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*Alessandro Fugnoli e’ lo strategist di Abaxbank. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – C’era un tempo in cui i semafori avevano un verde e un rosso piuttosto lunghi e un giallo molto breve. Il giallo costituiva una discriminante socioculturale. Per gli arcaicizzanti era un segnale di arresto, mentre per i postmoderni era uno stimolo ad accelerare.

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Oggi si vanno diffondendo anche in Italia semafori politicamente corretti di nuova concezione. Per i pedoni è previsto un verde molto breve che si trasforma subito in un giallo quasi eterno. Lo scopo è di inibire ancora più
severamente gli arcaicizzanti e di continuare a indurre i postmoderni a correre. Nelle intenzioni dei reggitori delle città questo dovrebbe garantire maggiore sicurezza per i pedoni, evitando la sbavatura di quelli che si
trovano ancora in mezzo alla strada quando scatta il rosso. Quando i nuovi semafori vengono introdotti, per qualche tempo, in effetti, le cose funzionano secondo i desideri degli assessori al traffico. Le persone tranquille o
atleticamente svantaggiate rinunciano a passare se vedono il giallo. Le altre attraversano veloci. Dopo qualche tempo, tuttavia, le nuove regole vengono assimilate e, come si dice nei mercati, scontate. Con l’eccezione dei
turisti con la cartina in mano, tutti gli altri imparano a vivere nel giallo senza troppo stress. Lentamente si prende a percepire il giallo come un verde e si smette di correre.

Il problema è che, in questo modo, si passa direttamente da un verde (travestito da giallo) a un rosso, senza preavviso vero. L’eterogenesi dei fini, spesso presente nel politicamente corretto, produce alla fine una situazione meno sicura di prima. Da un paio di mesi il semaforo del ciclo economico globale e dei mercati finanziari è passato dal verde al giallo. Il
verde è durato tre anni, dall’inizio del 2003 alla fine del 2005. Per i mercati è stata festa e non ci sono nemmeno stati gli spiacevoli effetti collaterali che di solito si producono sui bond. Molti hanno guadagnato e nessuno ha perso. Quattro minishock petroliferi e una breve inflation scare lo scorso ottobre hanno animato le borse, ma la trendline ascendente (i
technician perdonino l’invasione di campo del profano) non è mai stata messa in discussione.

Il giallo è scattato il 7 gennaio, quando si è visto il tasso di disoccupazione americano portarsi decisamente al di sotto del 5 per cento (era stato tra il 4.9 e il 5 da agosto a dicembre ed era al 6.3 quando, a inizio 2003, scattò il verde). I supply sider dicono che questa storia che gira dal 1958 per cui avere pochi disoccupati è una cosa pericolosa e triste (ed è l’anticamera dell’inflazione salariale, della fine del ciclo e della recessione) va messa in soffitta, ma tutti gli altri ci credono ancora. Quello che conta è che ci crede ancora la Fed e ci ha sempre creduto anche Greenspan, la persona intellettualmente più flessibile e meno dottrinaria che abbia mai governato una banca centrale.

La differenza tra Greenspan e gli altri è stata, negli ultimi anni, nel livello di disoccupazione giudicato pericoloso e nella disponibilità ad
andarlo a vedere per verificare sul campo se è davvero l’inizio della fine. Al di là delle differenze, c’è sempre stato però accordo sul fatto che il 5 per cento di disoccupati è un livello, se non di allarme, quanto meno di
preallarme. Non ci si mette a suonare le sirene, ma si fa prudentemente scattare il giallo. Dicevamo sopra che c’è giallo e giallo. Dal punto di vista dei policy maker il giallo attuale non è un giallo burocratico e precauzionale (il giallo disclaimer, vi avvertiamo per obbligo anche se non c’è nessun vero pericolo). Non è nemmeno un giallo allarmato, di quelli che scattano quando ormai è tardi. E’ una via di mezzo.

Oggi la disoccupazione è ancora a un livello non pericoloso, ma il problema è la velocità con cui sta calando. Questa espansione è andata avanti tre anni, in America, con 100mila nuovi occupati al mese (quando il semaforo era verde), ma adesso siamo poco sotto i 200mila. Le probabilità che chi assume così voracemente faccia leva sul prezzo aumentano e proprio nel momento del ciclo in cui, fisiologicamente la crescita della produttività tende a rallentare. La situazione è perfettamente sotto controllo, ma richiede che la Fed continui il suo lavoro, portando i tassi al 5 per cento entro l’estate e
tenendo d’occhio da vicino l’evoluzione del mercato del lavoro. I mercati (in particolare azionari) hanno visto scattare il giallo nei mesi scorsi, ma si comportano come i pedoni che la sanno lunga e se la prendono comoda. Questa
volta, pensano, il giallo durerà almeno due anni e sarà praticamente come un verde.

L’idea del giallo di lunga durata ci sembra corretta, soprattutto dopo che la Fed, un mese fa, ha comunicato le sue previsioni-obiettivo per il 2006 e 2007, rassicurandoci sulle potenzialità dell’espansione. Detto questo, il
giallo non è la stessa cosa del verde neanche in questo nuovo mondo meraviglioso. Lo stesso malessere fisico ha un significato quando abbiamo
vent’anni e ne ha un altro quando ne abbiamo cinquanta. Una stessa paura da tassi, da inflazione, da petrolio, da geopolitica, da crescita ha un significato a inizio ciclo e ne ha un altro a ciclo maturo. Nel primo caso
sappiamo che i danni sono comunque minimi, nel secondo è meglio essere più prudenti e farsi controllare (o, per i mercati, elevare il risk premium).

L’andare e venire del risk premium nelle fasi di semaforo giallo è quello che conferisce ai mercati una certa bidirezionalità. La trendline azionaria rimane positiva, ma diviene con il tempo più irregolare. Quanto ai bond
lunghi, la loro posizione riparata nella prima fase del ciclo (di questo ciclo, non certo dei precedenti) diviene via via più esposta man mano la curva si appiattisce per il rialzo dei tassi di policy. C’è un altro aspetto che induce a un minimo di cautela (in questo caso soprattutto per i bond). Una volta si considerava ineluttabile che al giallo seguisse il rosso.
La vita, per citare Hobbes, era in quei tempi breve, crudele e brutale. Fu negli anni Novanta che l’umanità iniziò a intravvedere la possibilità dell’immortalità del ciclo, o per lo meno quella di un prolungamento significativo della sua vita. Magari una vita non esuberante e ricca invece di protesi e medicamenti, ma pur sempre vita, né troppo calda né troppo fredda.
Dopo lo scoppio della bolla il sogno svanì, ma oggi vediamo qua e là segni di rinascita. Il rapporto pubblicato ieri da Medley (la Fed è soddisfatta e sta per finire il ciclo di rialzo dei tassi) ha indotto i mercati a comprare
bond e azioni con l’idea, più o meno chiara in testa, che dopo il giallo verrà il verde, non il rosso. Resurrectio sine morte, diceva Agostino.

E’ ben possibile che la Fed sia in procinto di fermarsi. Può essere giusto, in questa luce, comprare azioni o può essere giusto comprare bond, ma è difficile che siano giuste tutte e due le scelte. Se la Fed si ferma perché
pensa di essere riuscita ad avviare un rallentamento duraturo della crescita è giusto comprare bond ma è sbagliato comprare azioni. Se la Fed si ferma per evitare qualsiasi rischio di overshooting e stare a vedere qualche mese
come si mettono le cose, è probabile che fra qualche mese avremo un nuovo rialzo, non un ribasso dei tassi (il Regno Unito è esattamente su questa strada). In questo caso oggi è giusto comperare azioni, ma è sbagliato comperare bond. La nostra dichiarazione di voto è per questa seconda ipotesi.

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