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(WSI) – «Un capitolo dell’evoluzione naturale del capitalismo italiano». Questo è, secondo Paolo Romani, noto per essere uno dei parlamentari di Forza Italia più in sintonia con il premier Silvio Berlusconi, l’offensiva degli immobiliaristi che sta scuotendo il mondo finanziario. «Salvo qualche caso sporadico, come quello del gruppo Berlusconi, il capitalismo ha sempre avuto problemi di crescita. Ben vengano, allora, nuovi soggetti in grado di arricchire il mercato», aggiunge il sottosegretario alle Comunicazioni. Che manifesta una sola incertezza: «Non so se questo sia il segno che il salotto buono sta cambiando…» Eppure proprio questo ha detto ieri Ubaldo Livolsi al Sole 24ore : «L’avanzata degli immobiliaristi conferma l’inizio di una profonda fase di cambiamento, si sta incrinando lo status quo che durava ormai da troppi anni».
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Livolsi, non uno qualsiasi. La mente delle strategie finanziarie del gruppo Fininvest, l’artefice della quotazione in borsa di Mediaset e uomo legatissimo al Cavaliere fino a quando ha deciso di mettersi in proprio. E anche dopo, come testimonia il suo ruolo in partite delicatissime che hanno coinvolto il governo, e il fatto che il suo nome sia emerso più volte per incarichi chiave, come in Sviluppo Italia, Cinecittà holding (dove in effetti Livolsi è stato nominato amministratore delegato) e persino la Rai. Le sue dichiarazioni potrebbero quindi assumere il significato di uno «sdoganamento» in piena regola, da parte di un certo mondo berlusconiano, se non fosse per il particolare che Livolsi assiste professionalmente Stefano Ricucci, la punta di diamante del fronte degli immobiliaristi.
Ma fra gli uomini più vicini a Berlusconi la tesi di Livolsi riscuote comunque molti consensi. Questa è l’analisi di Romano Comincioli, senatore di Forza Italia, che conosce il premier da più di mezzo secolo, essendo stato suo compagno di liceo: «Gianni Agnelli ed Enrico Cuccia non ci sono più. Le industrie sono tutte indebitate. Che si affaccino nuovi attori sulla scena non può quindi che essere un fatto positivo». E sulle polemiche sulla provenienza delle nuove fortune investite in Borsa dagli immobiliaristi aggiunge: «Conosco bene Ricucci, l’ho seguito fin dall’inizio e so come ha fatto i soldi. Purtroppo in Italia quando c’è un emergente che accumula in fretta tanto denaro fiorisce sempre il sospetto».
Già, il sospetto. Antonio Martusciello, ex dirigente di Publitalia considerato uno dei più fedeli interpreti del Berlusconi-pensiero, non esita a ricorrere a un paragone: «Se non ci meravigliamo delle fortune che ha accumulato Bill Gates con l’informatica, o Roman Abramovich con il petrolio, perché dovremmo meravigliarci dei soldi di Ricucci, Coppola o Statuto?» Per il viceministro dei Beni culturali «non bisogna avere nessuna perplessità rispetto a nuovo capitale che viene immesso nel mercato in un momento certamente non florido». Mai come in questo momento, insiste Martusciello, «pecunia non olet ». E a chi, fra cui il diessino Pierluigi Bersani, rovesciando le accuse di non aver preso tutte le distanze dagli immobiliaristi, rivolte alla sinistra, spariglia domandando «da dove vengono tutti quei soldi», risponde: «Ho timore di chi fa affermazioni di questo genere, non supportate da alcun elemento. Fino a prova contraria stiamo parlando di persone che hanno risorse reperite con attività finanziarie lecite».
Comincioli si dice sicuro che gli investimenti in Rcs o Mediobanca «non sono semplici operazioni speculative». E si trova in singolare affinità di pensiero con Livolsi, sostenendo che «magari questi immobiliaristi non sono all’altezza delle grandi strategie industriali, ma non è detto che non possano essere affiancati, per esempio in Rcs, da soci industriali che queste strategie le sanno fare».
Ma nello schieramento del premier non tutti gli strumenti suonano la marcia trionfale in onore dei nuovi capitalisti.
Per esempio, ieri mattina Bruno Ermolli, uno degli uomini più ascoltati da Berlusconi, è stato visto mostrare a un convegno tutta la sua sorpresa per l’uscita di Livolsi. E Giampiero Cantoni, ex presidente della Bnl e senatore di Forza Italia, taglia corto: «Il capitalismo è certamente in crisi. La crisi della Fiat è la crisi di un Paese delocalizzato, nel quale ci sono però ancora aziende sane e vitali. Non saranno certo gli immobiliaristi i cavalieri bianchi che lo salveranno».
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