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IL TRAMONTO DI CESARE E ANTONIO

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Wall Street Italia comincia da oggi a pubblicare, affiancandoli sulla Prima Pagina a quelli di altre prestigiose testate, opinioni e articoli usciti su Panorama Economy, il settimanale economico della Mondadori. Il primo e´ un editoriale del direttore Paolo Madron.

Chi lo frequenta in queste ore difficili racconta che Cesare Geronzi è un uomo
col morale a terra, che in cuor suo manzonianamente si interroga su come nel
giro di poche settimane si possa passare dall´altare alla polvere. Sic transit
gloria mundi: da banchiere più potente d´Italia, così come era stato
celebrato
dopo che la firma del patto tra gli azionisti di Capitalia ne aveva
enfatizzato il carisma, a bersaglio di quanti ritengono che nelle vicende
Cirio e Parmalat egli abbia recitato un ruolo da comprimario.

Che la sua ombra
si stagli dietro molte delle operazioni irregolari che hanno intrecciato
percorsi e destini di Sergio Cragnotti e Calisto Tanzi. Nel fantasmagorico
groviglio in cui anche la più smaliziata Sec fatica a raccapezzarsi ci sta di
tutto: latte, soldi, calciatori, società che ne gestiscono l´immagine, incroci
di partecipazioni e reticoli caraibici. E molte piste, guarda caso, rimandano
alla banca capitolina: la regia della vendita a prezzi esorbitanti del latte
Cirio all´azienda di Collecchio, i massicci finanziamenti alla Parmatour nel
cui azionariato l´allora Banca di Roma figurava con una posizione rilevante
(con tanto di put a vendere).

Così come rilevante era, all´epoca, il ruolo
avuto nella Cragnotti & Partners, la prima pietra su cui l´ex amministratore
delegato di Enimont costruì il suo effimero impero. Insomma, in un modo o
nell´altro Geronzi e la sua Capitalia compaiono sempre: si tratti di
suggerire, imporre o prestare cifre enormi (compreso il polo del turismo, i
crediti dell´istituto verso la galassia Tanzi ammontano a quasi 500 milioni di
euro) per poi, al profilarsi della malaparata, cercare dorati rientri.

In un
meccanismo in cui la banca contraddittoriamente obbedisce a una sorta di
complicità che la fa sembrare al tempo stesso vittima e carnefice. Danneggiata
in ultima istanza dall´operato di industriali senza scrupoli, ma sempre pronta
ad aprire i cordoni della borsa per finanziarne la dissennata crescita.

Noi
siamo convinti, e lo abbiamo scritto proprio riconoscendo il suo personale
trionfo all´indomani della firma del patto di sindacato, che negli ultimi
tempi Geronzi abbia cercato di esorcizzare quei «mostri» che lui stesso aveva
contribuito a creare. Che abbia tentato di dare un connotato industriale a una
filosofia che privilegiava sodali e clientele a scapito dei numeri. Troppo
tardi, però, per evitare che l´esplodere di questo sistema perverso non lo
coinvolgesse. Per questo, da uomo intelligente qual è, il banchiere romano
dovrebbe trarne le conseguenze e farsi da parte.

E con lui quello che è da
sempre il suo principale sostenitore, Antonio Fazio. Alla fine del 2002,
obbedendo a uno scrupolo improvviso quanto inusitato, il governatore della
Banca d´Italia mandò i suoi uomini a ispezionare Capitalia. «L´abbiamo
invitata a ripulire i bilanci» disse durante un´audizione parlamentare. E poi,
a conferma che l´intenzione era seria, aggiunse: «L´ispezione potrebbe durare
un anno». Durò invece molto meno e si concluse con un nulla di fatto.´

Il
responsabile degli ispettori firmò una relazione in cui si diceva che non si
segnalavano anomalie di sorta, se non qualche piccola sofferenza spacciata per
incaglio. Nessuna menzione del vortice di finanziamenti verso i due «fratelli
di latte», nessun accenno alla loro parziale trasformazione in obbligazioni
poi vendute sul mercato. Non un caso di omessa vigilanza, già di per sé grave,
ma di incapacità a vigilare. Cos´altro ci vuole ancora per prenderne atto?

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