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Jeremy Siegel, la voce contro: “ecco perchè l’azionario non è affatto sopravvalutato”

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ROMA (WSI) – “Diversamente dal 1929, questa volta tutto – azioni, bond e immobiliare – è sopravvalutato”. Il Premio Nobel per l’economia Robert Shiller è stato indubbiamente molto chiaro a esprimere il suo pensiero sulle condizioni attuali in cui versano i mercati. Diametralmente opposta l’opinione dell’amico e collega Jeremy Siegel: “Nessun segnale di recessione nei prossimi 18 mesi; non c’è nessuna ragione per pensare che i livelli attuali dell’azionario indichino una bolla”. Di seguito, alcune tra le diverse risposte del guru di economia Jeremy Siegel, intervistato da Allison Nathan, di Goldman Sachs.

Allison Nathan – Lei ha spesso parlato dei benefici di una strategia di “buy and hold” (acquista e tieni in portafoglio) sull’azionario. Ma ora i mercati azionari sono sopravvalutati?

Jeremy Siegel – Guardando ai tassi di interesse e ai valori attuali dei P/E, vedo che i titoli azionari sono appena al di sopra le loro valutazioni storiche. In media, il rapporto P/E di lungo termine dell’indice S&P 500, andando a ritroso fino al 19esimo secolo, è pari a 15,0 volte gli utili. Nel corso degli ultimi 60 anni, nel periodo post-guerra, lo S&P ha avuto un valore in media attorno a 16,5 volte gli utili. Oggi è tra 17,5 e 18 volte. Dunque, appena al di sopra del suo livello storico. E questo livello è completamente giustificato: anzi, anche un valore più alto sarebbe giustificato, considerato il basso livello dei tassi di interesse.

Allison Nathan – Cosa risponde a coloro che affermano che i mercati azionari Usa versano in una condizione di bolla o stanno per entrare in questa condizione?

Jeremy Siegel – Sono del tutto in disaccordo. Una bolla implica una sopravvalutazione molto significativa. Il mercato azionario si trovava certamente in una bolla nel marzo del 2000, quando lo S&P 500 valeva 30 volte gli utili e il settore tecnologico dello S&P 500 era a quasi 100 volte gli utili. Ma i livelli attuali non sono affatto vicini a quei massimi che potrebbero qualificare l’esistenza di una bolla.

Allison Nathan – Il rapporto CAPE che è stato creato dal suo amico e collega di lunga data – Robert Shiller (premio Nobel per l’economia) è spesso visto come uno strumento di valutazione utile per indicare un mercato sopravvalutato. Cosa ne pensa al riguardo?

Jeremy Siegel – Ho un grande rispetto per Bob Shiller e per il suo CAPE ratio, che utilizza la media in 10 anni degli utili rispetto al prezzo, per monitorare la valutazione di una società. Il problema è che, a partire dalla fine degli anni ’90, Standard & Poor’s ha cambiato il modo in cui i profitti vengono calcolati, orientandosi verso un metodo mark-to-market, che deprime in modo netto gli utili nei periodi di recessione. Dal momento che gli ultimi 10 anni di utili includono la Grande Recessione (crisi finanziaria più forte dai tempi della Grande Depressione), quando i profitti crollarono allo zero, gli utili appaiono molto al di sotto rispetto a quelli che ritengo dovrebbero essere; e tale fattore gonfia il ratio Cape al di sopra di quello che io credo sia il vero valore. Considerando tale problema, ho fatto qualche calcolo e ho utilizzato invece la media degli ultimi 10 anni delle stime sul reddito National Income Products Accounts (NIPA), invece delle previsioni sugli utili dello S&P. Una volta fatta questa sostituzione, si ottiene una sopravvalutazione del mercato molto inferiore rispetto a quella che si ottiene con gli strumenti di valutazione di Shiller.

Allison Nathan – La vera bolla è sul mercato obbligazionario?

Jeremy Siegel – Con i tassi di interesse che in generale sono ai loro minimi storici e che probabilmente tenderanno a salire, posso dire che è giusto affermare che i bond siano al momento sopravvalutati e molto più delle azioni. Tuttavia, non credo che i tassi di interesse di breve o lungo periodo torneranno in qualunque modo vicini alla media dei valori del periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. La mia sensazione è che vedremo i tassi rimanere attorno al 2% nel breve periodo, forse anche a meno; e al 3-3,5% nel lungo periodo. Visto che ci sono ragioni davvero molto convincenti affinché i tassi rimangano bassi e siano relativamente bassi in futuro, non direi necessariamente che il mercato dei bond si trova in una situazione di bolla.

Proseguendo nell’intervista, le domande vertono su quello che dovrebbe essere il fair value del Dow Jones e su quello che dovrebbe essere per gli investitori il momento di vendere le loro azioni.

Allison Nathan – Quali sono i margini di rialzo dell’azionario che lei prevede?

Jeremy Siegel – Ritengo che il fair market value del Dow Jones, considerate le circostanze attuali, sia di 20.000 circa. Siamo all’incirca a 18.000 oggi, fattore che implica un margine di rialzo superiore al 10%. Potremmo non vedere questi valori nei prossimi sei o anche dodici mesi. Ma credo che, dato il probabile permanere di tassi di interesse bassi nei prossimi anni, un livello del Dow Jones a 20.000 sia totalmente giustificato.

Allison Nathan – E sei tassi di interesse rimanessero dove sono ora e il Dow Jones testasse 20.000 entro un paio di mesi – d’altronde sono accadute cose molto più folli – consiglierebbe agli investitori di vendere le loro azioni?

Jeremy Siegel – Penso che sarebbe necessario assistere a un miglioramento degli utili, dopo i numeri molto deludenti degli ultimi sei mesi, al fine di assistere a quello scenario (Dow Jones a 20.000). Ma anche se ciò accadesse, non raccomanderei agli investitori di vendere. A quel punto, si sarebbe semplicemente raggiunto il fair value di mercato, a seconda delle aspettative sui tassi di interesse e degli utili, nel futuro. Dunque non credo che ci troveremmo in una situazione pericolosa o di bolla. Certamente, le azioni potrebbero essere tremendamente volatili nel breve termine. Dunque, anche se il fair value arrivasse a 20.000, l’indice potrebbe scendere a 17.000, o salire a 23.000 nel breve termine. Ci potrebbero essere molte variazioni attorno al valore di mercato giustificato.

Allison Nathan – Quanto è preoccupato riguardo alla prospettiva di una correzione significativa nel breve termine, magari scatenata dall’avvicinarsi di aumenti dei tassi di interesse in Usa?

Jeremy Siegel – Il mercato ha rimandato le aspettative di un aumento dei tassi da parte della Fed a settembre. Una qualsiasi altra notizia sulla Fed che possa alzare i tassi prima, sarebbe un elemento di disturbo per i mercati. E sono anni, molti, molti anni, che non si è verificata una correzione (intesa come calo di almeno il 10% o superiore a esso). Non sarei sorpreso se di colpo una (correzione) si verificasse nel primo semestre di quest’anno, ma finora i mercati hanno tenuto molto bene. Gli investitori guardano in avanti, al miglioramento degli utili, dopo lo scivolone del primo trimestre. E fino a quando l’agenda della Fed non sembrerà anticipare un rialzo a giugno, non prevedo alcuna correzione del 10% nel breve termine. E anche se ci fosse, in ogni caso la vedrei come opportunità di acquisto.

Allison Nathan – Cos’altro potrebbe scatenare una correzione, a parte il rischio legato ai tassi di interesse?

Jeremy Siegel – Un’altra fase di apprezzamento significativa del dollaro americano sarebbe un elemento ribassista per l’azionario Usa, che sta facendo già i conti con un rialzo del 20% (della valuta), rispetto allo scorso anno. Se i prezzi del Btrent crude rimarranno in un range compreso tra $60 e $70, credo che si tratterà di un fattore positivo per il mercato, nel lungo termine. Ma c’è così tanta volatilità nei prezzi petroliferi che tale elemento potrebbe anche provocare volatilità sui mercati azionari.

Allison Nathan – Lei ritiene che i mercati azionari esteri siano ancora più attraenti rispetto a Wall Street?

Jeremy Siegel – Credo che l’azionario europeo sia attraente in questo momento e che il deprezzamento dell’euro sia finito. Ritengo che in futuro il rapporto tra l’ euro e il dollaro si attesterà nel range compreso tra $1 e $1,10. Le valutazioni dell’azionario europeo sono salite in modo notevole: valevano 10-12 volte gli utili e ora valgono tra 15 e 17 volte. Ma si tratta di valori ancora inferiori del 10% rispetto a quelli Usa. Il Giappone appare relativamente attraente. Sebbene i mercati azionari giapponesi siano cresciuti molto, la crescita ha interessato anche gli utili. Dunque i ratio giapponesi del P/E rimangono attorno a 15-17 volte gli utili, fattore interessante se si considera gli attuali tassi di interesse. E i mercati emergenti, in particolare, potrebbero essere i mercati migliori nei prossimi 3-5 anni visto che le valutazioni sono scese in modo significativo nelle ultime correzioni e che le valute vengono scambiate a prezzi molto ragionevoli rispetto al dollaro.

Allison Nathan – Dunque, raccomanderebbe agli investitori di essere overweight sui mercati azionari emergenti o esteri nei loro portafogli?

Jeremy Siegel – Dipende dalle preferenze verso il rischio. Ma generalmente raccomanderei un’allocazione del 50% circa sull’azionario Usa, 25% su mercati dei paesi avanzati non Usa e 25% sui mercati emergenti.

Allison Nathan – Ci potrebbe essere qualcosa che potrebbe dissuaderla a tenere azioni un portafoglio nel medio termine?

Jeremy Siegel – Non molto. Esiste sempre il potenziale di shock inattesi, come attacchi terroristici o disastri naturali, che potrebbero colpire l’azionario in modo drammatico. Questa è una delle ragioni che porta molta gente a stare lontana dalle azioni. Ma è anche la ragione per cui gli investitori che sono abbastanza coraggiosi da detenerle finiscono con il conseguire ritorni superiori. E io oggi credo che i prezzi siano bassi in modo sufficiente da portare gli investitori a pagare un po’ nel tempo per detenere rischio nell’azionario”.

Jeremy Siegel (14 novembre, 1045) è professore di Finanza presso la Wharton School della University of Pennsylvania a Philadelphia. Appare spesso su reti televisive di informazione finanziaria come Cnn e Cnbc. E’ stato autore e co-autore di diversi libri su Wall Street. (Lna)