Per Italia e Francia “bisogno disperato di riforme”

di Alberto Battaglia
Pubblicato 17 Maggio 2016 • Aggiornato 18 Maggio 2016 09:02

La Francia e l’Italia soffrono di una patologia simile: l’allergia alle riforme. A scriverlo è un analista fra i più convinti dell’efficacia delle riforme strutturali per il recupero della competitività dei due Paesi, l’ex banchiere Satyajit Das, già autore di “The Age of Stagnation”. E’ pur vero che una delle riforme più decisive per l’aggiustamento del livello dei prezzi, la componente fondamentale nella definizione liberista della competitività, è già stata compiuta: quella del lavoro. In Italia la situazione successiva al Jobs Act, però, non è sufficientemente liberalizzata secondo Das:

“Le riforme creano un mercato del lavoro duplice”, scrive l’ex banchiere su MarketWatch, “I lavoratori precedenti godono dei tradizionali benefit, mentre i nuovi contratti ricevono paghe inferiori e sicurezze minime sulla stabilità, riducendo l’effetto sull’attività economica. I cambiamenti creano inoltre una sottoclasse di nuovi lavoratori poveri, con i problemi sociali annessi”.

Il Jobs Act, inoltre, lascerebbe, secondo Das, benefit generosi con le tutele crescenti. Il giudizio poco entusiastico sullo stato delle riforme vale anche per la Francia, che, dopo settimane di proteste non ancora sopite, ha dato corso alla riforma del lavoro senza passare dal voto del parlamento, attraverso un articolo raramente utilizzato della Costituzione.

Secondo Das le riforme sono “disperatamente necessarie” ai due Paesi “per evitare una crisi finanziaria”. Fra quelle più urgenti e difficili da approvare l’analista include le privatizzazioni e la liberalizzazione dei settori controllati come quello delle telecomunicazioni o dei taxi. A complicare le cose si aggiunge il fatto che le virtù del libero mercato incontrano poco favore sia in Italia sia in Francia: “solo il 30% dei francesi crede nella superiorità del sistema del libero mercato”. Fatto che trova conferma nel grandissimo supporto dei giovani alle proteste contro la riforma del lavoro in Francia: nonostante l’elevata disoccupazione giovanile, che viene generalmente attribuita proprio alla rigidità del mercato del lavoro che le riforme vorrebbero abbattere, la mobilitazione è stata massiccia. In Francia l’85% dei nuovi contratti di lavoro è a breve termine, ad indicare che le imprese giudicano i contratti tradizionali troppo onerosi.

Mentre secondo Das la forza politica del premier italiano, Matteo Renzi, è mutilata dal fatto che il suo arrivo a Palazzo Chigi non è passato dalla benedizione dell urne; l’azione dei leader francesi manca semplicemente della convinzione che siano necessarie mosse radicali per risollevare il Paese: “le riforme [adottate in Francia] sono piccole e mancano di urgenza”.

Lavoro resta punto dolente

La conclusione dell’ex banchiere smentisce i proclami renziani di qualche tempo fa: “la priorità per Francia e Italia” sembra essere di più quella “di difendere quanti siano già inclusi [nel mercato del lavoro] alle spese del crescente numero degli esclusi. In Italia 15 milioni di persone su una popolazione di 60 milioni, vivono in qualche forma di deprivazione, inclusi 8 milioni in serie ristrettezze economiche. In Francia milioni di disoccupati a lungo termine e di giovani devono fare i conti con poche prospettive di occupazione”.

Per la Francia quello del lavoro resta sicuramente un punto dolente: l’anno prossimo il tasso di disoccupazione, si prevede, sarà superiore alla media europea per la prima volta dal 2007; mentre per quest’anno, secondo la Commissione europea, ci sarà un piccolo calo del tasso al 10,1%. Le riforme appena approvate da Parigi, dopo la furia dei manifestanti, sono state addolcite rispetto alle bozze iniziali, i loro effetti, almeno nell’immediato, non saranno eclatanti.

In Italia il tasso di disoccupazione, nel frattempo, è migliorato: l’11,4% stimato per marzo dall’Istat sarebbe il dato più basso dal dicembre 2012; ciononostante resta superiore alla media dell’Eurozona, il cui tasso è del 10.2 % a marzo.

Che questi non siano i numeri di una svolta sembra chiaro, lo è di meno stabilire se, come ritiene Das, siano mancate riforme strutturali sufficientemente ambiziose, oppure altre condizioni macroeconomiche favorevoli alla ripresa.