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IL SUPEREURO DELLE VANITA’

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Dall’inizio dell’anno, il dollaro ha perso nei confronti dell’euro qualcosa come il 9 per cento. In confronto al picco del luglio 2001, la sua discesa rispetto all’euro è addirittura del 27 per cento.

Il ministro del Tesoro degli Usa, appare contento. Sostiene che il cambio sfavorevole dà ossigeno all’economia perché offre la possibilità alle imprese americane di meglio competere con gli europei sia sul mercato interno sia su quello estero.

L’effetto, da noi, è ovviamente opposto. Si stima che l’Europa, con l’attuale livello dell’euro abbia perso interamente i benefici del più basso costo del denaro (dal 3 al 2,5 per cento) e che ciò possa comportare un punto in meno nella crescita del pil.

Ma il Commissario europeo per la finanza, Pedro Solbes, il presidente della Bce, Wim Duisenberg, e il gruppo dei ministri finanziari dell’euro hanno minimizzato gli effetti e hanno sostenuto che l’euro forte conviene perché aiuta a mantenere la stabilità dei prezzi. Si ammette però che ciò vale solo se vengono contemporaneamente salvaguardati i “fondamentali economici”.

La contraddizione è evidente. Il tasso di sconto americano è all’1,25 per cento e quello europeo al 2,5 con un divario di 1,25 punti; e ciò induce a investire la liquidità internazionale in euro anziché in dollari. L’alta quota dell’euro è dunque frutto di artificiosità più che di fondamentali economici.

E c’è dell’altro. Negli ambienti della Commissione si sostiene che non c’è motivo di preoccuparsi perché le esportazioni dell’area euro raggiungono appena il 14 per cento del suo Pil. E’ un calcolo sbagliato. Andrebbero aggiunte anche le importazioni che fanno concorrenza ai prodotti fabbricati in Europa: se si considera che il prodotto industriale europeo è solo un terzo del pil, si scopre infatti che le esportazioni incidono per oltre il 40 per cento.

E’ probabile che nei disegni eurocratici di Bruxelles ci sia il sogno di un euro che scalzi il dollaro: non potendo contrapporsi agli Usa su altri terreni, l’Europa tiene banco almeno su quello monetario. Solo che la forza economica non sta nel prestigio della moneta, ma nello sviluppo delle industrie che questo cambio artificiale finisce invece per ostacolare.

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