Società

IRAQ: TUTTO
COME PREVISTO,
MA ADESSO?

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Fin qui, tutto come previsto, almeno da parte nostra. Il conflitto si è concluso in tempi brevi, non ha visto il temuto utilizzo delle armi di distruzione di massa, non ha innescato reazioni terroristiche contro l’Occidente e
soprattutto, sotto il profilo dell’impatto sull’economia, non ha comportato quei danni alle installazioni petrolifere che avrebbero potuto far esplodere le quotazioni del greggio, come i catastrofisti temevano. E poiché i mercati
azionari queste ipotesi, sia pure in parte, le scontavano – altrimenti non sarebbero scesi sui timori della guerra –, proprio la loro mancata realizzazione spiega la risalita degli indici negli ultimi giorni.

Paradossalmente, però, ora comincia la parte difficile: tornerà a prevalere il pessimismo sull’economia e gli utili, alimentato dal quadro debole fornito dai dati macro in programma da qui ai prossimi due mesi e dai profit warning che stanno già iniziando a colpire Wall Street, o si punterà sui benefici di uno scenario geopolitico più stabile, almeno a breve scadenza, e di un petrolio a buon mercato, con tutti i benefici del caso per la fiducia e il portafoglio di imprese e famiglie?

Ad essere sinceri, su questo punto non abbiamo una risposta convincente. L’impressione, però, anche a giudicare dall’attuale comportamento degli investitori, è che non ci sia da stare molto allegri. La rimozione della statua simbolo
del dittatore iracheno ieri ha rappresentato, per la comunità finanziaria internazionale, la fine del conflitto: eppure la reazione immediata è stata un’ondata di vendite, da parte di coloro che si erano giocati gli eventi bellici in chiave di trading. In compenso, ma forse è ancora prematuro giungere a conclusioni definitive, dell’ingresso di quella stragrande maggioranza dei potenziali investitori che erano invece rimasti alla finestra, in attesa di capire
come si sarebbe potuto evolvere lo scenario una volta rimossa l’incognita Iraq, non si vede traccia; il rischio è che se nelle prossime settimane i mercati rimarranno altalenanti, o addirittura inizieranno a rimangiarsi quanto
realizzato nell’ultimo mese, difficilmente la pur smisurata massa di risparmio parcheggiato in liquidità o sull’obbligazionario abbandonerà questi comparti.

Vista la performance dell’azionario negli ultimi tre anni e le numerose false partenze, ad iniziare da quella del dopo 11 settembre, chissà che anche stavolta non si tratti di un altro caso simile, diranno i pessimisti di turno; e con tali precedenti solo un deciso balzo dei mercati potrà
smentire questi dubbi.

Oggi torna a riproporsi l’economia USA, con le richieste di sussidio, che nell’ultima settimana erano balzate alla quota record (in questa fase) di 445mila unità e anche stavolta sono viste ben al di sopra delle 400mila unità, e il saldo della bilancia commerciale di gennaio, con un disavanzo pronosticato ancora oltre gli allarmanti 40 mld di dollari mensili. Se il quadro rimarrà così incerto anche a Guerra del Golfo conclusa, le
probabilità di un nuovo taglio dei tassi da parte della FED nel suo prossimo incontro di maggio appaiono molto elevate e potrebbero dar luogo anche ad una mossa a sorpresa da 50 punti base. Basterà per risollevare gli umori, di imprese e investitori?

Un qualche effetto certamente lo avrà, ma di nuovo il rischio è che riguardi solo le
richieste di rifinanziamento nel settore immobiliare o l’utilizzo del credito al consumo, giunto ormai su livelli record, sia relativamente al reddito disponibile (oltre il 100% a fine 2002 dal 65% circa di vent’anni fa), sia allo stock di
ricchezza accumulata (al 17% dal 12% sempre di vent’anni fa), e che solo il costo quanto mai contenuto e decrescente del debito riesce a rendere ancora sostenibile (il 14% circa del reddito disponibile, un massimo relativo analogo a quello già raggiunto proprio vent’anni fa, in presenza di difficoltà economiche per certi versi
analoghe).

Il timore, insomma, è che gli squilibri del sistema, con gli investimenti al palo ed i consumi drogati dall’effetto tassi e dall’ascesa del mercato immobiliare, si amplifichino anziché ridursi. Altro punto critico sarà come Bush vorrà gestire il successo politico, conseguito più a livello interno che internazionale, derivante dall’operazione Iraq: darà ancora più spazio ai falchi alla Rumsfeld, che spingevano per l’uso della forza militare, e ai neoconservatori, che insistono per ulteriori cambiamenti di regime ed un Nuovo Ordine nel Medio Oriente, o tornerà a focalizzarsi sulle sorti dell’economia, in modo da scongiurare il ripetersi della sconfitta
elettorale del padre?

Proprio questo sarà, a nostro avviso, il punto chiave che, come dopo l’11 settembre, finirà
per determinare la direzione dei mercati finanziari: un nuovo, aggressivo impulso alla politica estera, a danno della situazione economica interna, e le attese di riavvio delle Borse potrebbero svanire ancora una volta.

*Michele Pezzinga e’ capo strategist di Eptasim.