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L’AUTUNNO DI RE DOLLARO

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(WSI) – Quella cinica osservazione è valida anche oggi. Malgrado abbia perso negli ultimi sei anni oltre il 40% del suo valore rispetto all´euro, il dollaro resta il centro del «sistema solare» del commercio e della finanza globale. Questa sfasatura tra il crollo del suo valore e la persistenza del suo ruolo egemonico, è alla radice di molti mali della nostra economia. E´ una contraddizione che paghiamo in tanti modi: il petrolio oltre i 100 dollari, l´inflazione dei generi alimentari, l´impasse della Bce che non riesce a tagliare il costo del denaro per colpa di un carovita importato; tutto ciò si può ricondurre agli squilibri propagati da «sua maestà decaduta» il biglietto verde. Perfino la Cina e i paesi dell´Opec subiscono pesanti ripercussioni interne per la débacle del dollaro, nessuno riesce a difendersi. Siamo tutti in attesa di una rivoluzione copernicana nelle regole monetarie. Se non arriva, è anche colpa nostra.

Eppure il declino americano è evidente. L´Unione europea ha ormai un Pil superiore a quello degli Stati Uniti. La Cina ha sostituito l´America nel ruolo di principale partner commerciale di quasi tutte le aree del mondo, dall´Europa al Giappone.

Il mondo di oggi è irriconoscibile, i rapporti di forza sono stravolti, non solo perché l´America è in recessione e stremata dalla crisi dei mutui, ma anche perché il suo ridimensionamento è una tendenza di lungo periodo. Il superamento del «sistema solare» con il dollaro al centro è stato profetizzato più volte. Ancora un mese fa George Soros dichiarava a Davos che «è finita un´èra di 60 anni di espansione della finanza mondiale basata sul dollaro come moneta di riserva». Ma il dollaro è ancora lì, malconcio e insostituibile. Warren Buffett, il più ascoltato investitore degli Stati Uniti, due giorni fa ha sentenziato che il dollaro non potrà che valere sempre meno. Di questo passo sarà carta straccia; ma l´unica carta universale.

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L´86% delle transazioni quotidiane sui mercati dei cambi sono in dollari. I due terzi delle riserve delle banche centrali (comprese le due più ricche del mondo, la cinese e la giapponese) sono in dollari. Si parla da anni di una diversificazione di queste riserve in favore dell´euro, ma procede a una lentezza esasperante: per ora le banche centrali mondiali detengono solo un quarto delle loro riserve in euro, cioè addirittura meno di quanto avevano in marchi, franchi, lire, fiorini, pesete e tutte le altre ex-monete dell´eurozona ante – 1999. Ancora più impressionante è l´egemonia del dollaro nel commercio internazionale, a cominciare dai mercati delle materie prime.

Più volte dei leader antiamericani hanno cercato di sottrarre il petrolio al signoraggio del dollaro. Da Gheddafi agli iraniani, da Saddam Hussein a Hugo Chavez, chi non ricorda le loro proposte di convertire in euro le quotazioni del greggio? Tutte chiacchiere. «Perfino un paese come l´Algeria – ha rilevato il Wall Street Journal – che vende agli Stati Uniti appena il 27% delle sue risorse energetiche, gestisce il 100% del suo commercio estero in dollari». La Malesia e l´Indonesia forniscono la maggioranza delle loro risorse naturali alla Cina: si fanno pagare in dollari. Il Brasile vende zucchero a tutta l´Asia: in dollari.

Iran, India, Pakistan e Bangladesh hanno creato una sorta di mercato comune ma regolano le loro transazioni in dollari. Idem nel commercio tra Cina e Giappone, tra Cina e Corea del Sud. Un fenomeno simile accadde nel secolo scorso. Molto tempo dopo che la Gran Bretagna aveva cessato di essere l´economia più ricca, la sterlina rimase la moneta degli scambi e della finanza internazionale: fino alla seconda guerra mondiale. Il parallelo non è rassicurante, visti i disastri finanziari avvenuti negli anni Trenta.

Le conseguenze nefaste che ha su di noi il tracollo del dollaro sono ben più ampie di quanto si crede. E´ noto che siamo penalizzati perché le nostre esportazioni costano sempre più care, non solo sul mercato Usa ma in tutti quei paesi le cui monete sono agganciate o influenzate dal dollaro, inclusa la Cina. E´ meno noto il modo in cui il dollaro debole diffonde i virus dell´inflazione mondiale. Le fiammate dei prezzi del petrolio e di tutte le materie prime – metalli, derrate agricole – sono causate «due volte» dal dollaro. Anzitutto i paesi esportatori di energia e risorse naturali devono compensare la caduta della moneta con cui vengono pagati.

Ma vi si aggiunge il ruolo della speculazione: proprio perché l´America esporta debiti e inflazione, i capitali mondiali cercano rifugio in investimenti sicuri. Le materie prime sono diventate l´ultima spiaggia per ripararsi dalla crisi. Nel lungo termine, certo, petrolio grano e riso rincarano per il boom dei consumi di Cina e India. Nel breve termine vanno su perché gli hedge fund accaparrano i «futures» delle materie prime come protezione dal collasso del dollaro. Proprio come negli anni 70 di Nixon, l´America esporta la sua crisi in ogni angolo del mondo.

Perché non riusciamo a sganciarci dal ruolo ingombrante di una moneta allo sbando? L´euro continua a essere una promessa mancata, una moneta-leader solo allo stato potenziale. E´ sintomatico che le banche centrali di Pechino e di Tokyo possiedano ancora così pochi euro. Visto dall´Asia – l´area che sta diventando il nuovo baricentro e la massa critica dell´economia globale – l´Unione europea è un´entità politicamente inafferrabile. Pesa anche il fatto che la più grossa piazza finanziaria d´Europa, il mercato più liquido ed efficiente è Londra, che sta fuori dall´euro.

Infine quando i fondi sovrani della Cina, di Singapore e degli emirati arabi vogliono comprarsi le banche americane vengono accolti a braccia aperte. Nell´Unione europea perfino acquisizioni franco-italiane, o viceversa, sono ostacolate. La centralità del dollaro avrà vita lunga finché non si fa avanti un sostituto credibile.

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