Società

L’ AUTUNNO
DEL CENTRODESTRA

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(WSI) – Può sembrare un paradosso, ma i riformisti devono fare il tifo perché il centrodestra non si disintegri. Più forte e propositiva sarà l’opposizione nel prossimo Parlamento, meno sarà possibile per il leader del prossimo governo (presumibilmente Prodi) di bordeggiare tra le due sponde dei riformisti e dei radicali, dribblando le riforme di cui il paese ha bisogno. Per questo ci affanniamo tanto a capire quello che sta accadendo nella Casa di Berlusconi. E più ci affanniamo, più ci imbattiamo in un nome: Beppe Pisanu.

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Intendiamoci, non tutti gli scenari che lo evocano sono realistici; e quasi nessuno è ispirato da lui, che anzi se ne sta buono buono a fare (bene) il suo mestiere, e guarda con scetticismo a ciò che si muove dalle sue parti. Ma vale la pena di raccontarli perché – velleitari o meno che siano – raccontano in filigrana il tormento del centrodestra, e ne sono una metafora in articulo mortis.

Le due ipotesi di autunno caldo che fanno capo a Pisanu sono opposte e contraddittorie, nel senso che il verificarsi della prima sarebbe la smentita della seconda, e viceversa. Il primo scenario considera possibile una crisi di governo tra ottobre e novembre. Il casus belli c’è, ed è la devolution. Alla Camera l’Udc potrebbe rifiutarsi di votare la legge tanto cara alla Lega. Se non interviene prima un accordo politico generale su come andare alle elezioni, il partito di Follini può considerarsi sciolto dal vincolo di maggioranza, quello stesso che gli ha fatto mandar giù dalla Gasparri alla Ciriello, e decidere secondo coscienza. Aiuta il fatto che alla Camera, se anche l’Udc uscisse dall’aula al momento del voto, la riforma passerebbe lo stesso. Non ricadrebbe dunque sui centristi l’onere di aprire formalmente la crisi, ma sulla Lega.

Il vantaggio di un’operazione del genere per Follini sarebbe evidente: cadrebbe l’argomento principale con cui il premier ha blindato la sua ri-candidatura: sono l’unico che fa l’unità della coalizione. Il nodo della leadership del centrodestra sarebbe tagliato. A quel punto, con una crisi d’autunno, le Camere non potrebbero essere sciolte: c’è una finanziaria da brivido da approvare, già scritta a Bruxelles. Ed è qui che le nostre fonti arruolano Pisanu per un governo d’emergenza con un unico punto all’ordine del giorno.

In questo scenario il ministro verrebbe dunque usato come un grimaldello per seppellire il berlusconismo prima che lo seppelliscano gli elettori. Si tratta di una operazione densa di rischi e di incognite, come ogni crisi di governo. Ma è presa seriamente in considerazione. Oggi i vertici dell’Udc, riuniti per la prima volta con Casini, ne discuteranno per sondare il fegato dell’ala ministeriale del partito.

La seconda ipotesi Pisanu, invece, è stata a sorpresa evocata da Berlusconi nel suo recente incontro con Bossi, ed è l’esatto opposto, perché è finalizzata a cementare l’asse con la Lega anche per la futura traversata nel deserto dell’opposizione. Il premier sembra certo del fatto che, comunque vada, l’Udc gli giocherà contro nella prossima legislatura. Si domanda dunque se davvero valga la pena di darle quaranta parlamentari che verranno usati contro di lui dopo la caduta, o se non gli convenga invece gestire la sconfitta e portare in Parlamento un nucleo duro di parlamentari forzisti-leghisti, visto che i seggi sicuri del centrodestra sono quasi tutti al nord.

L’auto-gestione della sconfitta prevederebbe sì un passo indietro – Berlusconi non si candiderà se è sicuro di perdere – ma a vantaggio di Pisanu, destinato comunque a uscire di scena presto e a lasciare il bastone del comando nelle mani del Cavaliere. Il quale – dicono le nostre fonti – è sempre più interessato al suo futuro fuori da palazzo Chigi, e sempre più incline a discutere di garanzie personali con il governo di domani piuttosto che con gli alleati di oggi.

In questa ipotesi, insomma, Berlusconi rinuncerebbe a fare il padre nobile di un nuovo centrodestra per rimanere il padrone, magari meno nobile, di quel che resta del vecchio. Da buoni riformisti, e per le premesse di cui sopra, preferiamo la prima soluzione. Temiamo che nell’Unione, invece, ci sia chi è pronto a fare carte false pur di assicurarsi Berlusconi come avversario elettorale il 9 aprile del prossimo anno.

P.S.: Un annetto fa, quando ci inventammo l’epiteto di Siniscaltro, ricevemmo molte critiche per quello sberleffo al tecnico superpartes, amico dei poteri forti e frequentatore di salotti sinistri. Oggi leggiamo sul Corriere la definizione di Francesco Giavazzi: «Un accademico senza spina dorsale, prestato alla Casa delle libertà per fare bella figura coi mercati»; che potrebbe essere una definizione da dizionario del nostro neologismo. Sottoscriviamo, e ci domandiamo se la colpa più storica di Berlusconi non sia stata proprio l’aver sacrificato la riforma del risparmio di Tremonti sull’altare del debito affettivo con Geronzi.

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