purtroppo non è il più probabile.

# 5: L’affaticamento dell’Eurozona

Infine arriviamo al percorso numero 5 – conosciuto anche come la sindrome da affaticamento della zona euro. A poco a poco gli investitori iniziano a riporre la loro attenzione su altre questioni, anche se però i problemi della periferia europea restano. Gli investitori semplicemente non riescono più a sopportare di sentire e leggere cose sui problemi dell’Europa. Questo in qualche modo sta già accadendo. E’ troppo presto per dire se si tratta di uno spostamento temporaneo o definitivo del sentiment.

Grafico: Tasso di interesse – differenziale di crescita, 2012 (%)
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Se si scopre che questo spostamento è di carattere più definitivo, a quel punto torneranno alla ribalta nelle menti degli investitori i fattori ciclici e a quel punto le banche centrali con molta più probabilità aumenteranno i tassi ufficiali, dopo cinque anni di politica monetaria estremamente accomodante. Se ciò dovesse accadere gli investitori in obbligazioni farebbero bene a ricordare due lezioni dal passato:

1. Quando i tassi di interesse sono bassi (come nel 1954) anche un modesto aumento dei tassi può avere un effetto drammatico sul rendimento delle obbligazioni. Nel mercato orso degli anni ’50, il rendimento delle obbligazioni con rating AAA è aumentato del 1,8% in un periodo di 69 mesi. Il valore delle obbligazioni alla fine del periodo aveva però raggiunto una diminuzione del 15% (grafico 6).

2. Quando i prezzi delle obbligazioni alla fine si invertiranno, il recuperare le perdite potrà richiedere molto tempo. E’ durato quasi cinque anni il grande mercato orso obbligazionario partito alla fine degli anni ’70 e che è durato fino all’inizio degli anni ’80. Il mercato orso degli anni ’50 è durato invece quasi nove anni.

Questo è circa dove ci troviamo oggi. Grecia, Portogallo, Italia, Slovenia e Spagna non potranno mai essere in grado di rimborsare i loro debiti a meno che a) non vi sia un cambiamento fondamentale nella politica economica, (b) subiscano una massiccia ristrutturazione del debito o (c) la Germania e gli altri paesi creditori della zona euro continuino a sborsare miliardi (forse migliaia di miliardi) di euro.

Io però non sono troppo fiducioso. L’ottimista che sta dentro di me ritiene che vi sia una buona probabilità che il percorso # 5 – l’affaticamento della zona euro – sia giunto alla fine. Vorrei assegnare una probabilità del 30% a questa ipotesi. Il pessimista (? Realista) teme che il sentiero #3 – la crisi del debito si estende – prevarrà. A questa ipotesi io assegnerei una probabilità del 40%. Agli altri tre scenari che ritengono meno probabili gli assegnerei a ciascuno una probabilità del 10%.

Ciò implica che un allargamento della crisi del debito al di fuori della zona periferica dell’area euro è la nostra ipotesi di base. Ora come i mercati potrebbero reagire ad una ipotesi di questo tipo dipende da:

1. se i problemi rimangono circoscritti all’interno della zona euro (il Giappone potrebbe essere trascinato all’interno della crisi e su questo sono aperte tutte le scommesse),

2. sull’importanza economica dei nuovi paesi che entreranno in crisi, aggiungendo alla lista dei paesi la Francia dove in quel caso la crisi sarebbe molto più grave rispetto al fatto se questa avvenisse in Slovenia.

Con tutte queste criticità in mente le implicazioni sono che, in un particolare contesto i tassi ufficiali potrebbero rimanere bassi per un periodo di tempo molto più lungo di chiunque altro oggi si potrebbe aspettare; tuttavia i rendimenti dei titoli potrebbero molto probabilmente iniziare a crescere al di fuori della zona periferica, non come risultato di eventuali timori di inflazione ma a causa del cambiamento del rischio di credito percepito.

Più in generale questo significherebbe anche che le attività a rischio probabilmente continueranno al massimo a generare dei rendimenti modesti. Infine potremmo rimanere bloccati in un contesto di bassi rendimenti per molti anni a venire. Di recente ho avuto il piacere di incontrare per la prima volta Howard Marks (di Oaktree Capital). Parlando ad una conferenza in Germania ha citato il grande e compianto Peter Bernstein che una volta pronunciò queste parole famose:

“Il mercato non è una macchina così accomodante. Non fornirà elevati rendimenti solo perché se ne ha bisogno.” Mai quelle parole hanno avuto più senso.

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