Società

In frantumi il mito dello Stato-nazione. Colpa della crisi del debito

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Milano – La globalizzazione ha mandato in crisi lo stato-nazione. La rivoluzione avvenuta nei trasporti e nelle comunicazioni ha cancellato i labili confini e reso il mondo più piccolo. Lo sanno i governi nazionali che hanno affrontato il tutto come impotenti spettatori. Il colpo di grazia però è arrivato dalla crisi finanziaria mondiale. E’ stata lei a mandare in frantumi questo mito.

Possiamo chiederci chi abbia salvato le banche, pompato liquidità nel sistema, lanciato stimoli fiscali e fornito sussidi ai disoccupati per sventare una catastrofe? E ancora domandarci chi oggi si prende la colpa per tutto ciò che non va? La risposta torna sempre lì ai governi nazionali. Il G20, il Fondo monetario internazionale e il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria sono stati in panchina: hanno deciso di agire solo in modo marginale.

Anche in Europa, dove le istituzioni regionali mostrano una certa solidità, sono stati gli interessi e i policy maker nazionali, soprattutto nella persona del cancelliere tedesco Angela Merkel, a dominare le scene. Dunque anche nell’ipotesi in cui lo stato nazionale sopravviva, la sua reputazione adesso traballa: è stata ridimensionata. Non sono mancate le critiche degli economisti che hanno bollato i governi con la parola: ostacolo per una più libera circolazione di beni, capitali e persone in tutto il mondo.

Ma senza di loro viene da chiedersi chi sarà a dettare ai mercati regole e regolamentazioni, se non gli stati-nazione? Il laissez-faire potrebbe scatenare profonde crisi finanziarie e portare con sè forti contraccolpi politici. La via d’uscita potrebbe essere quella dei tecnocrati internazionali, che solitamente vengono isolati a causa dei tira e molla politici. Dunque la conclusione è una sola: il laissez-faire e la tecnocrazia internazionale non sono valide alternative allo stato-nazione, se mancano i reali meccanismi di governance globale.

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