Società

INTERNET, LA SVOLTA DEI GIORNALI

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Gordon Crovitz, vicepresidente di Dow Jones, non ama i giri di parole: «Ci è sempre sembrata ridicola l’idea che le informazioni dovessero essere distribuite gratis su Internet». Crovitz commenta così la notizia diffusa pochi giorni fa dal “Wall Street Journal”, il quotidiano finanziario di Dow Jones, che ha annunciato di aver portato in attivo i conti della sua edizione sul Web. Il “Wall Street Journal Online” ha 679 mila abbonati che pagano 79 dollari all’anno per avere l’accesso non solo agli articoli del giornale cartaceo e a quelli esclusivi dell’edizione on line, ma anche a quelli di “Dow Jones Newswire”, di “Barron’s” e dell’edizione europea e asiatica del “Wall Street Journal”.

Il “Wall Street Journal” non è il solo a considerare produttivo il suo investimento sul Web.
Il “New York Times”, che da oltre sei anni distribuisce i suoi contenuti on line gratuitamente, ha appena annunciato un’edizione on line a pagamento del giornale. Gli strateghi del “New York Times” hanno riflettuto a lungo sull’esperienza del “Wall Street Journal” prima di fare il grande passo. Sapevano che il “Journal”, essendo un giornale finanziario, ha tradizionalmente un pubblico più internazionale e più di nicchia, la situazione migliore possibile per Internet. Il “New York Times”, con la sua eccellente informazione di carattere generalista, ha usato l’edizione on line soprattutto per rafforzare la sua presenza territoriale e diventare un giornale indispensabile per centinaia di migliaia di lettori nel mondo.

La strategia ha funzionato: il “Times Digital” ora ha oltre 12 milioni di lettori registrati nel mondo e un traffico giornaliero di due milioni di utenti. Nell’ultimo trimestre del 2002 ha incassato 19,7 milioni di dollari tra banner pubblicitari e vendita di articoli arretrati. «Il successo del “New York Times” sulla Rete è straordinario perché il giornale raccoglie consensi a livello planetario basandosi su principi che sono del tutto estranei all’attuale realtà della grande stampa statunitense», dichiara Orville Schell, direttore della scuola di giornalismo della Berkeley University: «Si fonda, cioè, sulla convinzione che la politica estera tira e che fare informazione di qualità paga».

Fino a oggi l’editore del giornale newyorchese chiedeva soldi solo per l’archivio on line: «Una strategia che ha fruttato alcuni milioni di dollari all’anno», dice Lincoln Millstein, vice presidente esecutivo del “New York Times”. Adesso è arrivato il momento di fare il grande salto: «La sfida è lasciare al lettore un’ampia possibilità di scelta, cercando di capire che cosa chiede». La lettura del giornale on line per ora resta gratuita, ma chi vuole, dal primo marzo può scaricare sul proprio computer l’intero quotidiano, per poi poterlo leggere off-line, in un formato che consente di sfogliarlo come se si trattasse della versione cartacea. Si può sottoscrivere per un periodo di sei settimane per appena 13 dollari o un singolo numero per 65 centesimi di dollaro.

La mossa dell’autorevole giornale newyorkese sembra segnare la fine di un’epoca che aveva raggiunto il suo apice nella fase del boom della New economy ed era riassunto con la definizione di “economia del gratis”. C’era la convinzione che l’aumento degli accessi da parte del pubblico avrebbe portato i giornali a diventare nodi cruciali di un traffico crescente che sarebbe stato presto ripagato da una parte dalla pubblicità e dall’altra dal commercio elettronico: due speranze che si sono rivelate illusorie.

Crollata la nuova economia, svaniti gli introiti pubblicitari, scomparsi giornali on line come “Industry Standard”, “Feed” e “Apb.com”, i giornali storici hanno ricominciato a far valere la forza del loro marchio, tornando al tradizionale modello di business, quello degli abbonamenti. Nel 2002, solo negli Stati Uniti, il mercato dei contenuti on line ha raggiunto il miliardo di dollari di fatturato e il numero degli utenti disposti a pagare per leggere un articolo on line ha superato la soglia dei 14 milioni.

«Si tratta di una crescita dell’86 per cento rispetto al 2001», dichiara Michael Zimbalist, direttore della Online Publishing Association of America: «Considerando che nello stesso periodo il numero degli utenti on line è aumentato solo del 6,4 per cento, si capisce che si tratta di dati strabilianti».

Secondo una ricerca condotta da Comscore Network, nell’ultimo trimestre del 2002 i consumatori statunitensi hanno speso oltre 360 milioni di dollari per acquistare prodotti giornalistici on line, una crescita del 14 per cento rispetto al trimestre precedente e del 105 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2001. Le aree che crescono di più sono quelle dei prodotti che hanno un valore compreso tra i 5 e 50 dollari e dei micro-pagamenti sotto la soglia dei 5 dollari. In questa fascia le vendite sono aumentate di dieci volte rispetto al 2001.

Il pubblico si sta abituando ad acquistare sulla Rete e ha sempre meno problemi a comprare un prodotto editoriale, anche di pochi dollari, usando la carta di credito. Le esperienze si moltiplicano. Ormai i giornali Usa che hanno scelto di restringere l’accesso al loro sito Web sono 21. Un’esperienza particolarmente positiva è quella del “Columbus Dispatch”, che ha fatto il grande salto verso l’accesso esclusivamente a pagamento nell’ottobre scorso. «Gli editori non si possono permettere di dare via il contenuto gratis e produrre un giornale on line costa moltissimo», dichiara Pam Coffman, direttrice responsabile dell’edizione digitale. Dopo il previsto crollo iniziale, il traffico sul sito Dispatch.com è tornato ai livelli originali e oggi il giornale on line conta 79 mila abbonati.
Non tutte le esperienze sono tuttavia positive. La rivista digitale “Salon”, pur avendo 50 mila lettori che pagano 30 dollari l’anno per leggere una sezione “premium” nella quale vengono pubblicati articoli di commentatori di fama internazionale, come Camille Paglia e Arianna Huffington, non naviga in buone acque. Recentemente ha rivelato di avere 81 milioni di dollari di passivo. Aidan Walker, esperto di media on line, dice che «il sogno di “Salon” di creare un servizio di informazioni alternativo è fallito».

Per funzionare, i giornali on line devono rispondere a un’esigenza precisa dei lettori. Se la strategia è confusa, l’acquirente si tiene lontano.

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