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Iran cerca la condanna a morte per Trump: “Richiederemo mandato di cattura all’Interpol”

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L’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani ha spinto la magistratura della repubblica islamica ad inoltrare all’Interpol una richiesta di cattura internazionale ai danni del presidente americano, Donald Trump. L’organizzazione ha affermato di non aver ancora ricevuto la domanda di cui hanno parlato le autorità iraniane.

L’accusa, secondo il giudice Ali Alqasimehr è che la Casa Bianca si sia resa responsabile di “omicidio e terrorismo” attraverso l’operazione che, attraverso l’utilizzo di un drone, neutralizzò Soleimani presso l’aeroporto di Baghdad (Iraq), nella mattina del 3 gennaio scorso. Allora, l’amministrazione americana giustificò la missione per ragioni di sicurezza, in quanto Soleimani “stava sviluppando attivamente piani per attaccare diplomatici e membri del servizio americani in Iraq e in tutta la regione”. Per i reati che gli sono contestati in Iran, Trump rischierebbe la condanna a morte.

L’Interpol, come prevedibile, ha precisato che non prenderà in considerazione la richiesta della magistratura iraniana, di fatto definita come un’intervento politico. “Ai sensi dell’articolo 3 della costituzione di Interpol è severamente vietato all’Organizzazione intraprendere qualsiasi intervento o attività di carattere politico, militare, religioso o razziale”, ha affermato in una dichiarazione l’ente internazionale con sede a Lione, “pertanto, se o quando tali richieste dovessero essere inviate al Segretariato Generale, in conformità con le disposizioni della nostra costituzione e delle nostre regole, Interpol non prenderebbe in considerazione richieste di questo tipo”.

Per la Casa Bianca, del resto, l’intera procedura aperta dall’Iran per farsi consegnare il presidente non è altro che “propaganda” priva di qualsiasi valore legale.

Le indagini dei giudici della repubblica islamica, nel frattempo, si stanno spingendo oltre, nel tentativo di identificare gli esecutori materiali dell’uccisione del generale Soleimani, ossia gli operatori del drone che ha fatto fuoco.

Le cause dell’operazione anti-Soleimani

Non tutto il panorama politico statunitense fu convinto che l’operazione condotta lo scorso gennaio fosse giustificata da motivazioni di sicurezza. Certo è, però, che il generale iraniano fosse tra i membri più carismatici e, sotto il profilo militare, più pericolosi per gli interessi statunitensi.

L’affronto che, probabilmente, è costato la vita al generale Soleimani, anticipa di pochi giorni la sua morte. Si tratta dell’assalto all’ambasciata statunitense in Iraq, avvenuta fra il 31 dicembre 2019 e il primo gennaio 2020, una mobilitazione che solidarizzava con le forze filoiraniane di Kata’b Hezbollah, protagoniste pochi giorni prima di un attacco missilistico alla base aerea di Kirkuk (Iraq).

A quest’ultima gli Usa avevano reagito con raid aereo che aveva ucciso 25 miliziani, il 29 dicembre. Il sentimento anti-americano era abilmente alimentato dalle operazioni dei gruppi sciiti sostenuti dall’Iran. La scelta dell’amministrazione Usa, a quel punto, fu quella di lanciare un messaggio chiaro a Teheran, attraverso l’uccisione del generale più influente su cui la repubblica islamica ha potuto contare fino a quel momento.