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Iran, cruciale un accordo sulla bomba atomica

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NEW YORK (WSI) – È il momento di pensare alla carota nei confronti dell’Iran, dopo anni di bastone? Dai cantieri abbandonati nel cuore delle città all’autarchia commerciale forzata, al divieto di importazione per le tecnologie avanzate, il peso delle sanzioni si fa sentire. La retorica, gli slogan, i comportamenti pubblici di un sistema teocratico chiuso evocano un Islam occhiuto, austero prima ancora che intollerante. L’Occidente rimane l’avversario principale: forse non più tanto Satana, ma comunque nemico da tenere lontano per evitare il pericolo di contagio.

E tuttavia, del contagio non mancano i segnali. Man mano che ci si avvicina a Teheran il velo obbligatorio sul capo delle donne tende a scivolare liberando lunghe ciocche di capelli, il nero cede il passo a colori più squillanti. La nuova classe media affolla autostrade e centri commerciali nei weekend. Nelle case dei ricchi dietro il rigore esterno si scopre un’ansia di liberazione che nei giovani tende a travalicare nell’eccesso.

Le aperture di Rouhani sono importanti, ma il controllo è saldamente nelle mani di Khamenei e il rapporto di forze con la Guida Suprema rimane impari. Non è chiaro se la stabilità interna, su cui i mullah ostentano sicurezza, sia effettiva o se covino nuovi fuochi: svanite le speranze create dalla protesta popolare del 2009, il Paese sembra acconciarsi a convivere con un regime dal quale cerca di ritagliarsi margini di autonomia. Sarebbe un errore concludere da tutto ciò che l’Iran sia pronto a farsi Occidente: la società resta convintamente islamica e le moschee sono a un tempo centri di fede e di comunicazione sociale. Vuole che tale modello non sia offuscato da prescrizioni che la releghino ai margini della comunità internazionale di cui si considera a buon diritto partecipe.

Le sanzioni sono state importanti per far capire all’Iran che rinunciare a una capacità nucleare militare era la premessa essenziale per uscire dall’isolamento. Dopo fasi alterne il negoziato «P5+1/Ue» (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, più la Germania) è entrato in una fase cruciale e toccherà alla nuova Lady Pesc Francesca Mogherini tirarne le fila. Sullo sfondo restano altri temi non meno cruciali, primo fra tutti quello del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Ma quello dell’accordo sulla bomba atomica è la porta d’ingresso per tutto il resto. Le prossime settimane diranno se sono possibili progressi reali nella trattativa e se sarà ipotizzabile passare alla carota, in materia di sanzioni.

Si tratta di un «se» di peso. Riconoscere un ruolo all’Iran non significa soltanto acquisire strumenti che permettano di dipanare in maniera meno confusa il filo che dalla Siria passa all’Iraq e all’intero Medio Oriente, per approdare all’Isis. Significa recuperare un Paese che — al di là della cappa dei mullah — ha un forte senso di identità nazionale, una infrastruttura moderna e un potenziale economico importante. Insieme alla Turchia è l’unico grande Paese nella regione: anche Washington lo ha capito, sia pure con molte ambiguità.

La prospettiva della carota non è priva di rischi, ma le alternative potrebbero essere peggiori. La società civile iraniana respira Occidente, fa fatica a sopportare l’isolamento in cui è costretta e di cui stenta a capire fino in fondo le ragioni. Escluderla potrebbe significare rigettarla nel cono dell’intolleranza; dandole spazio si potrebbe favorire quella lenta evoluzione di cui si vedono le tracce. E recuperare — last but not least — un mercato per noi da sempre importante in cui la Cina si avvia a fare la parte del leone. L’Iran non diventerebbe per questo una democrazia liberale e i suoi standard in materia di diritti umani resterebbero lontani dai nostri. In questo si troverebbe in buona compagnia con molti altri partner dell’Occidente, nella regione e non.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato dal Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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