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Incubo Imu: 80% Comuni aumenta aliquote

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Roma – La corsa dell’Imu, la tassa che ha consentito al governo Monti di incassare 23,2 miliardi, è arrivata ad un passo dal traguardo. Il termine ultimo per i Comuni per decidere le maggiorazioni sulle aliquote base per la prima casa (4 per mille che può salire o scendere del 2 per mille) e la seconda casa (aliquota base del 7,6 per mille che può salire o scendere del 3 per mille) è scaduto il 31 ottobre. Il 17 dicembre si pagherà il saldo.

In base ad una prima stima, realizzata dall’Osservatorio della Uil servizio politiche territoriali e aggiornata a ieri, sono stati 4.146 i Comuni che hanno già approvato e comunicato al ministero delle Economia le delibere-Imu.

Di questi Comuni, che rappresentano la metà del totale e consento una attendibile stima del trend, la maggior parte ha usato la mano pesante soprattutto sulla seconda casa: ben 3.230 Municipi, pari al 77,9 per cento, hanno deciso di aumentare l’aliquota base; circa 833 sindaci hanno deciso salomonicamente di lasciare le cose come stanno (il 20,1 per cento) e in 83 comuni (circa il 2 per cento) si è optato per una diminuzione.

Con la prima casa la manovra è stata meno pesante anche se non meno dolorosa. Sui 4.146 Comuni che hanno notificato al ministero dell’Economia la propria decisione il 36,8 per cento (pari a 1.526 centri) ha optato per il rincaro; in molti – pari a ben il 55,8 per cento ovvero 2.313 Comuni – hanno confermato l’aliquota; infine 307 “eroici” Municipi hanno deciso di ridurre sotto l’aliquota base l’Imu sulla prima casa (il 7,4 per cento).

A quanto ammonta il conto per i cittadini? Il primo bilancio effettuato dai tecnici dell’Osservatorio Uil servizio politiche territoriali, rivela che il combinato disposto delle decisioni prese dalla platea dei Comuni, porta ad una aliquota media dell’Imu pari al 4,36 per mille, circa il 9 per cento in più rispetto all’aliquota base decisa da Monti. Per le seconde case, come abbiamo visto, la mano dei sindaci è stata più dura: l’aliquota media applicata a questa tipologia di immobili è stata del 9,1 per mille in aumento del 19,7 per cento rispetto all’aliquota base.

Cosa è successo nei grandi centri? Nei 92 Comuni capoluogo di provincia, per quanto riguarda la prima casa 45 di essi (il 48,9 per cento del totale), hanno mantenuto l’aliquota di base del 4 per mille; 39 città l’hanno aumentata (Roma, Catania, Cagliari, Napoli, Palermo, Ancona, Genova, Torino, Perugia), di queste 9 hanno deciso l’aliquota massima del 6 per mille (Agrigento, Alessandria, Caserta, Catania, Catanzaro, Messina, Parma, Rieti, Rovigo). Sorprendentemente 8 città (tra cui Vercelli, Trieste, Siracusa, Nuoro, Novara, Biella, Lecce e Mantova) hanno deciso di abbassare l’aliquota sulla prima casa.

Per quanto riguarda, invece, le aliquote per le seconde case, 86 grandi centri (il 93,5 per cento del totale) hanno aumentato l’aliquota per le seconde case: 36 di queste applicano l’aliquota massima del 10,6 per mille (Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Ancona, Milano, Venezia). Soltanto 6 grandi centri sono rimasti all’aliquota di base. La top ten dei rincari è guidata da Roma, ormai una delle città più tassate d’Italia: il costo medio dell’intera imposta Imu sulla prima casa è di 639 euro, seguono Milano con 427 e Rimini con 414. Per la seconda casa in testa sempre Roma (media 1.885), segue Milano (1.793), Bologna (1.747) e Firenze (1.526).

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